Il magistero

 Il magistero  QUO-241
20 ottobre 2022

Venerdì 14

Non cedere
al ricatto
della guerra

Mi fa piacere incontrare giovani cantanti e musicisti che ispirandosi all’avvenimento del Natale intende[te] promuovere i valori della vita, dell’amore, della pace.

Non cercate di copiare le grandi “star”. Non seguite le mode e gli schemi del successo. Non ripetete i luoghi comuni di un Natale sdolcinato.

Non abbiate paura di essere voi stessi. Vi criticheranno? Sì, ma siate originali, creativi. Fate in modo che alla base delle vostre opere ci sia lo stupore.

Noi abbiamo perso il senso dello stupore, dobbiamo riprenderlo... di fronte all’impensabile: Dio che si fa bambino inerme, nato da una Vergine, in una grotta, e che ha avuto come culla una mangiatoia.

Altro ingrediente è la semplicità, non banalità! Il Presepe è semplice, non banale. I canti di Sant’Alfonso, come “Tu scendi dalle stelle”, sono semplici ma belli, e continuano a farci commuovere e a nutrire la fede... Non è sentimentalismo.

Con questo stile creativo di stupore e semplicità, voi potete dare il vostro contributo alla causa della pace.

In questi mesi è andato crescendo in Europa e nel mondo il fragore della guerra. Non cediamo a questo ricatto! Non cadiamo in questa trappola!

Continuiamo a sognare e a lavorare per la pace, spargendo semi di fraternità e amicizia sociale. Voi lo fate con la musica... linguaggio universale, che oltrepassa confini e barriere.

La musica ha anche un valore educativo... umanizza. Quanto bisogno abbiamo di diventare più umani!

(Ai partecipanti al “Christmas Contest”)

La sinodalità
ha bisogno
di ascolto

Le vostre comunità uniscono i francofoni che, vivendo all’estero, cercano di condividere la fraternità.

Queste Giornate di formazione pastorale che trascorrete a Roma, riflettendo insieme sul processo sinodale della Chiesa, sono un segno di comunione.

I discepoli di Gesù, dopo la sua Ascensione, incominciarono a riunirsi nel Cenacolo... “con un solo cuore”.

Anche noi siamo chiamati a incontrarci e a restare uniti, e a rivolgerci verso gli altri, per lasciarci interpellare dalle domande dei fratelli, per aiutarci a e arricchirci nella diversità di carismi, vocazioni e ministeri.

Forti delle nostre diversità culturali, delle differenze di approccio alla fede, diventiamo esperti nell’arte dell’incontro.

Un incontro può cambiare una vita. E il Vangelo è pieno di questi incontri con Gesù. L’incontro richiede apertura, coraggio, disponibilità a lasciarsi interpellare.

L’incontro trasforma e apre nuove strade che non avevamo immaginato. Lo si scopre presto quando si vive all’estero!

La preghiera, che noi trascuriamo spesso, è necessaria per ascoltare lo Spirito.

Il Sinodo è un cammino di discernimento spirituale ed ecclesiale, che si compie soprattutto nell’adorazione, nella preghiera, nel contatto con la Parola di Dio, e non a partire dalla nostra volontà, dalle nostre idee o dai nostri progetti.

La sinodalità presuppone l’ascolto: dobbiamo sviluppare l’ascolto nella Chiesa.

Così Dio ci mostra la strada, facendoci uscire dalle abitudini, chiamandoci a intraprendere nuove strade come Abramo.

È l’ascolto della sua Parola che ci apre al discernimento e ci illumina.

Se essa non è al cuore della sinodalità, rischiamo di ridurre questo tempo di grazia a una riunione ecclesiale, un colloquio di studio, una specie di parlamento.

Il Sinodo è un processo guidato dallo Spirito, che libera da chiusure, da schemi pastorali ripetitivi e dalla paura.

L’azione dello Spirito libera i discepoli paralizzati dalla paura. Vince le resistenze. Dilata i cuori. È questo cambiamento che permetterà di rinnovare il volto della Chiesa.

Lo Spirito protegge dall’invecchiamento interiore, rende coraggiosi.

Continuate a camminare insieme, per essere Chiesa in uscita verso l’estraneo che attende la Buona Notizia.

(Ai partecipanti alle giornate pastorali
delle Comunità cattoliche francofone nel mondo
)

La lotta contro le ingiustizie non è politica ma evangelica

Ringrazio per questo pellegrinaggio, per la beatificazione dei martiri Rutilio Grande García, Cosme Spessotto, Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus.

I martiri sono «un dono gratuito del Signore», come affermava il beato Spessotto... È Dio che li ha invitati a questa battaglia, che ha dato loro la forza per ottenere la vittoria, e che ora li presenta come cammino da seguire, perché i problemi non sono finiti, la lotta per la giustizia e per l’amore dei popoli continua, e per lottare non bastano le parole, non bastano le dottrine [ma] testimonianze.

Il primo frutto della morte dei beati è stato il ripristino dell’unità nella Chiesa. Questo è stato sottolineato da sant’Óscar Romero nella messa esequiale di padre Rutilio Grande, il 14 marzo 1977.

Ho sentito molto la vita di questi martiri, ho vissuto il conflitto di pro e contro.

Ed è una devozione personale: all’ingresso del mio studio, ho un quadretto con un pezzo dell’alba insanguinata di Sant’Óscar Romero e una catechesi piccolina di Rutilio Grande, perché mi facciano ricordare che ci sono sempre ingiustizie per le quali bisogna lottare.

Le nostre realtà non sono le stesse di allora, ma la chiamata all’impegno, alla fedeltà, a porre la fede in Dio e l’amore per il fratello al primo posto, a vivere di speranza, è atemporale, perché il Vangelo è vivo, non s’impara dai libri, ma dalla vita di quanti ci hanno trasmesso la fede.

In questo momento in cui siamo chiamati a riflettere sulla sinodalità della Chiesa, abbiamo in questi martiri l’esempio migliore di quel «camminare insieme», poiché il padre Grande è stato martirizzato mentre era in cammino verso il suo paese.

È questo che ognuno di voi, vescovi, sacerdoti e agenti di pastorale, chiede oggi al Signore, essere come quel sacerdote — Rutilio — con i suoi contadini — i beati Manuel e Nelson —, sempre in cammino, per identificarsi e vivere con loro.

Lo stesso messaggio è contenuto in un’omelia di padre Rutilio, quando dice che questo camminare insieme non può conformarsi a un «portare a spasso», per conoscere cose nuove.

Non è un portare a spasso il santo in un’immagine devozionale, ma implica fare propria la testimonianza della fede, della speranza e dell’amore che questo santo ci ha lasciato nella sua vita.

Il messaggio di questi martiri ci chiama a identificarci con la loro passione che è l’attualizzazione della passione di Cristo, abbracciando la croce che il Signore offre a ciascuno di noi personalmente.

E questo progetto di cammino spirituale, di preghiera, di lotta, a volte deve assumere la forma della denuncia, della protesta, non politica, mai, evangelica sempre.

Finché ci saranno ingiustizie, finché non si ascolteranno le richieste giuste della gente, finché in un Paese si mostreranno segni di non maturità nel cammino di pienezza del Popolo di Dio, lì ci dovrà essere la nostra voce contro il male, contro la tiepidezza della Chiesa, contro tutto ciò che ci allontana dalla dignità umana e dalla predicazione del Vangelo.

Incoraggiamoci gli uni gli altri, pensiamo a quanti sono in difficoltà nel popolo: i poveri, i detenuti, quelli che non hanno di che vivere, i malati, gli scartati.

(Al pellegrinaggio giunto da El Salvador)

Lunedì 17

Creare posti
di lavoro
per combattere la miseria

Ci tocca un’epoca con noti squilibri economici e sociali. È urgente un’economia adeguata. Tre idee mi sembrano opportune per il vostro cammino come imprenditori.

Primo, la profezia... Nella Bibbia il profeta è colui che parla a nome di Dio, che trasmette il suo messaggio, attraverso il quale favorisce un cambiamento nel contesto in cui vive.

In un contesto caratterizzato dalla guerra e dalla crisi ambientale, spetta a voi realizzare il servizio come profeti che annunciano ed edificano la casa comune, rispettando tutte le forme di vita, interessandosi al bene di tutti e promuovendo la pace.

Senza profezia, l’economia, e in generale tutta l’azione umana, è cieca.

Quando l’economia si trasforma in finanza, tutto diventa liquido o gassoso e finisce come la catena di sant’Antonio.

Secondo, cura del rapporto con Dio... Come la terra, quando è ben coltivata dà abbondanti frutti, così anche noi, quando coltiviamo la salute spirituale, cominciamo a dare frutti buoni.

La conversione economica sarà possibile quando vivremo una conversione del cuore [e] saremo capaci di pensare di più ai bisognosi; quando impareremo ad anteporre il bene comune al bene individuale; quando comprenderemo che la carestia di amore e di giustizia nelle nostre relazioni è la conseguenza di una disattenzione verso il rapporto con il Creatore, e questo si ripercuote anche sulla nostra casa comune.

Allora, potremo invertire le azioni pregiudizievoli che stanno preparando un futuro triste per le nuove generazioni.

Terzo, il lavoro e la povertà. Di questi ci ha dato un’importante testimonianza san Francesco d’Assisi, che portò avanti il restauro della cappella di san Damiano, ma contribuì anche a restaurare la Chiesa.

Con i valori del lavoro e la povertà, che implicano fiducia completa in Dio e non nelle cose, si può creare un’economia che riconcili tra loro tutti i membri delle diverse fasi della produzione, senza che si disprezzino, senza che si creino maggiori ingiustizie o si viva una fredda indifferenza.

Questo non vuol dire che si ami la miseria, che deve essere combattuta.

Voi avete buoni strumenti, come la possibilità di creare posti di lavoro, e contribuire a dare dignità al prossimo.

Abbiamo un rimedio per combattere la malattia della miseria: il lavoro e l’amore per i poveri.

Siate creativi nella pianificazione del lavoro, e questo vi darà molta più forza.

Continuate a trasformare con creatività il volto dell’economia, affinché sia più attenta ai principi etici e non dimentichi che la sua attività è al servizio non di pochi, ma di tutti, specie dei poveri.

L’impresa deve avere [anche] cura di non inquinare. È ancora nelle nostre mani cambiare questa tendenza che sta distruggendo tutto.

(A un gruppo di imprenditori spagnoli)

Povertà
di spirito
e di beni
per essere
disponibili
al Signore

Osservare Gesù. Come un bambino osserva il papà o il migliore amico. Osservare il suo modo di fare, il suo volto, pieno di amore e di pace, a volte sdegnato di fronte all’ipocrisia e alla chiusura, e anche turbato e angosciato nell’ora della passione.

E questo osservare farlo insieme, non individualmente, farlo in comunità. Ciascuno col proprio passo, con la propria storia unica e irripetibile, però insieme.

Come i Dodici, che stavano sempre con Gesù. Non si erano scelti loro, Lui li aveva scelti. Non era sempre facile andare d’accordo: erano diversi, ciascuno con i suoi “spigoli” e il suo orgoglio.

Anche per noi non è semplice. Eppure, non finisce di stupirci e di darci gioia questo regalo ricevuto: essere sua comunità, così come siamo, non perfetti, non uniformi; ma con-vocati, coinvolti, chiamati a camminare insieme dietro al Maestro.

[Serve] un impegno costante di conversione da un io chiuso a un io aperto, da un cuore centrato su di sé a un cuore che esce da sé e va incontro all’altro.

E questo vale anche per la comunità: da una comunità autoreferenziale a una estroversa, accogliente e missionaria.

È il movimento che sempre lo Spirito Santo cerca di imprimere alla Chiesa.

Un movimento che risale alla Pentecoste, il “battesimo” della Chiesa. Lo stesso Spirito ha suscitato e suscita una varietà di carismi, una grande “sinfonia”.

Le forme sono tante, diverse, ma per essere parte della sinfonia ecclesiale devono obbedire a questo movimento di uscita.

Non un andare caotico, in ordine sparso: un andare insieme, tutti sintonizzati sull’unico cuore della Chiesa che è l’amore, come afferma con entusiasmo Santa Teresa di Gesù Bambino.

Non c’è comunione senza conversione, e questa è necessariamente frutto della Croce di Cristo e dell’azione dello Spirito, sia nelle singole persone, sia nella comunità.

A motivo della vostra vocazione contemplativa, voi non vi accontentate di mettere insieme le diversità a livello superficiale, le vivete anche sul piano dell’interiorità, della preghiera, del dialogo spirituale.

Questo arricchisce la “sinfonia” di risonanze più profonde e più generative.

Un altro aspetto è il proposito di una maggiore povertà, sia di spirito sia di beni, per essere più disponibili al Signore, con tutte le forze, le fragilità e le fioriture che dona.

La prima cosa che cerca il maligno è rubare la speranza.

Perché la povertà evangelica è piena di speranza, fondata sulla beatitudine.

(Al capitolo dell’ordine cistercense)

Mercoledì 19

Riconoscere
i piccoli
miracoli
quotidiani
della vita

Oggi ci soffermiamo su un altro ingrediente indispensabile per il discernimento: la propria storia di vita. La vita è il “libro” più prezioso che ci è stato consegnato, un libro che tanti purtroppo non leggono o lo fanno troppo tardi. Eppure, in quel libro si trova quello che si cerca inutilmente per altre vie.

Sant’Agostino, un grande cercatore della verità, lo aveva compreso rileggendo la sua vita, notando in essa i passi silenziosi ma incisivi, della presenza del Signore.

Da qui il suo invito a coltivare la vita interiore per trovare ciò che si cerca. Un invito che farei a voi, anche a me stesso.

Molte volte abbiamo fatto anche noi l’esperienza di Agostino, di ritrovarci imprigionati da pensieri che ci allontanano da noi stessi, messaggi stereotipati che ci fanno del male.

Leggere la propria storia significa anche riconoscere la presenza di elementi “tossici”, ma per poi allargare la trama del racconto, imparando a notare altre cose, rendendolo più ricco, più rispettoso della complessità, riuscendo anche a cogliere i modi discreti con cui Dio agisce.

Premio Nobel alla negatività

Io conobbi una persona di cui la gente che la conosceva diceva che meritava il Premio Nobel alla negatività.

Poi ha trovato un’altra persona che l’ha aiutata e ogni volta che si lamentava, l’altra diceva: “Ma adesso, per compensare, di’ qualcosa buona di te” e poco a poco lo ha aiutato ad andare avanti.

Il discernimento ha un approccio narrativo: non si sofferma sull’azione puntuale, la inserisce in un contesto.

Il racconto delle vicende della vita consente anche di cogliere sfumature e dettagli importanti, che possono rivelarsi aiuti fino a quel momento rimasti nascosti.

Per esempio, una lettura, un servizio, un incontro, a prima vista ritenuti cose di poca importanza, nel tempo successivo trasmettono una pace interiore, trasmettono la gioia di vivere e suggeriscono ulteriori iniziative di bene.

Fermarsi e riconoscere questo è indispensabile... per il discernimento, è un lavoro di raccolta di quelle perle preziose e nascoste che il Signore ha disseminato nel nostro terreno.

Perché il bene ha pudore e si nasconde... è silenzioso, richiede uno scavo lento e continuo.

Perché lo stile di Dio è discreto: a Dio piace andare nascosto, con discrezione, non si impone; è come l’aria che respiriamo, non la vediamo ma ci fa vivere, e ce ne accorgiamo solo quando viene a mancare.

Abituarsi a rileggere la propria vita educa lo sguardo, lo affina, consente di notare i piccoli miracoli che il buon Dio compie per noi ogni giorno.

Quando ci facciamo caso, notiamo altre direzioni possibili che rafforzano il gusto interiore, la pace e la creatività.

Liberi
da stereotipi tossici

Soprattutto ci rende più liberi dagli stereotipi tossici. Saggiamente è stato detto che l’uomo che non conosce il proprio passato è condannato a ripeterlo.

Se non conosciamo la strada fatta, il passato, lo ripetiamo sempre, siamo circolari. La persona che cammina circolarmente non va avanti mai, non c’è cammino, è come il cane che si morde la coda.

Un’esperienza bella dei fidanzati [è] che quando fanno sul serio raccontano la propria vita.

Si tratta di una delle forme di comunicazione più belle e intime [che] permette di scoprire cose fino a quel momento sconosciute, piccole e semplici.

Anche le vite dei santi costituiscono un aiuto prezioso per riconoscere lo stile di Dio nella propria vita.

Consentono di prendere familiarità con il suo modo di agire. È quanto accadde a Sant’Ignazio di Loyola.

Quando descrive la scoperta fondamentale della sua vita, dice [di sé]: «Dall’esperienza aveva dedotto che alcuni pensieri lo lasciavano triste, altri allegro; e a poco a poco imparò a conoscere la diversità dei pensieri, la diversità degli spiriti che si agitavano in lui».

Conoscere cosa succede dentro di noi, stare attenti. Il discernimento è la lettura narrativa dei momenti belli e dei momenti bui, delle consolazioni e delle desolazioni che sperimentiamo nel corso della vita.

Nel discernimento è il cuore a parlarci di Dio, e noi dobbiamo imparare a comprendere il suo linguaggio.

Chiediamoci, alla fine della giornata: cosa è successo oggi nel mio cuore?

Alcuni pensano che fare questo esame di coscienza è fare la contabilità dei peccati, ma è anche imparare a discernere cosa succede dentro di noi.

(Udienza generale in piazza San Pietro)