Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-003
01 ottobre 2022

Nei testi che pubblichiamo qui di seguito, alcuni amici che vivono l’esperienza della povertà estrema
raccontano la bellezza dell’ascolto. C’è chi spiega che è un’opera di misericordia, chi ricorda il giorno in cui un prete
l’ha fatto sentire veramente accolto e chi dimostra come solo quando ci si narra autenticamente e si presta attenzione alla storia dell’altro si permette a questi di esistere e a noi stessi di essere riconosciuti come persone.

La carità
dell’ascolto

Le persone hanno la necessità innata di relazionarsi e di aiutarsi facendo quella cosa che chiamiamo carità.

Con il tempo, purtroppo, a causa di stili di vita e di problemi, qualcuno perde questa virtù che si sviluppa in due rami: la misericordia materiale e quella spirituale.

Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini e visitare gli infermi… fanno parte del primo gruppo e sono quelle che di solito vengono realizzate più facilmente. Anche perché sono più semplici da fare e molto più evidenti.

Consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese e sopportare pazientemente le persone moleste… sono azioni di misericordia spirituale, ma sono più difficili da realizzare perché presuppongono una conoscenza e una maggiore integrazione con l’altro, ma spesso le persone hanno paura di interagire con chi non si conosce.

Quando avevo intorno ai 12 anni, giravo in bicicletta per il paese con gli amici. Un giorno incontrammo una persona anziana che barcollava mentre pedalava e subito il primo gesto che facemmo fu quello di avvicinarci a lui per aiutarlo a tornare a casa. Non abitava molto lontano. Abitava in un vecchio casello della ferrovia ormai in disuso. Ci invitò a entrare: voleva offrirci qualcosa per ringraziarci. Ma noi non accettammo perché quel gesto l’avevamo fatto col cuore per aiutare una persona bisognosa. Stemmo però ad ascoltare la sua storia con molto interesse. Si vedeva benissimo che era una persona sola, bisognosa di contatto umano. Si era lasciato andare e anche il luogo in cui viveva era in condizioni orribili: molto sporco, tutto in disordine, con le pentole e i piatti non lavati, ma riutilizzati. Quel momento di carità l’ha reso felice anche se solo per un attimo.

Fu proprio quell’incontro a segnarmi ed a insegnarmi molto.

Ho sentito una gioia incredibile nel dare un aiuto pratico e morale a una persona sconosciuta e allo stesso tempo ricevere tantissimo dal suo vissuto, dalla sua storia, dalle sue problematiche. Posso dire che fu in quella occasione che ho iniziato ad aprirmi veramente al mondo, a guardare il diverso con interesse e stupore cercando il dialogo, ascoltando, cercando di imparare e allo stesso tempo di insegnare, sempre nel rispetto della carità materiale e spirituale.

Adesso che vivo per strada non ho perso questa curiosità e in ogni posto guardo, ascolto i dialoghi delle persone e, se posso, interagisco con loro sempre con la motivazione di imparare e far conoscere il mio vissuto, il mio modo di pensare, perché da chiunque si può ricevere qualcosa. E se lo si fa con onestà è un arricchimento vero.

Socrate diceva: “So di non sapere”. È proprio la sensazione che provo io. Mi sento piccolo di fronte all’immensità che ci circonda, però sono consapevole di farne parte e che il mio contributo è utile per rendere il mondo un posto migliore. Un mondo pieno. Pieno di amore.

Qualcuno mi tiene nelle sue preghiere

Ho cercato per tanto tempo una famiglia. E alla fine l’ho trovata. Non è quella d’origine, ma quella che ho conosciuto per strada. Quella fatta di persone come me, vere… forse anche un po’ matte. Ci sta la follia brutta, e io l’ho conosciuta, ma c’è anche la follia bella, che è la nostra.

Ho iniziato a sentirmi libero dalle forze opposte che mi tenevo dentro quando qualcuno ha iniziato a pregare per me. Don Maurizio l’ho conosciuto all’inizio del covid, quando in giro non si vedeva un’anima. Ho sofferto tanto quella solitudine. Un giorno, dopo un ricovero, venni a Roma ed entrai in una chiesa. È lì che ho conosciuto don Maurizio, un prete piccoletto che per me è stato un gigante. «Ti lascio il mio numero...», mi ha detto.

Da allora mi è stato sempre ad ascoltare anche quando davo di matto. L’ho tormentato con i miei messaggi. Gli ho buttato addosso tutta la m… che mi portavo dentro, ma lui non mi ha mai bloccato. E se non l’ha fatto è perché vedeva il bene e il buono che può esserci anche in uno come me. Ha avuto ragione.

A settembre ho fatto due anni che sto fuori dalla droga. Due anni veri, belli, stupendi. Due anni stupefacenti, ma non come le droghe che prendevo per non sentire troppo la sofferenza.

Non è che don Maurizio abbia fatto il miracolo. Il miracolo lo fa ogni giorno mettendomi nelle sue preghiere. Me l’ha promesso.

Quando non ero autonomo mi ha aiutato in tutto. Anche economicamente. «Don Mauri’ mi servirebbe questo… don Mauri’ sto male… don Mauri’ ho fame…». Lui c’era sempre ad ascoltarmi. Mi ha fatto capire la realtà e quello che potevo fare.

Poi un giorno mi ha detto «no». Ma sai perché? Mi aveva ascoltato molto meglio di quanto avrei potuto fare io e aveva capito che era arrivato il momento della mia liberazione, che potevo iniziare il cammino sulla via dell’autonomia.

È una strada in salita, faticosa,
che si fa a piedi. Una via
che è anche piena di buche, visto
che sto a Roma. Ma è la mia strada, anche se ogni tanto mi perdo appresso a qualche birretta.

Due anni fa, Laura, una collaboratrice della sua parrocchia, mi ha dato dei vestiti. «Ma che c… ci faccio? Non vedi quanto sono ciccione!» le gridai. Lei mi rispose: «Tienili da parte». L’ho fatto perché mi fidavo di lei, anche se ero convinto che non li avrei mai potuti mettere. E invece adesso mi vanno pure larghi.

Oggi non mi sento più solo. Ho il telefono che squilla sempre. Se voglio parlare ho sempre qualcuno con cui parlare, se voglio ascoltare so che c’è sempre qualcuno da poter ascoltare. Perché non si può solo infilare nelle orecchie le cuffiette e sentire la musica. La realtà va vissuta e superata, contando sulle preghiere di don Maurizio. Per tutto il resto ci sono gli psicoterapeuti, gli psichiatri e gli operatori del Serd.

Dall’orecchio
al cuore

«Dalla radice auris (orecchio), latino parlato, ascoltare è verbo transitivo. La parola ascolto nasce in italiano come derivato del verbo ascoltare, che proviene a sua volta dal latino “auscultare”, cioè sentire con l’orecchio». Così si legge su Wikipedia. Ma, per la mia esperienza su questo tema molto importante e delicato, ascoltare il prossimo, nostro fratello, solo con l’orecchio non basta. Bisogna soprattutto ascoltare con il cuore, perché nel momento in cui l’altro ci fa tesoro e partecipi del suo racconto, in quel momento preciso ci sta aprendo il suo cuore, ci sta facendo entrare direttamente nel suo pensiero, nel suo “Io”.
Quindi anche noi dobbiamo prima di tutto farci carico ed entrare nel suo racconto, ascoltando con il nostro cuore.

Per mia esperienza, i centri di ascolto delle varie associazioni sparsi su tutto il nostro territorio, che si occupano principalmente di questo tema, cioè dell’ascolto dell’altro, sanno fare molto bene il loro lavoro.
Ci sono operatori esperti, che sono portati per questo tipo di servizio.
Ma, a volte, non tutti riescono ad ascoltare con il cuore.
Si limitano ad ascoltare con il solo orecchio e questo spesso non è sufficiente a far sì che chi ascolta riesca ad entrare con il cuore nel racconto dell’altro e a farsi carico di ciò che quel racconto significa. A volte, anzi spesso, questi racconti sono pieni di dolore, di rabbia, di vita vissuta con ingiustizie, e non sempre chi ascolta solo con l’orecchio riesce a condividere questo dolore. Invece chi ha imparato ad ascoltare con il cuore, senza se e senza ma, riesce subito ad immergersi in ciò che sta ascoltando e anche a farsi carico della sofferenza altrui.

Ricordando il grande don Luigi Di Liegro, fondatore e primo direttore della Caritas diocesana di Roma, quando si fa dell’ascolto il proprio lavoro, non basta capire il problema, non basta dare un pasto caldo e un riparo, ma si deve capire qual è la causa che ha scatenato tutto per agire su queste cause e far sì che non accada mai più. Queste non sono le reali parole di don Luigi di Liegro, ma un riassunto breve e quindi un’espressione del mio pensiero al riguardo.

Due parole:
ciao e grazie

Ho vissuto in Germania 33 anni. Lì ho anche la famiglia. Ma per un piccolo sbaglio con un amico tedesco mi hanno espulso per 5 anni. Ora da due anni e otto mesi vivo per strada a Roma.
Sto vedendo cosa significa trovarsi per strada.
Vedo tanta gente sia buona che cattiva e mi rendo conto di cosa significa stare dentro e stare fuori.
Prego che un giorno questa vita cambierà, sia per me sia per gli altri. E penso che una mano arriverà a cambiare la vita a tutti noi.

Grazie a voi che mi avete saputo ascoltare. Grazie alle persone che passano ogni sera e che mi fanno sentire più libero. Mi sono trovato male e ho molto sofferto. Ma insieme con questi amici ora sto meglio.

Concludo con queste righe lasciandovi due parole: “Ciao” e “Grazie” e un grandissimo abbraccio.

Rufus
e lo specchio

Udire con attenzione: è questo quello che manca nella nostra epoca. Lo smartphone nega tutto ciò, mettendoci in una moderna torre d’avorio al riparo dalle capacità percettive.

Ecco la messa in azione dell’udire con attenzione così come la vedo io.

Villa Borghese: un prato appena rasato e, protagonista, un uccellino che prende rametti in un andirivieni per costruire il suo nido.

In metropolitana: vagoni di persone inghiottite dai pixel, mentre una ragazza declama versi che non sono quadratini colorati.

E adesso la negazione dell’udire con attenzione.

Una donna legge con solarità “Topolino”. Gli altri sembrano quasi risentiti.

Altro scenario: inaugurazione di una scalinata su viale Tirreno. Sui gradini sono scritti i versi dell’“Infinito” di Giacomo Leopardi. Mi metto a fare esercizi di osservazione e una donna in auto si ferma risentita.

Musei Vaticani, nelle Stanze di Raffaello: le persone orientali sono estasiate, mentre gli italiani sono indifferenti.

Una soluzione c’è per udire con attenzione: la scena della «Guerra lampo dei fratelli Marx», quella quando Rufus dialoga con uno specchio.

Mimmo

Ciro

Angelo Zurolo

Gianni

Attilio Saletta