Il magistero

 Il magistero  QUO-229
06 ottobre 2022

Venerdì 30 settembre

Insegnare
è un’opera
di misericordia
spirituale

Di fronte alla recente scomparsa di fra’ Aníbal Fosbery, che vi ha fondati nel 1962, possiamo rendere grazie a Dio per i buoni frutti che lo Spirito ha suscitato.

Una delle novità del Concilio è stata prendere coscienza dei diritti e dei doveri dei laici rispetto alla missione evangelizzatrice, che anche loro possiedono, grazie al battesimo.

Sui laici ricade la responsabilità di portare la luce del Vangelo alle realtà temporali, in comunione con i pastori.

Oggi vediamo come la vostra Fraternità ha accolto il messaggio conciliare e ha dato avvio a diversi progetti per l’evangelizzazione della cultura, della gioventù e della famiglia, creando istituzioni educative, come scuole, università e residenze.

La sfida evangelizzatrice che condividete, soprattutto nell’ambito delle città plurali, multiculturali e multireligiose, implica una grande umiltà per sapersi avvicinare a tutti, senza escludere nessuno, anche a quelli che non condividono la nostra fede.

Entrare in dialogo con le persone, i loro sogni, le loro ferite e le loro fatiche.

Nel carisma che realizzate per mezzo dell’educazione, è importante ricordare che insegnare è una delle opere di misericordia spirituali.

L’educazione non si esaurisce nel condividere conoscenze o nello sviluppare abilità, ma aiuta a tirare fuori il meglio, a lucidare il diamante che il Signore ha posto in ognuno.

Contribuisce a far sì che tale diamante lasci passare la Luce, che è Cristo e che così brilli in mezzo al mondo.

Ma il Signore ci rende partecipi della sua luce, e per questo ognuno dei suoi discepoli illumina il mondo, allontanando le tenebre e trasformando la realtà.

(Discorso consegnato alla “Fraternidad
de Agrupaciones Santo Tomás de Aquino” - Fasta)

Per uno sport
accessibile

La promozione di uno sport che sia per tutti, che sia “coeso”, “accessibile” e “a misura di ogni persona”: un grande impegno, una sfida che nessuno è in grado di portare avanti da solo.

Per raggiungere obiettivi alti e difficili — altius, citius, fortius — serve fare gioco di squadra, mettersi insieme, communiter.

La Chiesa crede nell’attività sportiva come luogo di incontro tra persone.

Lo sport è di casa nella Chiesa, specie in scuole, oratori, centri giovanili.

Fa crescere un senso di partecipazione, condivisione, fa sentire parte di un gruppo. Mi piace ricordare agli atleti, anche professionisti, di non perdere il gusto del gioco, conservando uno spirito “amatoriale”.

Lo sport è un generatore di comunità... Abbiamo bisogno di una pedagogia di pace a partire dalle relazioni interpersonali per arrivare a quelle tra i popoli.

L’“usa e getta” è comune... voi potete aiutare a combattere la cultura dello scarto.

Quante persone, che si trovavano in condizioni di marginalità, hanno superato i pericoli dell’isolamento e dell’esclusione attraverso lo sport!

Praticare uno sport può diventare una via di riscatto personale e sociale, per recuperare dignità!

Al di fuori di questa logica, si corre il rischio di cadere nella “macchina” del business, del profitto, di una spettacolarità consumistica che produce “personaggi”.

Lo sport sia accessibile a tutti. Rimuovere barriere fisiche, sociali, culturali ed economiche che precludono.

Tutti abbiano la possibilità di praticare sport, di coltivare – di “allenare” – i valori dello sport e trasformarli in virtù.

Insieme dev’esserci l’accoglienza: è importante che io trovi la porta aperta, ma anche che ci sia qualcuno che mi accoglie.

Qualcuno che aiuta a superare pregiudizi, paure, a volte l’ignoranza.

Così ogni persona può sviluppare i propri talenti, a partire dalla propria condizione, anche di fragilità o disabilità.

Nessuno è un superuomo o una superdonna: avete limiti e cercate di dare il meglio.

(A un convegno internazionale sullo sport)

Né Peter Pan
né «belli
addormentati
nel bosco»

Ho saputo delle iniziative che avete realizzato riguardo alla difesa dell’ambiente, alla sostenibilità, alla fraternità umana e all’attenzione verso i poveri e vulnerabili.

Non siete gente “addormentata”, ma ragazzi svegli. E state partecipando attivamente al Patto Educativo Globale.

Voglio dirvi due cose prendendo spunto dalla stupenda ragazza di nome Orsola.

Una bellezza eccezionale, che ha ispirato molti giovani, tra cui Angela Merici, che nel suo nome ha realizzato l’opera educativa delle “orsoline”.

Fate emergere la vostra bellezza! Non quella secondo le mode.

In un mondo soffocato da tante brutture, possiate portare quella bellezza che ci appartiene dal primo momento.

Perché se è vero, come diceva il principe Myškin nell’Idiota di Dostoevskij, che la bellezza salverà il mondo, bisogna però vigilare perché il mondo salvi la bellezza.

Vi invito a stringere con tutti i giovani del mondo un “patto globale della bellezza”, perché non c’è educazione senza bellezza. Non quella piegata su sé stessa, come Narciso.

E nemmeno la bellezza che scende a patti con il male, come Dorian Gray.

Parliamo di quella bellezza che non sfiorisce perché riflesso della bellezza divina.

Gesù ci ha rivelato uno splendore che si comunica, che agisce; una bellezza che si incarna per potersi condividere; che non ha paura di sporcarsi, di sfigurarsi pur di essere fedele all’amore di cui è fatta.

Non potete rimanere dei “belli addormentati nel bosco”: siete chiamati a fare qualcosa. La vera bellezza è sempre feconda, spinge a mettersi in movimento... a non sentirsi mai “arrivati”.

Non isolatevi rinchiudendovi nella vostra stanza — come dei Peter Pan che non vogliono crescere, o come gli hikikomori che hanno paura di affrontare il mondo —, ma siate aperti e coraggiosi come sant’Orsola, la “piccola orsa”, che affrontò attacchi fino al martirio.

Siate anche voi dei “piccoli orsi” che non fuggono dalle proprie responsabilità. Come? Difendendo la bellezza sfregiata di tanti reietti; aprendovi all’accoglienza, soprattutto dei più vulnerabili ed emarginati; guardando l’altro diverso da me non come una minaccia ma come una ricchezza.

E difendendo anche la bellezza ferita del creato, adottando stili di vita sobri.

((Messaggio al progetto orsolino del Patto educativo globale)

Sabato 1 ottobre

Formatori
di coscienza
morale

Lasciare le zone di confort e andare a missionare. Quali sono le zone di confort che ha una congregazione?

Ognuno si aggiusta i voti come vuole. E allora può praticare la povertà con conto bancario, la castità con compagnia e l’obbedienza e decidendo come vuole.

Ciò che produce una deformazione nei tre voti è il confort.

Da lì entra il male, perché si cerca una vita di borghesia.

Un redentorista senza l’orizzonte della missione non ha senso, anche se deve star seduto a una scrivania.

Perciò nella preghiera ognuno si domandi: “A cosa sono legato? cosa non mi lascia essere libero, non mi lascia volare?”.

I redentoristi sono maestri di morale. State prestando un servizio a una teologia morale matura, seria, cattolica.

Ma maestri di morale anche nel catechismo dei bambini, nei confessionali.

Che la gente capisca ciò che è bene e ciò che è male, che poi sappia che la misericordia di Dio copre tutto.

Perché una cosa è la misericordia di Dio, un’altra il “manganchismo”. Essere di manica larga è dire “va bene tutto”... non distinguere, non avere una cultura morale, che è importante, senza riduzionismo.

Oggi, con molta tristezza, dobbiamo dire che ci sono comandamenti che non si compiono, di fronte alle ingiustizie sociali che ci sono.

Un esempio: gente che sperpera i propri soldi in viaggi, turismo, feste, ristoranti di lusso; e gente che non ha neanche un pezzo di pane da mangiare. Allora lì c’è un’immoralità di pensiero.

L’ottavo comandamento, chi l’osserva? se uno può tendere una trappola a un altro, togliergli ciò che è giusto, pagarlo meno... gli stipendi giusti — sono sempre meno —. Manca il lavoro! La gente accetta ciò che le danno.

Si va contro la giustizia, contro la verità. Per favore insegnate morale forte lì, continuate. Caricate la coscienza. Tutti i comandamenti.

Siete formatori di coscienza morale. E questo è un carisma che avete ereditato dal fondatore.

(Discorso a braccio al capitolo dei redentoristi)

Una vocazione da ravvivare sempre

Quando una cosa non si ravviva si spegne, quando una cosa non cresce, non si muove, si corrompe. L’acqua ferma è la prima a corrompersi. Per questo sempre nella vita bisogna andare avanti, riprendere l’“illusione” [il desiderio] della vocazione.

Ciascuno è entrato nella Gendarmeria una voglia di fare qualcosa di buono.

Poi, come succede anche a noi preti, uno si abitua; e, invece di crescere, va giù, scende.

E lì nasce quella cosa tanto brutta: la tiepidezza.

Tre cose che sono importanti. La fede. Se non viviamo alla luce della fede, è meglio fare un altro mestiere.

Perché voi andate avanti con uno spirito di fede e servizio. Poi di carità e di forza.

È difficile, in mestieri come il vostro, avere tutti i giorni quella carità: c’è l’impazienza, la rabbia di qualcosa che non va, le ingiustizie che si vedono e non si possono sistemare… E questo ci dà quello spirito di timidezza, di abbassare le cose.

Una cosa è il timore di Dio, quello sì. Ma la timidezza no.

“E se sbaglio?”. Chiedi perdono e vai avanti, perché lo sbaglio non è definitivo.

Tante volte dovere fare lavori non belli: mettere ordine, cacciare via... Ma lo fate per amore e per un’armonia più grande.

(Messa per la Gendarmeria vaticana)

Lunedì 3

Più dignità
per i marittimi

Dai piccoli e umili inizi, la Stella Maris è cresciuta fino a diventare la vasta organizzazione che vediamo, offrendo assistenza spirituale, psicologica e materiale sulle navi e a terra, a miriadi di uomini di mare e personale marittimo di nazionalità e tradizioni religiose diverse.

Gran parte del ministero di Gesù si è svolto intorno a una distesa di acqua — il Mare di Galilea — e alcuni dei suoi primi discepoli furono pescatori.

Il Creato è costituito da una vasta distesa di acqua, che è essenziale per la vita e il commercio, per non parlare del turismo.

Il novanta percento dei beni della Terra vengono trasportati via nave, grazie al lavoro quotidiano di oltre un milione e mezzo di persone, molte delle quali rimangono lontane per mesi da famiglie e comunità.

La pandemia ha aggravato le difficoltà collegate a tale isolamento.

Malgrado i progressi nella tecnologia, molti marittimi sono soggetti non soltanto alle sfide collegate alla separazione dalla loro terra, ma continuano anche a subire una varietà di condizioni di lavoro ingiuste e altre privazioni, aggravate non ultimo dagli effetti del cambiamento climatico.

Inoltre, i danni agli ambienti marini, come agli altri, colpiscono in modo sproporzionato i più poveri e vulnerabili tra i nostri fratelli e sorelle, i cui mezzi di sussistenza sono minacciati di estinzione.

La Stella Maris non esiti mai ad attirare l’attenzione sulle questioni che privano molti membri della comunità marittima della loro dignità umana donata da Dio.

(Messaggio al xxv Congresso mondiale
della Stella maris - Apostolato del mare)

Missionari
della speranza
tra i poveri

Voi siete una Famiglia religiosa dedita all’evangelizzazione e avete scelto, per questo Capitolo, un tema simile a quello del prossimo Giubileo della Chiesa: “Pellegrini di speranza in comunione”.

È un tema che riassume la vostra identità: come seguaci del fondatore sant’Eugenio de Mazenod siete chiamati a portare il Vangelo della speranza, della gioia e della pace.

Il mondo è ancora schiavo dell’egoismo e pieno di contraddizioni e divisioni.

Il grido della terra e dei poveri, le guerre e i conflitti che versano sangue sulla storia umana, la situazione angosciante di milioni di migranti e rifugiati, un’economia che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, sono alcuni aspetti di uno scenario dove solo il Vangelo può mantenere accesa la luce della speranza.

Riscoprire e vivere la condizione di viandanti accanto agli ultimi. Siete al servizio della Chiesa in 70 Paesi.

Essere missionari della speranza significa leggere i segni della presenza divina nascosta nella vita quotidiana della gente.

La comunione è una sfida da cui può dipendere il futuro della vita consacrata.

Vi esorto ad essere promotori di comunione attraverso espressioni di solidarietà, di vicinanza, di sinodalità e di fraternità.

Il buon samaritano del Vangelo vi sia esempio e stimolo a farvi prossimi di ogni persona, con l’amore e la tenerezza che l’hanno spinto a prendersi cura dell’uomo derubato e ferito.

È un lavoro di tutti i giorni, perché l’egoismo ti tira dentro, ti tira giù.

(Al capitolo degli oblati di Maria Immacolata)

Mercoledì 5

Conoscere
le “password”
del cuore

Un buon discernimento richiede anche la conoscenza di sé stessi... Esso infatti coinvolge la memoria, l’intelletto, la volontà, gli affetti.

Spesso non sappiamo discernere perché non sappiamo cosa vogliamo.

Alla base di dubbi spirituali e crisi vocazionali si trova non di rado un dialogo insufficiente tra la vita religiosa e la nostra dimensione umana, cognitiva e affettiva.

Nascosti dietro
una maschera

Un autore di spiritualità, Thomas Green, notava: «Quasi tutti ci nascondiamo dietro a una maschera, non solo di fronte agli altri, ma anche quando ci guardiamo allo specchio».

La dimenticanza della presenza di Dio nella nostra vita va di pari passo con l’ignoranza su noi stessi.

Conoscere sé stessi non è difficile, ma è faticoso: implica un paziente lavoro di scavo interiore.

Richiede la capacità di fermarsi, di “disattivare il pilota automatico”, per acquistare consapevolezza sul nostro modo di fare, sui sentimenti che ci abitano, sui pensieri ricorrenti che ci condizionano, e spesso a nostra insaputa.

Richiede anche di distinguere tra le emozioni e le facoltà spirituali.

Molte volte può accadere che convinzioni errate sulla realtà, basate sulle esperienze del passato, ci influenzano fortemente, limitando la nostra libertà di giocarci per ciò che davvero conta.

Vivendo nell’era dell’informatica, sappiamo quanto sia importante conoscere le password per poter entrare nei programmi dove si trovano le informazioni più personali.

Ma anche la vita spirituale ha le sue “password”: ci sono parole che toccano il cuore perché rimandano a ciò per cui siamo più sensibili.

Il tentatore, il diavolo, conosce bene queste parole-chiave, ed è importante che le conosciamo anche noi, per non trovarci dove non vorremmo.

La tentazione non suggerisce necessariamente cose cattive, ma spesso cose disordinate, presentate con un’importanza eccessiva.

In questo modo ci ipnotizza con l’attrattiva che queste cose suscitano in noi, cose belle ma illusorie, che non possono mantenere quanto promettono, e ci lasciano alla fine con un senso di vuoto e di tristezza.

Quello è un segnale che abbiamo preso una strada che non era giusta... Possono essere, per esempio, il titolo di studio, la carriera, le relazioni, tutte cose in sé lodevoli, ma verso le quali, se non siamo liberi, rischiamo di nutrire aspettative irreali, come la conferma del nostro valore.

Tante volte quello che si dice in un programma in televisione, in qualche pubblicità, ci fa andare da quella parte senza libertà. State attenti: sono libero o mi lascio andare ai sentimenti del momento, o alle provocazioni del momento?

Esame
di coscienza
a fine giornata

Un aiuto in questo è l’esame di coscienza, ma non quello che facciamo quando andiamo alla confessione. No. Esame di coscienza generale della giornata... cioè la buona abitudine a rileggere con calma quello che capita nella giornata, imparando a notare nelle valutazioni e nelle scelte ciò a cui diamo più importanza, cosa cerchiamo e perché, e cosa alla fine abbiamo trovato.

Soprattutto imparando a riconoscere che cosa sazia il mio cuore. Perché solo il Signore può darci la conferma di quanto valiamo.

Ce lo dice ogni giorno dalla croce: è morto per noi, per mostrarci quanto siamo preziosi ai suoi occhi.

Non c’è ostacolo o fallimento che possano impedire il suo tenero abbraccio.

Si tratta di vedere il percorso dei sentimenti, delle attrazioni nel mio cuore durante la giornata.

La preghiera e la conoscenza di sé stessi consentono di crescere nella libertà! Sono elementi basilari dell’esistenza cristiana, preziosi per trovare il proprio posto nella vita.

(Udienza generale in piazza San Pietro)