Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-004
05 novembre 2022

Abbiamo dato il testo del messaggio del Papa per la Giornata mondiale dei Poveri ad alcuni amici che vivono in prima persona l’esperienza della mancanza di una casa, di un lavoro, del necessario per tirare avanti. E abbiamo chiesto loro di commentarlo. Questi i testi che ci hanno donato.

Caro Papa Francesco

Caro Papa Francesco, sono un senza fissa dimora e ho letto il messaggio per la Giornata mondiale dei Poveri. Ho trovato cose molto interessanti che mi hanno fatto riflettere sul mio modo di concepire e vivere la povertà.

Non vedo la povertà come mancanza di cose materiali, ma come l’assenza o carenza di speranza e di amore. La disperazione che può scaturirne coinvolge tutta l’umanità. Porta a incolpare, a incolparsi, a dare la responsabilità a qualcosa di esterno. I momenti difficili ci sono per tutti.

Io non perdo la speranza perché mi sento amato. Non intendo dalle persone, ma dalla vita. E quello che mi serve veramente mi arriva sempre anche se a volte non lo capisco subito.

Gesù diceva: “Voi non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo” e “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

Queste affermazioni le trovo molto giuste; anche se non posso definirmi un uomo religioso credo nell’amore, quello puro, quello assoluto.

Ho incontrato tanta gente che voleva aiutarmi pensando fossi io il povero. Un giorno, mentre stavo riposando e riflettendo davanti a un negozio, una signora si è fermata. Vedendo la mia apparenza e sentendosi “migliore”, voleva darmi una mano. Mi ha offerto cose pratiche: un panino. Dopo abbiamo iniziato a parlare della mia vita, della sua e d’altro.

È rimasta molto colpita dalla mia scelta, cioè quella di abbandonare la vita precedente per vivere, trovare e donare tutto quello che l’amore può offrire.

Io, senza fissa dimora, sono considerato da molti un disperato fino a quando non mi conoscono veramente. A quella donna ho dato un’alternativa alla visione dell’esistenza.

Quell’incontro ha arricchito entrambi.

Bisogna dare tempo alle persone!

Comunque, chi era veramente il povero? Forse entrambi che abbiamo bisogno di diventare migliori?

Un controsenso
difficile da capire

Cristo si è fatto povero per farci ricchi («la povertà di Cristo ci rende ricchi»), per amore si è fatto servo ubbidiente, fino a morire e a morire in croce, come ci ha insegnato san Paolo nella lettera ai Filippesi. Anche nella lettera alla popolazione di Corinto, san Paolo parla di ricchezza in relazione alla povertà di Cristo.

Di quale ricchezza si intende? Non quella terrena, naturalmente. In questo mondo chi è ricco è ricco e chi non possiede nulla rimane nella povertà. Andiamolo a spiegare ai senza tetto che la povertà ce l’hanno come compagna di strada e con lei percorrono tanti chilometri al giorno, con la povertà dividono quel cibo che qualche mano caritatevole porge loro (a volte con disprezzo e derisione, altre volte con spontaneo e amorevole gesto di condivisione).

Nel salone della mensa della Caritas a ponte Casilino, campeggia una frase di don Luigi Di Liegro: “Non c’è amore senza condivisione”. Quindi Cristo è sicuramente ricco di Amore – con la A maiuscola –, Amore che vuol dire Dio.

Come dobbiamo interpretare le parole che ci ricorda il Papa nella vi Giornata mondiale dei Poveri di tutte le latitudini, dei profughi che scappano dalle guerre, dei senza casa, dei senza lavoro, dei senza dignità e, in molti casi, dei senza un futuro? Ovviamente citando san Paolo si riferisce a un altro tipo di ricchezza. Quella del Paradiso: gli ultimi saranno i primi ad entrare nella vita eterna assieme ai beati e ai santi e a godere per sempre della gioia di vedere Dio così come Egli è.

Inoltre c’è l’altro famoso passo del Vangelo a ricordare di quale ricchezza stiamo trattando e non è certo quella terrena del conto in banca a sei zeri: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» (Matteo 19,23-30). Anche se ci sono persone, sia del presente sia del passato, che hanno raggiunto la ricchezza in modo onesto.

Un altro messaggio ci viene dal Vangelo di Giovanni (3, 3-5) in cui Gesù si rivolge a Nicodemo: «In verità, in verità io ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio… se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio».

Inoltre la vicenda del ricco Epulone e del mendicante Lazzaro (Luca 16, 25) è un’altra parabola raccontata da Gesù per ricordarci che il Paradiso appartiene agli ultimi: «Abramo rispose: “Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti”». Ed è su queste parole raccontate da Gesù e riportate nel Vangelo di Luca che i poveri, gli affamati e i senza casa dovrebbero basare la loro ricchezza, perché la loro indigenza rappresenta la garanzia di entrare nel Regno dei cieli e banchettare con Abramo.

In pratica la frase: Cristo si è fatto povero per farci ricchi dovrebbe significare creare spazio nel nostro cuore per accogliere il prossimo e andargli incontro per aiutarlo in maniera concreta e non solo a parole. Si diventa ricchi di meriti per entrare in Paradiso per l’eternità, dove non possiamo portare nulla delle nostre proprietà terrene, neanche una bottiglietta d’acqua.

Nuove strade
per la giustizia sociale

La Giornata mondiale dei Poveri nasce per far riflettere tutti sulla condizione dei poveri, degli scartati come molte volte ha detto Papa Francesco, sulle condizioni che generano la povertà e sulle politiche sociali che molto spesso sono fatte per i poveri, ma non con i poveri, che è ben diverso. Si studiano soluzioni per combattere la povertà, per arginare la piaga sociale dell’emarginazione e della solitudine, che ogni giorno accompagna queste persone, ma non si studia insieme ai poveri, non si dialoga con i poveri, per capire, per ascoltare le loro condizioni, le cause e le concause che li hanno portati alla povertà assoluta, a vivere in condizioni di disagio fisico e mentale.

La giustizia sociale, che tutti noi ci auspichiamo si realizzi presto, bisogna che urgentemente trovi delle nuove strade, specialmente nelle politiche attive del lavoro. La Costituzione italiana all’art. 1 ci dice ben chiaro che il nostro bel paese è una repubblica fondata sul lavoro per tutti e in egual modo verso tutti. La dignità umana e civile nasce da questo, dal lavoro che la maggior parte di chi vive in povertà in condizione di disagio ha perso e purtroppo non ha mai più ritrovato. Quindi servono delle politiche sociali non concepite più verso i poveri, ma concepite con e insieme ai poveri, che possano unire tutti indistintamente: persone di ogni razza, di ogni religione, di ogni popolo.

Nessuno deve sentirsi esonerato dal condividere la povertà e il disagio con i poveri, nessuno deve voltarsi dall’altra parte. Chi soffre ha bisogno di aiuto, a volte anche urgente, e a chi ha bisogno di una casa bisogna dare una casa, a chi ha bisogno di un lavoro bisogna dare lavoro, a chi chiede cure mediche bisogna dare assistenza.

Ma a tutti bisogna dare innanzitutto ascolto, amore. Bisogna tendere le mani verso i poveri.

Siamo tornati
ad essere “Strangers
in the night”

Da parte di chi, per sua fortuna, non vive le problematiche della strada è diffusa e forte la diffidenza – quando non il disprezzo – verso chi ha perso tutto, quasi fosse colpa sua.

È facile pensare che costoro siano persone così abbrutite al punto di essere disposte a tutto anche solo per uno spillo, pronte a passare sul cadavere della madre pur di carpire i favori di qualche operatore.

Siamo onesti: persone così ci saranno pure — non neghiamolo —, ma è straordinario vedere quotidianamente come ci si sappia soccorrere, scambiarsi anche il niente che si ha. Perché quando non si ha nulla, qualunque piccola cosa fa la differenza.

Accompagno un amico a ritirare il pacco alimentare, ma abbiamo confuso i giorni d’apertura e troviamo chiuso. Mentre lui già si rassegna ad una cena a base di acciughe rancide e pan muffito, lo blocco: «Aspetta, sono pieno di scatolame. Prendilo tu!».

Il giorno dopo mi ringrazierà anche per la bontà del cibo, che non conosceva e gli è piaciuto molto. Costui d’altronde è capace della quadratura del cerchio: è l’unico in grado di — parole sue — farsi fare l’elemosina (3 euro) da una mendicante.

Ad onor del vero c’è da dire che a costei spesso diamo pacchi alimentari che ritiriamo, anche se non ne abbiamo bisogno, appositamente per darli a lei. Che, non a caso, qualche giorno dopo si sdebita anche con me: una busta con quattro cornetti.

E dell’inversione dei ruoli vogliamo parlare? Il mio amico, pur nella sua/nostra condizione, trova tempo ed entusiasmo per fare a sua volta volontariato in un centro di assistenza; ed assiste personalmente un ragazzo immigrato, un po’ disorientato e bisognoso di essere instradato su un binario sicuro. Ma c’è un’altra solidarietà, del tutto “sui generis” che mi ha stupito.

L’anno scorso, all’epoca delle restrizioni causate dal covid, mi è accaduto di incrociare in strada, sul bus, sguardi di perfetti/e sconosciuti/e evidentemente alla ricerca spasmodica di una sorta di solidarietà, sia pure immateriale.

Mi tornava in mente la canzone famosissima dell’indimenticato Frank Sinatra: «Strangers in the night exchanging glances…» (sconosciuti che di notte si scambiano sguardi). Facciamo qui pure grazia del commento che ne faceva nella sua parodia l’altrettanto indimenticato Gigi Proietti, ma quest’anno — ormai senza mascherine e restrizioni — non succede più, siamo tornati avari di sguardi, indifferenti.

Passata la festa, gabbato lo santo dice il proverbio, ma non sarebbe piuttosto il caso di far tesoro di questa esperienza e ricordarci che in fondo tutti — poveri e ricchi — siamo esseri umani sulla stessa barca?

Curare la piaga
dell’emarginazione

In summa paupertate versaris così i Romani definivano, oltre duemila anni orsono, la gente miserabile, sofferente per la totale privazione di ogni bene materiale e con un’esistenza senza speranza.

Questa è ancora oggi, purtroppo, la condizione di vita di tanta gente bisognosa di aiuti concreti da parte di una umanità sempre più cieca alla miseria ed alle necessità minime per la vita di questi fratelli dimenticati dalla cosiddetta società civile.

La povertà è una condizione sociale di vita sempre imposta e certamente non “desiderata”, che nessun essere umano dovrebbe patire. È certamente un male “endemico” dell’umanità ed i tentativi di lenirla da parte di quanti giornalmente si prodigano ad alleviare le tante sofferenze sono ancora scarsi.

Diamo tutti cristianamente seguito, per quello che possiamo, ai chiarissimi moniti del Santo Padre in occasione della vi Giornata mondiale dei Poveri ed ognuno di noi, nel nostro piccolo, contribuisca ad aiutare i tanti giovani volontari, e non, che cristianamente ogni giorno operano per combattere il flagello, sempre crescente, della povertà, della solitudine e della emarginazione sociale di tanta povera gente, che innocente paga le colpe di una “società” sempre meno interessata a risolvere i veri problemi della povertà e della emarginazione, arrivando spesso, perfino a lucrare ignobili profitti sugli aiuti umanitari.

A mio modesto avviso, è la piaga dell’emarginazione che dobbiamo cercare di curare, perché in realtà è quella che più provoca sofferenza alla povera gente, molto di più della fame e dell’ingiustizia. Cosa faranno i profughi che, incessantemente e drammaticamente, ogni giorno sbarcano sulle nostre coste se ci limitiamo ancora ad ammassarli in centri di raccolta indegni, a dare un pasto e un giaciglio a terra, per poi, in pratica, abbandonarli al proprio destino?

Come potremo dare loro una speranza di integrazione e di futuro, se poi finiscono per vagare senza meta, da strada a strada, e senza nessuna speranza di avvenire, arrivando, per sopravvivere, a delinquere?

C’è ancora molto da fare per vincere la povertà, se mai ci riusciremo!

L’amore fa cadere
i muri dell’indifferenza

Ho molta difficoltà a credere in Dio, ma, nello stesso tempo, credo tantissimo nella forza dell’amore. Ti fa stare vicino a chi soffre. L’amore è l’unica cosa che riesce a far cadere i muri dell’indifferenza, dell’egoismo.

A volte, quando riesci ad aiutare i più deboli, le persone che soffrono, hai la sensazione di toccarlo, di respirarlo.

Credo che l’amore di questo tipo nasca dai dolori della propria esistenza, quei dolori che hai vissuto tu, che ti fanno sentire vicino, solidale con gli altri.

Quelle sofferenze li avvicinano a te, al tuo cuore. Senti che anche tu ti avvicini al loro cuore. Ti avvicini ai loro dolori cercando di alleggerire le loro angosce, come avresti voluto che qualcuno lo facesse a te.

Ricordo mio padre e altri come lui che hanno fatto la guerra. Ricordo i loro discorsi, i racconti, le loro esperienze. Avevano conosciuto la solitudine, la fame, la morte dei loro amici. Erano tutti arrabbiati con Dio. Lo bestemmiavano continuamente (forse era il loro modo di credere). Non lo cercavano mai, erano lontani da lui anni luce, eppure erano uomini, persone di un’umanità incredibile, di una solidarietà fantastica (solidarietà è amore per me).

Quando vedevano famiglie in difficoltà erano i primi ad aiutare, a dare amore, un amore senza calcoli, senza interessi, per questo valeva il doppio: era puro.

Mi sono sempre chiesto da dove gli nascesse questa solidarietà, questo amore. Credo di essere riuscito a darmi una risposta. Quell’amore nasceva dai loro dolori, dalle loro sofferenze. Nei dolori e nelle sofferenze di quelle persone, rivedevano le loro sofferenze e i loro dolori. Quei dolori li avevano toccati con mano e non volevano che nessuno li vivesse.

I loro cuori si aprivano e gridavano di stargli vicino, anche solamente con un sorriso, con una pacca sulle spalle. Allora?!?!? Se è vero (ed è vero), è dal dolore che nasce l’amore.

Sono le nostre esperienze, la nostra esistenza a far predisporre il cuore a stare vicino ai più deboli, quelli che per qualche motivo la vita li fa soffrire.

Quei dolori che hai provato sulla tua pelle e mettono nel tuo cuore una emozione che si trasforma in uno slancio di solidarietà (amore) anche soltanto con un sorriso. Un sorriso che avresti voluto tu.

Mimmo

Stefano Cuneo

Angelo Zurolo

Fabrizio Salvati

Alessandro

Domenico