Intervista a Kathleen Rogers, presidente mondiale di Earth Day

Per la Cop27 speriamo
nella forza nei giovani

Climate change activists participate in an environmental demonstration as part of a global youth-led ...
17 ottobre 2022

Dal 6 al 18 novembre prossimo, nel paradiso naturalistico egiziano di Sharm el Sheikh, le Nazioni Unite torneranno a negoziare una politica globale sul Clima, per la 27a volta, con l’obiettivo di contrastare i cambiamenti climatici che sono alla base di una crisi socio-ambientale planetaria senza precedenti.

La speranza dell’opinione pubblica mondiale per il successo della Cop27 è già stata gravemente mortificata da alcuni segnali molto negativi, che fanno ben comprendere quanto sia complesso per queste conferenze mondiali mettere al primo posto il futuro e la qualità della vita dell’intera umanità. È infatti difficile credere alla genuinità della Cop quando questa viene sponsorizzata da una delle multinazionali che più di ogni altra immette plastica monouso sul mercato(!) Così come è difficile credere che 193 Paesi possano sottoscrivere accordi vincolanti per la riduzione delle emissioni di gas serra, quando Paesi di grande importanza hanno un atteggiamento ambiguo rispetto a questo evento. D’altro canto non ci stancheremo mai di ricordare come dal primo Summit mondiale sull’ambiente del 1992 a Rio de Janeiro, le emissioni di gas clima alteranti siano sempre andate aumentando fino a rendere ormai irreversibili i cambiamenti climatici. Basti pensare che dal 1992 ad oggi le emissioni di CO2 hanno subito lo sconvolgente incremento del 100 per cento. In occasione della recente assemblea generale dell’Onu a New York, il segretario generale António Guterres ha ricordato al mondo intero che «le emissioni globali devono essere ridotte del 45% entro il 2030 per avere qualche speranza di raggiungere l’obiettivo, ormai vitale per l’umanità, di una neutralità climatica nel 2050. Ma le emissioni stanno salendo a livelli record, e porteranno ad un aumento del 14% proprio in questo decennio decisivo». Ma cos’è che ci rende così ciechi o così folli da non decidere di correre ai ripari? Perché l’umanità sembra incapace di reagire alla crisi pur sapendo che in questo modo scrive la sua condanna? Lo abbiamo chiesto a Kathleen Rogers, presidente mondiale dell’Earth Day Network di Washington, la Ongche da oltre cinquant’anni si batte per la tutela del Pianeta in partnership con il Segretariato Generale delle Nazioni Unite.

Presidente, gli scienziati ci avvertono che le attuali 419 parti per milione di CO2 in atmosfera rendono il cambiamento climatico irreversibile e che quando la CO2 supererà le 450 parti per milione la specie umana sarà in serio rischio di estinzione. Ma perché l'umanità non agisce?

La verità è che l'umanità sta agendo, ma non abbastanza velocemente. Earth Day Network promuove l’investimento sul nostro pianeta e questo può accadere a più livelli: coinvolgendo imprese, governi e cittadini. Agire in modo efficace quando sono coinvolti tutti i livelli della società è qualcosa di molto complesso. Ma non c’è altra strada e dobbiamo essere tutti consapevoli che la questione è drammaticamente urgente, perché in gioco c’è il nostro futuro.

Cosa rallenta allora le decisioni?

Uno dei temi centrali è quello dell’equità degli interventi. I paesi sviluppati generano da soli il 79% delle emissioni di carbonio, ma gli impatti dei cambiamenti climatici sono spesso molto più significativi nei paesi poveri che delle emissioni non sono quasi per nulla responsabili. Esiste allora un problema di giustizia climatica che la Cop deve prima affrontare se si vuole procedere verso delle reali soluzioni.

Ma cos’è che impedisce ai leader mondiali di definire un accordo chiaro e vincolante?

La questione climatica non è una questione semplice da gestire a livello globale. Intervengono sui negoziati numerosi elementi di complessità: ci sono priorità locali che entrano in contrasto con gli obiettivi globali; ci sono figure politiche senza alcuna volontà di fare investimenti a lungo termine; molti governi non riconoscono neanche le opportunità economiche offerte dalla transizione ecologica…a volte sono solo dei semplici problemi di comunicazione a mortificare le volontà politiche o a rendere inefficaci delle buone iniziative.

Quanto peso hanno le lobby dell’economia fossile in questi negoziati? E che cosa possono fare le organizzazioni come la vostra per contrastarle?

I lobbisti dell'industria svolgono certamente un ruolo molto significativo sulle politiche dei governi. Solo negli Stati Uniti il Governo stanzia ogni anno circa 20 miliardi di dollari di sussidi in questa direzione. Le lobby minano profondamente lo sviluppo sostenibile e ostacolano la transizione verso le energie rinnovabili. La lobby petrolifera in particolare lavora instancabilmente contro gli obiettivi di organizzazioni come la nostra. Quello che possiamo fare è aiutare, educare e incoraggiare i cittadini ad assicurarsi che i politici eletti siano informati e comprendano le vere priorità della società civile. Possiamo anche aiutare, sostenere e amplificare quelle voci importanti che spesso sono poco ascoltate o rappresentate; come anche produrre cambiamento attraverso attività concrete. In Earth Day Network ad esempio abbiamo un progetto di punta per l’educazione chiamato “Global Education Program”.

Anche quest’anno i giovani stanno dando il loro contributo ai negoziati sul Clima con la Youth4Climate e tante altre iniziative internazionali. Sono una categoria particolarmente coinvolta nella crisi ambientale. Cosa si può fare affinché la loro voce venga davvero ascoltata?

Il loro coinvolgimento avrà un impatto sempre maggiore. Ma ci sono molti modi per accelerare la loro influenza sui negoziati. Alla Cop27 Earth Day Network avrà un padiglione specifico sull'educazione ambientale. Primo nel suo genere, perché interamente dedicato all'alfabetizzazione climatica, questo spazio offrirà ai giovani l’opportunità di essere ascoltati all'interno della “Blue Zone”, area dedicata ai negoziati internazionali che vedrà la partecipazione dei più importanti leader a livello mondiale. Ci auguriamo che questi spazi possano ospitare e amplificare le voci dei giovani non presenti in Egitto per avere il massimo impatto sui decisori politici.

di Pierluigi Sassi