Con lo sguardo del buon samaritano La parola che cura nell’esperienza di Alcolisti Anonimi

Nel raccontarci ( io + te ) esistiamo

 Nel raccontarci  ( io + te ) esistiamo  ODS-003
01 ottobre 2022

Lavoro da anni in un servizio pubblico per le dipendenze patologiche e ne sono felice. Ho ascoltato tante storie, convincendomi che il punto di rottura possa sopraggiungere, imprevisto, nella vita di chiunque. È il momento in cui il riparo non tiene più. Per alcuni/e prima di riuscire a parlarne passano anni, altri/e potrebbero non riuscirci mai.

Ho imparato che non esiste una sola voce, per quanto semplice, mutevole e vacillante che non meriti di essere ascoltata.

Alcolisti Anonimi ( aa ) è una associazione di autoaiuto (selfhelp) in cui le persone con problemi di alcolismo si incontrano in forma anonima, mettendo in comune la propria esperienza.

Presente in oltre 170 Paesi del mondo con più di 100.000 gruppi di autoaiuto, in Italia aa ha avviato la sua attività nel 1972 a Roma, contando ad oggi circa 452 gruppi su tutto il territorio nazionale.

Nei gruppi non ci si definisce pazienti, ma persone con un comune problema. Essendo tutti sullo stesso piano, non sono contemplate gerarchie e asimmetrie nelle relazioni tra partecipanti.

La frequenza è libera, il gruppo aperto, l’accesso diretto, la partecipazione gratuita. Non ci sono diagnosi né rigide categorizzazioni. Non ci sono registri delle presenze, appuntamenti, agende, cartelle da compilare. Gli incontri sono impostati sulla parola autobiografica, ma è sempre possibile restare in silenzio. Comunque, si è accolti.

L’obiettivo di smettere di bere è definito con chiarezza, ma il problema non è vissuto come un nemico a cui opporre rabbiosi atteggiamenti declinati ricorrendo a termini bellici. Nel Gruppo sembrano tacere gli echi di battaglie combattute e perse — magari proprio perché ci si è colpevolizzati sino al sentire il bisogno di non sentire.

La responsabilità non è la colpa che fa ripiegare su sé stessi. È la spinta verso l’Altro, verso ciò che non è inerzia del troppo IO.

Il gruppo non è concepito come livellamento o omologazione, ma come spazio dove poter far risaltare la propria individuale e soggettiva autenticità.

Negli anni ho accolto spesso l’invito a partecipare alle riunioni aperte. Ho ascoltato, mi sono emozionata. Ben oltre le evidenze scientifiche, non riuscendo a darmi delle risposte certe su ciò che porti tanti dei partecipanti ad astenersi dal consumo di alcol — in alcuni casi in maniera repentina — continuo a interrogarmi.

Poi mi dico: chi nel corso della propria esistenza non ha sentito il bisogno di raccontarsi? Chi, soddisfatta questa necessità, non si è sentito sollevato?

Non si tratta dell’incapacità tutta infantile di contenere il vissuto o dell’urgenza di liberarsene, rimandando ad altri l’onere di sostenerne il peso. Forse, più semplicemente è l’aspirazione a sentirsi accolti — finalmente —, permettendosi un passo avanti che, anche al di là della personale propensione, si configura come crescita interiore.

Testimoniarsi è concedere al nostro Sé più profondo il diritto di esistere, evitandone il suo spreco o, peggio ancora, la sua completa destituzione.

Nel raccontarci (io + te) esistiamo.

di Anna Paola Lacatena