L’incontro del Papa con i gesuiti della Regione russa

«Liberare i cuori dall’odio»

 «Liberare i cuori dall’odio»  QUO-223
29 settembre 2022

Riportiamo di seguito il testo — pubblicato nell'ultimo numero de «La Civiltà Cattolica» (4135, 1° ottobre 2022, pagine 3-9) — della conversazione tra Papa Francesco e i gesuiti della Regione russa, avvenuta lo scorso 15 settembre a Nur-Sultan, durante il viaggio apostolico in Kazakhstan. La trascrizione del colloquio, disponibile al seguente link https://www.laciviltacattolica.it/articolo/liberare-i-cuori-dallodio-papa-francesco-incontra-i-gesuiti-della-regione-russa/ è stata curata dal direttore della rivista.

Giovedì 15 settembre 2022, Papa Francesco, nel corso del suo viaggio apostolico in Kazakhstan, ha incontrato 19 gesuiti che operano nella cosiddetta «Regione russa» della Compagnia di Gesù. L’appuntamento era fissato per le 9 presso la nunziatura apostolica, ma il Papa si è presentato già alle 8,45. Dopo l’ingresso nella sala con le sedie poste in cerchio, il superiore della Regione, p. Bogusław Steczek, ha presentato le attività dei gesuiti nella regione con queste parole:

«Santo Padre, siamo i suoi confratelli della Regione russa della Compagnia di Gesù. Lavoriamo in tre Paesi: Russia, Bielorussia e Kirghizistan. Siamo una trentina da 11 Paesi. In Bielorussia viviamo dove la Compagnia ha sopravvissuto alla sua soppressione del xviii secolo. Questi gesuiti hanno dato un grande contributo alla rinascita della Compagnia nel 1814. Lavoriamo nella città di Vitebsk, dove abbiamo una parrocchia. Il vescovo di recente ha consacrato una chiesa dedicata a sant’Ignazio. In Russia siamo a Mosca, dove abbiamo un Istituto di formazione superiore intitolato a san Tommaso. Viene pubblicata anche l’edizione russa de «La Civiltà Cattolica». Il superiore e direttore dell’Istituto è anche segretario generale della Conferenza dei vescovi cattolici in Russia. Siamo impegnati nella pastorale a Mosca, ma anche fuori della città, raggiungendo perfino una parrocchia che è lontana 1.500 km. Lavoriamo anche a Kirov, che è lontana 1.000 km, verso gli Urali. Da poco tempo due gesuiti, uno cileno e uno polacco, hanno raggiunto il seminario maggiore di San Pietroburgo. In Siberia siamo a Novosibirsk, dove il vescovo è Joseph Wert, nostro confratello, nominato 31 anni fa da Giovanni Paolo ii come vescovo di tutta la Siberia. Abbiamo lì anche un centro culturale e spirituale, che abbiamo battezzato “Inigo”. Dal 1993 siamo responsabili di un programma speciale di pre-seminario per preparare i candidati al seminario maggiore di San Pietroburgo. Siamo pure a Tomsk, una città universitaria, dove abbiamo una parrocchia molto dinamica e vivace e una scuola cattolica, l’unica di tutta la Russia. Abbiamo accettato anche una parrocchia a Novokuznietsk, dove lavoriamo sia presso i cattolici latini sia presso i greco-cattolici. Lavoriamo anche in Kirghizistan. L’amministratore apostolico è p. Anthony Corcoran. Lui vorrebbe costruire una nuova cattedrale vicino al centro della città, ed è per questo che ha portato qui la prima pietra — che pesa 30 kg —, perché lei la benedica. Nella capitale, Bishkek, siamo responsabili per la pastorale, ma anche per la Caritas. Aiutiamo, in particolare, poveri e bambini, senza distinzione di religione. Lavoriamo anche al Sud del Paese, a Djalal-Abad e a Osh, la seconda più grande città del Kirghizistan. Penso di aver enumerato tutte le nostre attività. Insomma, stiamo lavorando alle frontiere geografiche, culturali e religiose. Per questo, per andare avanti con coraggio, chiediamo la sua benedizione apostolica».

Il Papa, quindi, introduce la conversazione:

«Grazie tante per avermi fatto visita. Ormai questi incontri con i gesuiti sono un’abitudine durante i miei viaggi. Fate domande e anche commenti, come volete. Approfittiamo del nostro tempo insieme!

Santo Padre, come sta? Come si sente? Come va la sua salute?

La salute va bene. Ho il problema alla gamba che mi rallenta, ma la salute in generale va bene: quella fisica, ma... anche quella mentale!

Come vede la situazione geopolitica che stiamo vivendo?

È in corso una guerra e credo sia un errore pensare che sia un film di cowboy dove ci sono buoni e cattivi. Ed è un errore anche pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale.

Ma, secondo lei, quali sono le cause di quello che stiamo vivendo?

Qui la vittima di questo conflitto è l’Ucraina. Io intendo ragionare sul perché questa guerra non sia stata evitata. E la guerra è come un matrimonio, in un certo senso. Per capire, bisogna indagare la dinamica che ha sviluppato il conflitto. Ci sono fattori internazionali che hanno contribuito a provocare la guerra. Ho già ricordato che un capo di Stato, a dicembre dello scorso anno, è venuto a dirmi di essere molto preoccupato perché la Nato era andata ad abbaiare alle porte della Russia senza capire che i russi sono imperiali e temono l’insicurezza ai confini. Lui ha espresso paura che ciò avrebbe provocato una guerra, e questa è scoppiata due mesi dopo. Dunque, non si può essere semplicisti nel ragionare sulle cause del conflitto. Io vedo imperialismi in conflitto. E, quando si sentono minacciati e in decadenza, gli imperialismi reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra per rifarsi, e anche per vendere e provare le armi. Qualcuno dice, ad esempio, che la guerra civile spagnola è stata fatta per preparare la Seconda guerra mondiale. Non so se sia davvero così, ma potrebbe esserlo. Non dubito, però, che stiamo già vivendo la Terza guerra mondiale. In un secolo ne abbiamo viste tre: una tra il 1914 e il 1918, una tra il 1939 e il 1945, e adesso viviamo questa.

Sin da febbraio noi ci sforziamo di liberare i cuori dall’odio. Per noi questo è un impegno pastorale prioritario. Diciamo alla gente che odiare qualunque persona non è cristiano. Ma la divisione è un peso che portiamo addosso. Ogni giorno preghiamo il Rosario per la pace.

È quello che bisogna fare: liberare i cuori dall’odio. Dal primo giorno della guerra fino a ieri ho parlato costantemente di questo conflitto, facendo riferimento alle sofferenze dell’Ucraina. Il giorno dell’indipendenza del Paese, a piazza San Pietro c’era la bandiera, e io stesso ne ho parlato, ovviamente. Dopo aver parlato dell’Ucraina, ho pensato di dire una parola alla sofferenza dei due popoli, quello ucraino e quello russo. Perché nelle guerre a soffrire è il popolo, la gente. A pagare è la povera gente, come sempre. E questo genera odio. Chi fa la guerra dimentica l’umanità e non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. La gente comune in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra. Poi ho fatto riferimento anche a quella ragazza che è saltata in aria. A questo punto si è dimenticato tutto ciò che avevo detto fino a quel momento e si è prestata attenzione solamente a quel riferimento. Ma comprendo le reazioni della gente, perché sta soffrendo molto.

Voglio ricordare che il giorno dopo l’inizio della guerra sono andato all’Ambasciata russa. Si è trattato di un gesto inusuale: il Papa non va mai in Ambasciata. Riceve gli ambasciatori personalmente solamente quando presentano le credenziali, e poi al termine della loro missione in visita di congedo. Ho detto all’ambasciatore che avrei voluto parlare con il presidente Putin purché mi lasciasse una piccola finestra di dialogo.

Ho anche ricevuto l’ambasciatore ucraino e parlato due volte con il presidente Zelensky al telefono. Ho inviato in Ucraina i cardinali Czerny e Krajewski, che hanno portato la solidarietà del Papa. Il segretario per i rapporti con gli Stati, mons. Gallagher, è andato in visita. La presenza della Santa Sede in Ucraina ha il valore di portare aiuto e sostegno. È un modo per esprimere una presenza. Anch’io avevo in mente di poter andare. Mi sembra che la volontà di Dio sia di non andare in questo preciso momento; vediamo poi in seguito, però.

Sono venuti da me alcuni inviati ucraini. Tra questi il vicerettore dell’Università Cattolica dell’Ucraina, accompagnato dall’assessore per le questioni religiose del Presidente, un evangelico. Abbiamo parlato, discusso. È venuto anche un capo militare che si occupa dello scambio dei prigionieri, sempre con l’assessore religioso del presidente Zelensky. Questa volta mi hanno portato una lista di oltre 300 prigionieri. Mi hanno chiesto di fare qualcosa per operare uno scambio. Io ho subito chiamato l’ambasciatore russo per vedere se si poteva fare qualcosa, se si potesse velocizzare uno scambio di prigionieri.

Quando è venuto in visita un vescovo cattolico ucraino, io gli ho consegnato un plico con le mie dichiarazioni sul tema. Ho definito l’invasione dell’Ucraina una aggressione inaccettabile, ripugnante, insensata, barbara, sacrilega... Leggete tutte le dichiarazioni! La Sala Stampa le ha raccolte. Però vorrei dirti che a me non interessa che voi difendiate il Papa, ma che il popolo si senta accarezzato da voi che siete i fratelli del Papa. Il Papa non si arrabbia se è frainteso, perché conosco bene la sofferenza che c’è alle spalle.

Santo Padre, sono convinto che lei giocherà un ruolo se e quando ci sarà la pace. E sarà un contributo forte. Senta, noi siamo un gruppo di gesuiti di diversi Paesi. Lei come gesuita quali passi ci consiglia di fare? Che cosa chiede da noi? Che cosa possiamo fare?

Per me la cosa da fare è dimostrare vicinanza. Questa è la parola chiave: stare vicini, aiutare la gente che soffre. Il popolo deve sentire che il suo vescovo, il suo parroco, la Chiesa è vicina. Questo è lo stile di Dio. Lo leggiamo nel Deuteronomio: «Quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?». Lo stile di Dio è la vicinanza.

Lei come provinciale di Argentina ha vissuto sotto una dittatura. Qual è stata la sua esperienza lì?

I governi dittatoriali sono crudeli. C’è sempre crudeltà nella dittatura. In Argentina prendevano la gente, la mettevano su un aereo e poi la buttavano nel mare. Quanti politici ho conosciuto che sono stati in prigione e torturati! In queste situazioni si perdono i diritti, ma anche la sensibilità umana. Io l’ho sentito in quel momento. Tante volte ho pure sentito bravi cattolici dire: «Se la meritano questi comunisti! Se la sono cercata!». È terribile quando l’idea politica supera i valori religiosi. In Argentina sono state le mamme a fare un movimento per lottare contro la dittatura e cercare i loro figli. Sono le mamme a essere state coraggiose in Argentina.

Una domanda e una richiesta: che cosa ha nel cuore? Che cosa è nella sua preghiera particolare? E la richiesta è per i ragazzi del seminario: un consiglio, un messaggio...

Comincio dalla seconda. La mia richiesta per i seminaristi: che siano normali, ragazzi normali. Uno dei problemi in alcuni seminari è che non si riceve gente normale. State attenti a osservare espressioni religiose o umane strane. Dico ai seminaristi: siate normali anche nella preghiera. Prega come un figlio il padre. È la normalità a dire la serietà. Che cosa porto nel cuore e nella preghiera?, mi chiedi. La preghiera, quella che mi viene spontanea, è sempre l’invocazione: «Guarda il tuo popolo, Signore!». Non me ne viene un’altra. È una cosa davvero molto semplice. Intercessione è bussare al cuore del Signore. È la preghiera di intercessione. E non dimentichiamo che nella preghiera ci vuole parresia, chiarezza, coraggio. Il modello è quello di Abramo, quando prega: «Non si adiri il mio Signore, se...», e poi fa la sua richiesta in modo insistente. Bisogna pregare pulseando con Dio, come diciamo in spagnolo. È una preghiera coraggiosa, faccia a faccia. Non tanto cercare la consolazione, che pure va cercata, sì. Ma soprattutto chiedere, chiedere, chiedere... Noi pensiamo che la parresia sia solo una virtù dell’azione, e invece no, lo è anche della preghiera.

Se lei guarda la situazione della Compagnia di Gesù, che cosa le dà consolazione, e che cosa inquietudine?

Di recente ho partecipato a una riunione in Curia generalizia con fratelli gesuiti da tutto il mondo. Erano una quarantina. Ascoltarli mi ha davvero dato consolazione. Mi dà consolazione quando un gesuita prega e ha fiducia nel Signore. Credo che il livello nella Compagnia sia buono a questo riguardo. Invece non mi dà consolazione quando vedo un gesuita che è più «specialista» in questa o l’altra materia piuttosto che essere gesuita. C’è una cosa previa alla specializzazione: è l’appartenenza affettiva alla Compagnia.

Voglio solamente aggiungere, Santo Padre, tra le consolazioni di quest’anno, che è stato ordinato sacerdote un russo e abbiamo un novizio russo, e due mesi fa sono arrivati dal Vietnam due gesuiti in Kirghizistan, un professore di sociologia e uno scolastico in formazione. Abbiamo un gesuita fratello che vive lì in Kirghizistan e lavora con l’amministratore apostolico, p. Carcoran. Quella del Kirghizistan è una Chiesa molto piccola. Tutti i cattolici potrebbero stare dentro questa sala! Un padre di famiglia mi ha raccomandato di dirle che ci sono i cattolici anche in Kirghizistan. Per noi l’appoggio della Santa Sede è molto importante, ed è dunque importante anche l’appoggio da parte della Nunziatura.

È vero: la Nunziatura è la longa manus della Santa Sede per aiutare le Chiese locali, e specialmente quelle più piccole. Ma sarò io ora a porti una domanda: come vedete voi, dalla periferia, il Vaticano?

Qualche volta è così lontano che ci si dimentica! Invece, essendo un gruppo così piccolo, per noi è importantissimo appartenere alla Chiesa universale. Così pure la gente si rende conto che non siamo una setta piccolissima, ma parte della Chiesa universale. Alle volte fa male se si ha l’impressione che i rappresentanti della Chiesa si occupino poco della vita della Chiesa in un Paese piccolo. A volte pure i governi chiedono perché la Chiesa si occupi poco della nostra situazione.

Hai ragione! Allora è importante in questa situazione gridare, farsi sentire! Fatevi sentire! La Chiesa al centro è indaffarata da tante cose quotidiane e può avere la tentazione di dimenticare o di non prestare adeguata attenzione. Ma se il bambino grida, grida, grida... alla fine la mamma dà il latte! La Chiesa ha bisogno che si sentano tutte le voci, che si esprimano, e che lo facciano anche... in dialetto!

I nostri fratelli ortodossi mi hanno raccomandato di dire al Papa che le sono molto grati perché lei sta con la gente semplice e bisognosa. Noi collaboriamo con i nostri fratelli ortodossi nel campo della disabilità. Mi hanno chiesto di dirle che sono molto grati.

Sono molto grato a loro. Credo che ci sia un movimento di avvicinamento graduale tra cattolici e ortodossi. E credo questo sia molto importante. Dobbiamo lavorare insieme, pregare gli uni per gli altri, superare i sospetti. Proprio ieri, al Congresso dei leader religiosi, ho ricevuto quattro vescovi ortodossi russi. Vedo che c’è ancora una preoccupazione per l’uniatismo. Ma io ho risposto che quella parola è già dimenticata. Hanno paura che noi «facciamo la suocera», che torni l’uniatismo. Hanno questo fantasma. Bisogna tranquillizzarli, e questo aiuta.

Padre, che cosa ha sentito quando l’hanno scelto come Papa?

Che, accettando, ho compiuto il quarto voto di obbedienza.

L’incontro volge al termine. Il superiore della Regione chiede al Papa di benedire la grossa pietra che sarà la prima per la costruzione della cattedrale in Kirghizistan. Essa contiene un’altra pietra che proviene da Cafarnao. La chiesa sarà dedicata al Buon pastore. Francesco la tocca e la benedice. Poi il superiore presenta alcuni altri piccoli doni, dicendo che sono piccoli e poveri. Il Papa commenta:

«Custodire la povertà! Quando non c’è povertà, allora entrano tutti i mali! Bisogna custodire la povertà».

Poi gli viene donato un album di foto delle opere della Compagnia nella Regione. Quindi un angelo di paglia tipico della Bielorussia, e infine un copricapo dal Kirghizistan. Dopo un’Ave Maria e la benedizione, è stata scattata una foto tutti insieme. Il Papa, prima di congedarsi, ha salutato uno per uno i gesuiti presenti.

di Antonio Spadaro