Il cardinale Parolin alla conferenza organizzata da Caritas internationalis presso l’Unesco

Meno fondi pubblici
per gli armamenti più spesa per l’istruzione delle donne

 Meno fondi pubblici per gli armamenti più spesa per l’istruzione delle donne  QUO-247
27 ottobre 2022

Ribaltare «il rapporto imbarazzante e asimmetrico» tra «i fondi destinati agli armamenti» e «la spesa pubblica per l’istruzione», in particolare quella femminile, nell’attuale contesto di «crisi profonda, esacerbata dalle conseguenze devastanti della pandemia di Covid-19 e da uno scenario geopolitico estremamente pericoloso, di cui le ragazze e le donne continuano a pagare un prezzo» molto alto. È l’investimento audace oggi richiesto agli Stati dal cardinale Pietro Parolin, intervenuto alla Conferenza internazionale organizzata da Caritas internationalis presso la sede dell’Unesco a Parigi.

Trenta i relatori invitati a confrontarsi sul tema «Il vero volto dell’umanità: la leadership delle donne per una società giusta», nella due giorni di lavori che si concludono domani. Oltre al segretario di Stato che ha tenuto il discorso programmatico inaugurale, interviene anche suor Alessandra Smerilli, segretaria del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.

Due intense giornate per fare il punto sulla condizione delle donne nel mondo e per considerare le questioni relative ai loro diritti. In proposito il porporato ha fatto notare come l’Unesco rappresenti «un foro privilegiato di riflessione sulla valorizzazione della donna nella società e nella Chiesa, poiché ricorda la centralità primordiale dell’educazione come chiave di volta dello sviluppo di ogni persona e il modo migliore per affrontare le disuguaglianze».

Del resto, ha spiegato Parolin, «senza il diritto all’istruzione, qualsiasi discorso sulla promozione delle donne rischia di rimanere vuoto». Privilegiare l’educazione, invece, «significa sottolineare l’importanza fondamentale dei processi di crescita umana, spirituale, intellettuale e professionale che consentono loro di affermarsi nella società, al pari degli uomini».

Il cardinale si è soffermato anzitutto sull’inclusione come mezzo educativo. «La capacità di accogliere — ha detto — non è una predisposizione innata, ma richiede sempre uno sforzo per fare spazio alla novità e alla ricchezza dell’altro». Essa «è generalmente il frutto di una formazione permanente alla cultura del dialogo». Quindi «l’inclusione richiede un cuore aperto e uno sguardo libero da stereotipi e convenzioni che escludono o rinchiudono le persone relegandole in categorie astratte o distinguendole in classi “superiori” e “inferiori”, che più o meno meritano attenzione e protezione, o sarebbero più o meno autorizzate a far sentire la voce nello spazio pubblico». Inoltre, ha aggiunto, «con onestà intellettuale» andrebbe «riconosciuto che il nobile obiettivo dell’inclusione non sempre sfugge a interpretazioni riduzionistiche e distorte dell’essere umano, che talvolta si spingono fino a postulare il rifiuto della religione, considerata un ostacolo alla libertà di autodeterminazione della persona, e della donna in particolare». Una «forma di pensiero radicale», l’ha definita, che emerge anche dai rapporti dell’Unesco stessa. Da qui la preoccupazione della Santa Sede per certe derive ideologiche, che «con il pretesto di rispondere ad aspirazioni a volte comprensibili», finiscono «di fatto per ledere la stessa comprensione delle donne e dei loro diritti».

Ecco allora che per assicurare un’autentica emancipazione femminile non è possibile accontentarsi «di risposte astratte e semplicistiche che non rispecchino il coraggio e la volontà di prendere seriamente in considerazione la realtà delle situazioni complesse e dolorose vissute da milioni di ragazze e donne, in contesti geografici e culturali molto differenti». Per Parolin «non si tratta di proporre soluzioni uniche, parziali ed esclusive che sarebbero solo in apparenza più ovvie e immediate»; al contrario «l’inclusione, intesa come mezzo educativo, invita a generare, con pazienza e determinazione, processi che non siano standardizzati o imposti dall’alto, modellati sull’utilità e sul risultato, ma che sappiano unire tutte le componenti della società, attraverso percorsi creativi di crescita umana e responsabile, e rispettosi della dignità della donna».

Il relatore ha poi approfondito in particolare l’aspetto dell’istruzione inclusiva, ricordando l’«elevata percentuale di ragazze e giovani donne emarginate o con difficoltà di accesso» a scuola «rispetto ai coetanei», rimarcando come ciò sia «particolarmente vero nei Paesi in via di sviluppo, dove la popolazione vive in condizioni di estrema povertà». È soprattutto qui che all’abbandono scolastico corrisponde per le ragazze una maggior probabilità di diventare madri in tenera età o di sposarsi prima ancora di essere fisicamente ed emotivamente pronte, con tutte le ripercussioni negative che ne derivano sulla loro salute e sulla loro integrazione nel mondo del lavoro o all’interno delle loro famiglie e comunità, dove sono esposte a stigma, violenza e discriminazione. Ma, ha fatto notare Parolin, questo «è vero anche nei Paesi sviluppati, dove le disparità educative sono spesso legate al reddito, al colore della pelle» e ad altre situazioni di vulnerabilità.

Partendo da tali premesse il segretario di Stato ha deplorato «che la religione sia strumentalizzata per impedire la piena partecipazione delle ragazze e delle giovani donne ai percorsi educativi». Da qui l’auspicio di un’istruzione femminile che sia di qualità e in grado di abbattere «le barriere territoriali, sociali, culturali e politiche che impediscono un accesso veramente equo ai diversi livelli di istruzione e distruggono immediatamente ogni prospettiva di ascesa professionale, che consenta di andare oltre la condizione sociale originaria».

In definitiva l’istruzione può essere “inclusiva e di qualità” solo nella misura in cui è capace di «educare al pensiero critico, proponendo criteri di giustizia sociale che consentano di proteggere dall’iniquità i deboli o gli indifesi»; e solo se in grado di tener «conto della storia personale e familiare di ogni bambino», educando «al rispetto dell’alterità, smascherando le molteplici forme di violenza, abuso e prevaricazione nei confronti delle donne».

Nella parte finale del suo intervento Parolin ha poi approfondito i «valori della femminilità» come «dono per l’umanità». Infatti, ha commentato, «ovunque ci sia bisogno di formazione, si nota l’immensa disponibilità delle donne a impegnarsi in essa, in particolare a beneficio dei più deboli o di chi non ha difese». Di più: «le donne realizzano una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, di valore davvero inestimabile per il suo impatto sullo sviluppo della persona e sul futuro della società». Perciò «la società è largamente debitrice verso le donne.

Da ultimo il segretario di Stato ha parlato dell’impegno istituzionale della Chiesa e della Santa Sede per la leadership femminile. Ammettendo coraggiosamente ritardi e mancanze, ha auspicato «il superamento delle discriminazioni ingiuste e il rispetto di ogni persona al di là delle differenze. Dal concilio Vaticano ii — di cui celebriamo il sessantesimo anniversario — molte donne, consacrate o laiche, si sono progressivamente integrate negli organi collegiali e decisionali della Chiesa universale, fino ad occupare ruoli di responsabilità». Tuttavia, ha osservato, non si può ridurre il tutto «a una ridistribuzione dei ruoli. Deve estendersi in modo più ampio a una migliore comprensione dei mezzi da mettere in atto per dare pieno spazio» al genio femminile, come si evince dal magistero dei Pontefici santi Paolo vi e Giovanni Paolo ii e dello stesso Papa Francesco, perché le donne hanno una «innata capacità di “dare la vita”, di “far essere gli altri”, di prendersi cura degli altri». E «sebbene la riflessione sul progresso delle donne abbia già contribuito a grandi progressi, c’è ancora molto da fare», ha concluso Parolin.