Il cardinale Parolin a New York in due incontri di alto livello a margine dell’Assemblea generale dell’Onu

Cruciale più che mai il bando totale ai test nucleari

 Cruciale più che mai il bando totale  ai test nucleari  QUO-217
22 settembre 2022

Dal segretario di Stato anche il richiamo a tutelare le minoranze


«Con l’aumento delle tensioni globali e la retorica che minaccia l’uso di armi nucleari, è più che mai cruciale far entrare in vigore il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Ctbt)». Questo l’invito lanciato dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, intervenuto ieri, a New York, alla decima riunione degli Amici del Ctbt, gruppo istituito nel 2002 da Australia, Canada, Finlandia, Germania, Giappone e Paesi Bassi e che ha lavorato per l’entrata in vigore del documento, tenendo riunioni ministeriali ogni anno. Definendo il Ctbt «una componente vitale del regime di disarmo nucleare», il cardinale Parolin ha ribadito che «la Santa Sede deplora qualsiasi ripresa dei test e invita tutti gli Stati a mantenere l’adesione alla moratoria a rendimento zero».

Il porporato ha quindi riaffermato «il sostegno a un divieto globale degli esperimenti nucleari», ricordando al contempo «tutti coloro che hanno sofferto a causa della radioattività rilasciata dagli esperimenti nucleari» la quale «ha un impatto sproporzionato su donne, bambine e non nati e ha contaminato gli ambienti in tutto il mondo». Di qui, l’incoraggiamento della Santa Sede a tutti gli Stati affinché contribuiscano «agli sforzi per rimediare agli ambienti contaminati e assistere le vittime che hanno subito danni». Un contributo, ha concluso il cardinale Parolin, che rappresenta «un obbligo morale».

E sempre ieri, a New York, il porporato ha preso parte, per conto della Santa Sede, a una riunione commemorativa di alto livello per il trentesimo anniversario della Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche, adottata delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1992. Al suo primo articolo, il documento afferma che «gli Stati proteggeranno l’esistenza e l’identità nazionale o etnica, culturale, religiosa e linguistica delle minoranze all’interno dei rispettivi territori e favoriranno le condizioni per la promozione di tale identità. Gli Stati adotteranno idonee misure legislative ed altre allo scopo di conseguire questi obiettivi».

Nel suo intervento, dunque, il porporato ha richiamato il fatto che «tutti sono uguali in dignità e quindi hanno uguali diritti». Tuttavia, se da un lato è «fondamentale rifiutare l’uso discriminatorio del termine “minoranze” che genera

sentimenti di isolamento e inferiorità», ha aggiunto il cardinale Parolin, dall’altro «l’atteggiamento opposto di promuovere l’assimilazione rischia di cancellare le caratteristiche e i valori unici nazionali, etnici, religiosi e linguistici». Per questo, ha evidenziato il segretario di Stato, la tutela delle minoranze non può prescindere da principi chiave come «la tutela dell’esistenza, la non esclusione, la non discriminazione e la non assimilazione, in modo che l’integrazione non diventi assimilazione».

Soffermandosi, poi, sulle minoranze religiose, il porporato si è fatto portavoce della «grave preoccupazione» della Santa Sede per il fatto che «i cristiani continuano ad essere il gruppo più perseguitato al mondo, e non solo nei Paesi in cui sono un gruppo minoritario». Al riguardo, il porporato ha citato alcune stime: «Circa 360 milioni di cristiani in 76 Paesi subiscano discriminazioni, violenze e persecuzioni a causa della loro fede» e «un trattamento simile» viene subito anche da altre minoranze religiose. Tutto questo, ha sottolineato, è «una chiara violazione del diritto fondamentale alla libertà di pensiero, coscienza e religione», nonché una minaccia dei diritti ad esso collegati.

Di qui, l’appello conclusivo del cardinale Parolin ad adottare «una cultura del dialogo come percorso; della cooperazione reciproca come codice di condotta; della comprensione reciproca come metodo e standard» per proteggere e promuovere i diritti umani fondamentali delle persone appartenenti a minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche. Perché «identità e dialogo non sono poli inconciliabili», anzi: la prima «si rafforza e si arricchisce» proprio con il secondo.