Udienza a pellegrini di El Salvador

La lotta contro le ingiustizie non dev’essere politica
ma evangelica

 La lotta contro le ingiustizie  non dev’essere politica ma evangelica  QUO-236
14 ottobre 2022

La lotta contro le ingiustizie «a volte deve assumere la forma della denuncia, della protesta, non politica, mai, evangelica sempre». Lo ha detto il Papa ai partecipanti al pellegrinaggio promosso dalla Conferenza episcopale di El Salvador in segno di ringraziamento per la beatificazione dei martiri Rutilio Grande García, Cosme Spessotto, Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus, avvenuta il 22 gennaio scorso nella capitale salvadoregna. Ricevendoli in udienza stamane, venerdì 14 ottobre, nella Sala Clementina, il Pontefice ha pronunciato in spagnolo il discorso che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana.

Cari fratelli nell’episcopato,
Signor vice-presidente della nazione, gentile signora,
cari fratelli in Cristo,

Ringrazio monsignor José Luis Escobar Alas, Arcivescovo di San Salvador, per le sue parole cortesi, e ottimiste, forse troppo, e tutti voi per la deferenza che avete mostrato nell’organizzare questo pellegrinaggio alla tomba di Pietro, al fine di rendere grazie a Dio per la beatificazione dei martiri Rutilio Grande García, Cosme Spessotto, Manuel Solórzano y Nelson Rutilio Lemus.

I martiri, lo sappiamo tutti, sono «un dono gratuito del Signore», come affermava il beato Cosme Spessotto, il dono più prezioso che Dio ha potuto dare alla Chiesa, poiché in loro si attualizza quell’«amore più grande» che Gesù ci ha mostrato sulla croce. Il loro sangue non si unisce a quello del Salvatore semplicemente in virtù dell’imitazione del maestro da parte del discepolo, o del Signore da parte del servo, ma è una forma di unione mistica, che i Padri hanno visto rappresentata nelle gocce di sangue che scorrono sul corpo di Gesù nel Getsemani (cfr. sant’Agostino, Esposizione sul salmo 85). Quelle quattro gocce, come rubini ricamati sulla tunica inconsutile di Gesù, sono gioielli preziosi per i quali rendiamo grazie in primo luogo a Dio. È Lui che li ha invitati a questa battaglia, che ha dato loro la forza per ottenere la vittoria, e che ora ce li presenta per la nostra edificazione come cammino da seguire, perché i problemi non sono finiti, la lotta per la giustizia e per l’amore dei popoli continua, e per lottare non bastano le parole, non bastano le dottrine, che sono sì necessarie, ma non bastano; bastano testimonianze, ed è questo che dobbiamo seguire. Perciò dico che sono un dono per la nostra edificazione, un dono immenso, sia per la Chiesa che peregrina a El Salvador sia per la Chiesa universale, e il loro significato resterà sempre nel mistero di Dio.

Questa realtà può e deve essere approfondita nelle nostre comunità. È interessante notare che il primo frutto della morte dei beati è stato il ripristino dell’unità nella Chiesa. Questo fatto è stato sottolineato da sant’Óscar Romero nella messa esequiale di padre Rutilio Grande, il 14 marzo 1977, quando scriveva emozionato come «il clero si stringe insieme al suo vescovo», riconoscendo che è in quella testimonianza di unità che «i fedeli capiscono che c’è un’illuminazione di fede che ci sta conducendo [...] Una motivazione di amore». Ho sentito molto la vita di questi martiri, l’ho vissuta molto, ho vissuto il conflitto di pro e contro. Ed è una devozione personale: all’ingresso del mio studio, ho un quadretto con un pezzo dell’alba insanguinata di Sant’Óscar Romero e una catechesi piccolina di Rutilio Grande, perché mi facciano ricordare che ci sono sempre ingiustizie per le quali bisogna lottare, e loro hanno tracciato il cammino.

Sant’Óscar Romero concludeva la sua omelia dicendo: «Cerchiamo di capire questa Chiesa, lasciamoci ispirare da questo amore, viviamo questa fede e vi assicuro che c’è una soluzione ai nostri grandi problemi». C’è una soluzione. Mi sembra che questo possa essere un buon itinerario per “rimuginare” nella preghiera queste parole che, mediante il sangue di quei testimoni, Dio ha pronunciato alla Chiesa in El Salvador. Le nostre realtà non sono sicuramente le stesse di allora, ma la chiamata all’impegno, alla fedeltà, a porre la fede in Dio e l’amore per il fratello al primo posto, a vivere di speranza, è atemporale, perché è il Vangelo, un Vangelo vivo, che non s’impara dai libri, ma dalla vita di quanti ci hanno trasmesso il deposito della fede.

In questo momento in cui siamo chiamati a riflettere sulla sinodalità della Chiesa, abbiamo in questi martiri l’esempio migliore di quel «camminare insieme», poiché il padre Grande è stato martirizzato mentre era «in cammino verso il suo paese» (Sant’Óscar Romero, Omelia, 14 marzo 1977). È questo che ognuno di voi, vescovi, sacerdoti e agenti di pastorale, chiede oggi al Signore, essere come quel «sacerdote — Rutilio — con i suoi contadini — i beati Manuel e Nelson — , sempre in cammino verso il suo paese, per identificarsi con loro, per vivere con loro» (cfr. ibidem). Lo stesso messaggio è contenuto in un’omelia di padre Rutilio, quando dice che questo camminare insieme non può conformarsi a un «portare a spasso», per conoscere cose nuove, non è un portare a spasso. No. Un portare a spasso il santo in un’immagine devozionale, per esempio, ma implica, soprattutto, fare propria la testimonianza della fede, della speranza e dell’amore che questo santo ci ha lasciato nella sua vita.

Il messaggio di questi martiri ci chiama a identificarci con la loro passione che, come abbiamo detto, è l’attualizzazione della passione di Cristo nel momento presente, abbracciando la croce che il Signore offre a ciascuno di noi personalmente. E questo progetto di cammino, di cammino spirituale, di preghiera, di lotta, a volte deve assumere la forma della denuncia, della protesta, non politica, mai, evangelica sempre. Finché ci saranno ingiustizie, finché non si ascolteranno le richieste giuste della gente, finché in un Paese si mostreranno segni di non maturità nel cammino di pienezza del Popolo di Dio, lì ci dovrà essere la nostra voce contro il male, contro la tiepidezza della Chiesa, contro tutto ciò che ci allontana dalla dignità umana e dalla predicazione del Vangelo.

La croce di Gesù è la croce di tutti ed è la croce della Chiesa come corpo di Cristo, che lo segue fino al sacrificio. Incoraggiamoci gli uni gli altri, pensiamo a quanti sono in difficoltà nel nostro popolo: i più poveri, i detenuti, quelli che non hanno di che vivere, i malati, gli scartati. E ringraziamo Dio di potere camminare con la forza della fede per servire il nostro popolo. Che Dio vi benedica e la Vergine vi custodisca. Grazie.