La buona Notizia
Il Vangelo della XXVI domenica del tempo ordinario (Lc 16, 19-31)

Poveri voi, ricchi!

 Poveri voi, ricchi!  QUO-215
20 settembre 2022

«Tutti quanti fuor guerci / sì de la mente in la vita primaia, / che con misura nullo spendio ferci» («Furono tutti così ciechi / di mente nella vita terrena / che non spesero mai le ricchezze con misura»).

(Dante Alighieri , Divina Commedia,
Inferno
, Canto VII.42).

 

È la cecità, non la ricchezza, che Dante condanna in coloro che, pur potendo, in vita non hanno veduto altro che se stessi e pasciuto il loro ventre (Salmo, 73,4). Siamo nel vii Canto dell’Inferno dantesco dove, per la legge del contrappasso, coloro che sulla terra hanno trattenuto con avarizia o speso senza misura, ora, dopo la morte, sono costretti a spingere con il petto un masso pesante, scontrandosi gli uni contro gli altri, come aggiogati a un inutile peso. E, sempre secondo Dante, questi, nel suo Inferno, sono i peccatori più numerosi e molti dei quali sarebbero chierici.

Gesù sembra offrire ai farisei del suo tempo, attaccati al denaro e beffardi verso di lui (Luca, 16,14), un racconto, con l’intenzione di aiutarli ad aprire gli occhi prima che sia troppo tardi.

L’uomo ricco della parabola, infatti, reso cieco dalla porpora e dal lino dei suoi vestiti, annebbiato dai suoi lauti banchetti, non vedeva, o fingeva di non vedere, il povero Lazzaro mendicare davanti alla porta della sua casa, coperto di piaghe ed affamato; ora, stando negli inferi, intrappolato nei tormenti, lo vede benissimo e già da lontano, riconoscendo anche Abramo insieme con lui.

Mosè, la Legge e i profeti sarebbero stati per lui il collirio per mezzo del quale, in vita, guarire lo sguardo e ammorbidire il cuore; la medicina, il farmaco, la voce da ascoltare per non cadere in quel luogo di tormenti.

Riceviamo certamente questa Parola come un ammonimento contro la nostra imperitura avarizia, ma, tra le righe, sembra esserci qualcosa di più.

Ci è data la possibilità di conoscere questo povero mendicante il cui nome, Lazzaro, significa “Dio ha aiutato” o “colui che è assistito da Dio”: non è curioso che un povero, bisognoso d’ogni cosa, piagato, affamato, si chiami così? È il Signore stesso, nel suo racconto, che ci tiene a dargli questo nome mettendoci subito dentro a una grande contraddizione: “colui che è assistito da Dio” ci appare come abbandonato e soffre molti mali.

Nel paradosso del racconto scopriamo che anche il ricco, che resterà anonimo, conosce il nome di quell’uomo — Lazzaro — a testimonianza, contro se stesso, del fatto che sapeva bene si trovasse a mendicare fuori dalla sua porta. In Lazzaro aveva ricevuto la possibilità di farsi amico un “amico di Dio” con il quale varcare insieme le porte del Regno dei Cieli e avere accesso alle dimore eterne (cf. Luca, 16,9).

Ma il male ci scandalizza, la povertà ci fa orrore e, al pari dell’uomo ricco che tutti giudichiamo meritevole della pena che patisce, anche noi non vogliamo vedere.

Eppure, nei tantissimi “Lazzaro” della nostra storia, nelle piaghe sempre più visibili e dolorose che colpiscono gli uomini e le donne del nostro tempo, ci viene regalata l’occasione di riconoscere e scegliere il bene da compiere, di lasciare e condividere ciò che siamo solo chiamati ad amministrare e non a trattenere; abbiamo l’opportunità di tessere legami di amicizia in Dio e con Dio che null’altro vuole se non che tutti gli uomini siano salvati (1 Timoteo, 2, 4).

di Fulvia Maria Sieni