11 ottobre 1962: Sessant’anni fa l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II

La via ecumenica è aperta
e non potrà più chiudersi

 La via ecumenica è aperta e non potrà più chiudersi  QUO-233
11 ottobre 2022

Quando Papa Giovanni XXIII annunciò la convocazione di un grande concilio di tutti i cristiani, nel mondo ortodosso, soprattutto nel nostro beato predecessore, il patriarca Athenagoras, sorse la speranza che si stesse per convocare un grande concilio ecumenico di tutte le Chiese cristiane, allo scopo di trovare vie per l’unità del Corpo di Cristo. D’altra parte, la esperienza di Angelo Roncalli con l’Oriente si era consolidata con la presenza di questi, quale delegato apostolico, prima in Bulgaria e poi in Grecia e Turchia. Risale ancora al marzo 1927 il primo incontro del futuro Papa con l’allora patriarca ecumenico Basilio III, il quale gli aveva confidato la sua preoccupazione per la disunione del mondo cristiano ed il suo desiderio perché si convocasse un concilio generale di tutta la cristianità.

Angelo Roncalli arrivò dapprima in Bulgaria nel 1925 dove restò fino al 1934, quando divenne delegato apostolico in Turchia e Grecia, carica che conservò fino al 1944. Anni certamente difficili sia sul piano politico dell’Europa di allora, uscita dalle grandi divisioni lasciate aperte dalla prima Guerra mondiale e nel turbinio di eventi che sconvolgeranno il mondo con la seconda Guerra mondiale. Ma anche anni di indifferenza tra le Chiese, se non anche di aperta rivalità nella ufficialità delle loro relazioni. Diverso invece era l’approccio personale tra gli uomini di Chiesa nel privato, nella loro intrinseca consapevolezza di dover lavorare assieme per il popolo di Dio, nella coscienza di appartenere allo stesso Dio uno e trino, alla unica Chiesa di Cristo che in Cristo non potrà mai essere divisa nella sua comunione invisibile. In Bulgaria la figura di Angelo Roncalli diviene esperienza di questa comunione invisibile, con l’esarca Stefano e il suo Sinodo, come con i semplici fedeli, «abbandonato alla santa volontà del Signore anche nelle piccole cose», come scrisse in una nota nel 1934. Un uomo, un credente, un vescovo che comprese bene che «Cattolici e Ortodossi non sono dei nemici, ma dei fratelli» nonostante le tante incomprensioni e problematiche di quegli anni.

I suoi anni in Turchia e Grecia sono determinanti per incontrare questi due mondi tanto vicini allora ma anche tanto diversi, allontanatisi dopo le esperienze dolorose che li hanno colpiti e prossimi a vivere ancora nuove preoccupazioni, nuove disgregazioni, nuovi conflitti. In Turchia e Grecia, il futuro Giovanni XXIII si fa pescatore di uomini, alla sequela di Cristo, si sente pescatore attivo, osservando il duro lavoro dei pescatori del Bosforo e si fa uomo di carità evangelica nel soccorrere i tanti rifugiati di varie etnie che si ammassavano a Istanbul, a Costantinopoli; si fa uomo di soccorso nella grande carestia in Grecia durante la guerra, interviene per salvare e rafforza contatti, superando antichi pregiudizi. Ma è sempre anche un uomo spirituale che accorre ad ascoltare le liturgie greche ed armene, per il suo grande amore per la liturgia. Non sempre è compreso dai suoi, non sempre viene supportato in questa esperienza di vita, i cui frutti si vedranno durante il suo Pontificato e nella sua visione del concilio Vaticano II. Come è stato scritto, «l’Oriente per Roncalli, è stato una scuola di ecumenismo». In quei tempi così difficili egli è riuscito a creare una atmosfera di confidenza con tutti.

Come dicevamo all’inizio, l’annuncio del concilio Vaticano II sembra, agli occhi del Patriarca Athenagoras, il consolidarsi del desiderio espresso dal beato predecessore Basilio III a Roncalli del 1927. Egli ne aveva salutato la elezione col verso preso dal Vangelo di Giovanni: «Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni» (Gv 1, 6). Agli occhi del mondo ortodosso pare la risposta della Chiesa di Roma alle encicliche del 1902 del patriarca ecumenico Gioacchino III e del 1920 sulla unità della Chiesa. Il mondo ortodosso viene attraversato da entusiasti e da scettici della iniziativa di un concilio ecumenico. Quando si comprenderà che questo concilio riguarderà solo la Chiesa romana, vi sarà una certa delusione e si penserà ad una limitazione imposta alle idee di Papa Giovanni. Ma il patriarca Athenagoras non demorderà nel far giungere a Roma il suo grande desiderio di superare il passato e di camminare sulle vie dell’incontro, dimostrando così un interesse per la iniziativa della Chiesa di Roma. Questo desiderio di unità inter-cristiana è sorretto anche da una ritrovata unità reale pan-ortodossa, con le visite dei vari primati al Fanar e le sorprendenti visite del patriarca Athenagoras alle Chiese ortodosse autocefale, i cui contatti produrranno le Conferenze pan-ortodosse di Rodi nel 1961 e il lento ma inesorabile cammino verso il santo e grande Concilio di Creta nel 2016. La via ecumenica è aperta a Oriente e ad Occidente e non potrà più essere chiusa.

Il concilio Vaticano II sarà di grande interesse per il mondo ortodosso, per i suoi teologi e per i suoi pastori, sarà seguito in tutte le sue fasi e in tutti i suoi documenti. La Chiesa di Roma entra nel movimento ecumenico a pieno titolo, superando la teoria del ritorno, ma soprattutto questo concilio è veramente «la logica conseguenza di tutta la vita di Papa Giovanni», è il suo saluto alla fine della giornata dopo l’apertura del concilio: «Guardiamoci così, nell’incontro, per cogliere quello che unisce, tralasciando quello che ci può tenere disuniti...».

Ricordando pertanto questo concilio da parte ortodossa, molti sarebbero i temi che hanno suscitato vivo interesse, ma vogliamo ricordare uno di questi che è parso importante per la sensibilità ortodossa, ossia la costituzione sulla sacra liturgia ed il suo richiamarsi alla tradizione, non come un archeologismo, ma come una espressione viva della Chiesa, enunciando il principio del ritorno «ad pristinam Sanctorum Patrum normam», il ritorno alle fonti più antiche delle varie liturgie della Chiesa, evidenziandone la sua più fruttuosa spiritualità nella attiva partecipazione dei fedeli, una comunità che celebra, atto pastorale che nasce dall’opera di Redenzione di Cristo, priva di funzioni sociologiche o psicologiche, sempre una, anche nella diversità dei riti. Essa torna ad essere “opera del popolo” in cui collegio sacerdotale e fedeli formano un solo corpo liturgico, nel quale ciascuno riveste la sua funzione particolare.

La centralità dell’Eucarestia, la preghiera comune, le letture bibliche, la concelebrazione, l’utilizzo della lingua viva, la possibilità della comunione nelle due specie, rimandano alle parole di san Giovanni Crisostomo: «Tutta l’Eucarestia è stata offerta una volta e non è mai esaurita. L’Agnello di Dio, sempre mangiato e mai consumato». (In Epist. Ad Hebr., Hom. 17; pg 63, 131).

Papa Giovanni XXIII, lo abbiamo già detto, amava la liturgia, come la più alta forma di preghiera della Chiesa; la liturgia è segno di unità tra Dio e l’uomo e tra l’uomo e Dio. In ogni rito della liturgia troviamo ciò che unisce al di sopra di tutto e per tutto. Il concilio Vaticano II ha ridato questa centralità alla liturgia romana; a noi tutti cristiani di oggi, il dovere di operare per ritrovare la nostra unità in quell’unico Pane e in quell’unico Calice, il Cristo «colui che è spezzato e non diviso, sempre mangiato e mai consumato, ma che santifica quelli che ne partecipano» (Divina liturgia di san Giovanni Crisostomo).

di Bartolomeo
Patriarca ecumenico