Il magistero

 Il magistero  QUO-217
22 settembre 2022

Venerdì 16
 

Un’opera
“samaritana” della carità
del Papa

 

San Paolo vi , il 26 marzo 1969, data in cui ricorreva il secondo anniversario della sua Enciclica Populorum progressio, istituì un Fondo per aiutare i contadini poveri e per promuovere la riforma agraria, la giustizia sociale e la pace in America Latina.

Nel 1992, quinto centenario dell’inizio dell’evangelizzazione del continente, si riunì la iv Assemblea Generale dell’Episcopato Latinoamericano, in tale occasione San Giovanni Paolo ii volle istituire una Fondazione autonoma “Populorum Progressio” finalizzata a promuovere lo sviluppo integrale delle comunità dei contadini più poveri d’America Latina.

Desidero esprimere la mia gratitudine a quanti in questi trent’anni hanno lavorato per questa Fondazione, che ora cambia forma ma mantiene la sua missione e rimane un’opera della carità del Papa.

Molte famiglie in America Latina e nei Caraibi sopravvivono in condizioni subumane. Come sottolinea il Documento di Aparecida, «gli esclusi non sono solo “sfruttati”, ma “soprannumero”, “scarti”».

L’Assemblea ecclesiale del Continente, che ancora è in sviluppo, è stata un’opportunità per ascoltare il grido dei poveri, e il Sinodo sull’Amazzonia ci ha avvicinato alla realtà di esclusione in cui vivono le comunità indigene e afro-discendenti.

Percorrendo il cammino sinodale dobbiamo crescere come Chiesa “samaritana” che conforta, si impegna e si china a toccare le piaghe della carne sofferente di Cristo nel popolo.

Egli ha voluto identificarsi con i più poveri ed emarginati, e ci offre la sua presenza misericordiosa in essi.

Queste iniziative di solidarietà dimostrino che è possibile cambiare, che la realtà non è bloccata.

La riforma della Curia Romana che ha trovato espressione nella Praedicate Evangelium, ci sta mettendo di fronte a una serie di cambiamenti necessari.

In questo contesto si rende necessario promuovere un maggior legame con le Chiese locali, al fine di rendere più efficaci i programmi di sviluppo integrale nelle comunità indigene e afro-discendenti più trascurate, immerse nella miseria.

I poveri non devono essere visti come destinatari di un’opera di beneficenza. Devono essere parte attiva.

È importante liberarci da mentalità paternalistiche.

Desiderando che l’aiuto allo sviluppo dei progetti rimanga espressione della carità del Papa, ma non abbia il suo centro nella Curia Romana, e anche nella linea della semplificazione, ho affidato al Celam il compito di aiutarci nell’analisi dei progetti e nella loro realizzazione.

Il Dicastero per il Servizio allo Sviluppo Umano Integrale manterrà la responsabilità dell’amministrazione del fondo che sarà vincolato al servizio di questa missione.

(Al Fondo, già Fondazione, “Populorum progressio”)

 

La “colletta
di sogni”
dei trappisti

 

Il nuovo Abate Generale si è messo subito in viaggio per visitare le dodici regioni in cui si trovano i vostri monasteri.

Mi piace pensare che questa “visitazione” sia avvenuta con la santa premura che mostra la Vergine Maria nel Vangelo.

Il Padre Abate dice che in questo viaggio ha “raccolto i sogni dei superiori”. Mi ha colpito questo modo di esprimersi, e lo condivido.

Sia perché anch’io intendo il “sognare” in senso positivo, non utopistico ma progettuale.

Sia perché qui non si tratta dei sogni di un individuo, ma di una condivisione, di una “colletta” di sogni che emergono dalle comunità, e che immagino siano oggetto di discernimento.

Essi sono: sogno di comunione, sogno di partecipazione, sogno di missione e sogno di formazione. Vorrei proporvi alcune riflessioni su queste quattro “strade”.

Prima di tutto, una nota, di metodo. Una indicazione che mi viene dall’impostazione ignaziana ma che credo di avere in comune con voi, chiamati alla contemplazione alla scuola di San Benedetto e di San Bernardo.

Si tratta di interpretare tutti questi “sogni” immaginando come Gesù ha sognato queste realtà: comunione, partecipazione, missione e formazione.

Questi sogni ci edificano nella misura in cui non sono i nostri, ma i suoi, e noi li assimiliamo nello Spirito. I suoi sogni.

E qui si apre lo spazio di una bella ricerca spirituale: la ricerca dei “sogni di Gesù”, dei suoi desideri più grandi, che il Padre suscitava nel suo cuore divino-umano.

Contemplazione evangelica

 

E in questa chiave di contemplazione evangelica vorrei mettermi in “risonanza” con i vostri quattro grandi sogni.

Il Vangelo di Giovanni ci consegna questa preghiera di Gesù al Padre: «La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa».

[Essa] ci permette di sognare con Gesù la comunione dei suoi discepoli, la nostra comunione in quanto “suoi”.

Questa comunione non consiste in uniformità, omogeneità, compatibilità, più o meno spontanea o forzata.

Consiste nella comune relazione a Cristo, e in Lui al Padre nello Spirito.

Gesù non ha avuto paura della diversità che c’era tra i Dodici, e dunque nemmeno noi dobbiamo temere la diversità, perché lo Spirito Santo ama suscitare differenze e farne un’armonia.

Invece, i nostri particolarismi, i nostri esclusivismi dobbiamo temerli, perché provocano divisioni.

Fraternità
partecipativa

 

Dunque, il sogno di comunione proprio di Gesù ci libera dall’uniformità e dalle divisioni, tutte e due cose brutte.

Una comunità di vita consacrata può essere segno del Regno di Dio testimoniando uno stile di fraternità partecipativa tra persone reali, concrete, che, con i loro limiti, scelgono ogni giorno, confidando nella grazia di Cristo, di vivere insieme.

Anche gli strumenti attuali di comunicazione possono e devono essere al servizio di una partecipazione reale — non solo virtuale — alla vita concreta della comunità.

Il Vangelo ci consegna anche il sogno di Gesù di una Chiesa missionaria.

Questo mandato riguarda tutti... Non ci sono carismi che sono missionari e altri che non lo sono.

Tutti i carismi, in quanto dati alla Chiesa, sono per l’evangelizzazione del popolo; naturalmente in modi diversi, molto diversi, secondo la “fantasia” di Dio.

Un monaco che prega nel suo monastero fa la sua parte nel portare il Vangelo nell’insegnare alla gente che abbiamo un Padre che ci ama e in questo mondo siamo in cammino verso il Cielo.

Dunque, la domanda è: come si può essere Cistercensi di stretta osservanza e far parte di «una Chiesa in uscita»?

Come vivete la «dolce e confortante gioia di evangelizzare»? Sarebbe bello sentirlo da voi, contemplativi.

Infine, i Vangeli mostrano Gesù che si prende cura dei suoi discepoli, li educa con pazienza, spiegando loro, in disparte, il significato di alcune parabole.

Tanti potrebbero essere i riferimenti evangelici che attestano il sogno di formazione nel cuore del Signore.

Mi piace riassumerli come un sogno di santità, rinnovando questo invito: «Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità».

(Al capitolo generale dei cistercensi
della stretta osservanza
)

Sabato 17

 

Pietre vive
per costruire la comunità cristiana

 

Cari fratelli e sorelle di Alessandria, il 450° anniversario della morte di San Pio v, unico Papa piemontese, nato a Bosco Marengo, nell’attuale territorio della Diocesi, offre lo spunto per qualche considerazione attuale.

Papa Pio v , al secolo Antonio Ghislieri, ha affrontato in soli sei anni di pontificato molte sfide pastorali e di governo.

Fu un riformatore della Chiesa, che fece scelte coraggiose.

Da allora, è cambiato lo stile del governo della Chiesa e sarebbe un errore anacronistico valutare certe opere di San Pio v con la mentalità di oggi.

Così pure dobbiamo fare attenzione a non ridurlo a un ricordo nostalgico, a una memoria imbalsamata, ma coglierne l’insegnamento e la testimonianza.

Con questo sguardo, possiamo notare che l’asse portante di tutta la sua vita è stata la fede.

Come possiamo declinare oggi i suoi insegnamenti? In primo luogo, ci invitano a essere cercatori della verità.

Gesù è la Verità, in senso non solo universale ma anche comunitario e personale; e la sfida è quella di vivere la ricerca della verità nella vita quotidiana.

Questa ricerca non può che attuarsi attraverso un discernimento personale e comunitario a partire dalla Parola di Dio.

Questo impegno, attuato nel discernimento, fa crescere una comunità nella conoscenza sempre più intima di Gesù; e allora Lui diventa il fondamento della vita comunitaria, intessuta di legami d’amore.

L’amore si esplicita in azioni di condivisione, dalla dimensione fisica a quella spirituale.

Toccare
la carne
di Cristo

 

La Parola di Dio prende vita in particolare nella celebrazione eucaristica, dove tocchiamo la carne di Cristo.

Pio v si è occupato di riformare la Liturgia della Chiesa, e dopo quattro secoli il Concilio Vaticano ii ha attuato un’ulteriore riforma per meglio aderire alle esigenze del mondo.

In questi anni si è molto parlato di Liturgia, soprattutto delle sue forme esteriori. Ma l’impegno maggiore va posto affinché la celebrazione eucaristica diventi effettivamente la fonte della vita della comunità.

La Liturgia di fronte ai crocevia del cammino delle comunità, come pure alle croci delle nostre vite personali, ci inserisce nel sacerdozio di Cristo, dandoci una modalità nuova.

Al termine della Liturgia, dopo aver toccato la Carne eucaristica di Cristo, la comunità evangelizzatrice viene inviata.

E poi non possiamo dimenticare l’impegno di San Pio v per raccomandare la preghiera, in particolare quella del Rosario.

Cari amici di Alessandria, vi ho richiamato alle quattro coordinate che ci guidano nel cammino ecclesiale: seguire l’insegnamento degli Apostoli, la dottrina della Chiesa; vivere in comunione, non in guerra fra noi; vivere eucaristicamente, spezzare il pane, e pregare.

Vi invito a camminare insieme nel rinnovamento pastorale della Diocesi, che nei prossimi giorni inizierà la costituzione delle Unità Pastorali.

Questo cammino sinodale chiede una faticosa ma feconda crescita nella comunione tra vescovo, presbiteri e laici.

E ora mi rivolgo ai ragazzi e ragazze della Diocesi di Spoleto-Norcia.

Siete il gruppo della Cresima: o l’avete ricevuta, o la riceverete prossimamente.

Voi ci date un senso di famiglia più completa, perché rappresentate la nuova generazione; siete come tanti fiori che stanno sbocciando.

Ma poi, e soprattutto, perché siete giovani discepoli di Gesù: questa è la realtà più grande, che ci riempie di gioia!

Il cammino del Sacramento della Confermazione è bellissimo, perché fa rivivere l’esperienza dei primi discepoli di Gesù: Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni, e poi Maria di Magdala, Marta e Maria di Betania, e gli altri.

La data
del Battesimo

 

Anche voi potete aggiungere a questi nomi i vostri nomi, ciascuno il proprio, che avete ricevuto nel Battesimo.

Tu conosci la data del tuo Battesimo? Quelli che la conoscono alzino la mano. Pochi.

Nessuno di voi, tre o quattro o cinque la ricordava. E gli altri che non ricordavano questa data, quando tornate a casa, chiedetela ai vostri genitori, o ai nonni, o ai padrini... È importante specialmente per voi cresimati o cresimandi, perché la Cresima conferma il Battesimo. Per questo si chiama Confermazione.

La vita cristiana è una casa che si costruisce sulle fondamenta del Battesimo. Per questo è importante ricordare il giorno in cui siamo stati battezzati, e anche festeggiarlo... E non dimenticarlo mai: è stato l’inizio della vita cristiana, della mia amicizia con Dio.

Casa
da costruire

 

La vita cristiana è una casa da costruire. Voi venite da un territorio dove molti edifici sono stati rovinati o danneggiati dal terremoto.

Sapete bene la differenza tra una casa solida, che resiste alle scosse, e una fragile, che crolla.

Anche Gesù ha usato questa immagine. Quando voleva far capire che nel Regno di Dio si entra non con belle parole: “Signore, Signore!”, ma facendo la volontà di Dio, mettendola in pratica nella vita.

Ha detto: “Chi entra così, costruisce la casa sulla roccia”.

Voi oggi mi avete portato una pietra dell’antica Abbazia di Sant’Eutizio, perché sia benedetta e posta come simbolo della sua ricostruzione.

Ecco oggi io benedico ognuno di voi perché diventi una pietra viva per costruire la comunità cristiana: nella famiglia, nella parrocchia, nella compagnia degli amici, nell’ambiente dello sport.

Ma essere vivi, non morti. Essere pietre vive: questo è possibile con la forza dello Spirito Santo, che nella Cresima vi conferma come battezzati, figli di Dio e membri della Chiesa.

Dunque andate avanti con questo: per costruire la casa sulla roccia!

(A pellegrini delle diocesi di Alessandria
e di Spoleto-Norcia)

Domenica 18

 

Scaltri secondo il Vangelo

 

La parabola che il Vangelo ci presenta appare un po’ difficile da comprendere. Gesù racconta una storia di corruzione: un amministratore disonesto, che ruba e poi, scoperto dal padrone, agisce con furbizia per venire fuori da quella situazione.

In che consiste questa furbizia e cosa vuole dirci Gesù?

Questo amministratore corrotto finisce nei guai perché ha approfittato dei beni del suo padrone; ora dovrà rendere conto e perderà il suo lavoro.

Ma lui non si dà per vinto, non si rassegna al suo destino e non fa la vittima; al contrario, agisce subito con furbizia, cerca una soluzione, è intraprendente.

Gesù prende spunto da questa storia per lanciarci una prima provocazione: «I figli di questo mondo — dice — verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».

Capita cioè che, chi si muove nelle tenebre, secondo certi criteri mondani, sa cavarsela anche in mezzo ai guai, sa essere più furbo; invece, i discepoli di Gesù, cioè noi, a volte siamo addormentati, oppure ingenui, non sappiamo prendere l’iniziativa per cercare vie d’uscita nelle difficoltà.

Penso ai momenti di crisi personale, sociale, ma anche ecclesiale: a volte ci lasciamo vincere dallo scoraggiamento, o cadiamo nella lamentela e nel vittimismo.

Invece si potrebbe anche essere scaltri secondo il Vangelo, svegli e attenti per discernere la realtà, creativi per cercare soluzioni buone, per noi e per gli altri.

La furbizia dell’amministratore

 

Ma c’è anche un altro insegnamento che Gesù offre. Infatti, in cosa consiste la furbizia dell’amministratore?

Egli decide di fare uno sconto a quelli che sono in debito, e così se li fa amici, sperando che possano aiutarlo quando il padrone lo caccerà.

Prima accumulava le ricchezze per sé, adesso le usa per farsi degli amici che possano aiutarlo... Sulla stessa via, rubare.

Per ereditare la vita eterna non serve accumulare i beni di questo mondo, ma ciò che conta è la carità che avremo vissuto nelle nostre relazioni fraterne.

Ecco l’invito di Gesù: non usate i beni solo per voi stessi e per il vostro egoismo, ma servitevene per generare amicizie, per creare relazioni buone, per agire nella carità, per promuovere la fraternità ed esercitare la cura verso i più deboli.

Anche nel mondo di oggi ci sono storie di corruzione come quella del Vangelo; condotte disoneste, politiche inique, egoismi che dominano le scelte dei singoli e delle istituzioni, e altre situazioni oscure.

Ma a noi cristiani non è permesso scoraggiarci o lasciar correre, restare indifferenti. Al contrario, siamo chiamati ad essere creativi nel fare il bene, con la prudenza e la scaltrezza del Vangelo, usando i beni di questo mondo non per arricchire noi stessi, ma per generare amore fraterno e amicizia sociale.

Preghiamo Maria Santissima, che ci aiuti a essere come lei poveri in spirito e ricchi di carità vicendevole.

(Angelus in piazza San Pietro)