Il cardinale Parolin a Santa Maria Maggiore celebra la messa di ringraziamento per la pace nel Paese

Consolidare l’armonia
e la coesione sociale
in Costa d’Avorio

 Consolidare l’armonia e la coesione sociale in Costa d’Avorio  QUO-214
19 settembre 2022

Appello alla comunità internazionale per la regione del Sahel


Con il pensiero rivolto alla regione del Sahel, afflitta dalla «rapida moltiplicazione di gruppi e movimenti jihadisti e terroristici in Paesi come Burkina Faso, Mali, Niger e Nigeria», il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha lanciato un accorato appello alla comunità internazionale affinché non continui a rimanere sorda «alle grida dei bambini che non possono più andare a scuola» e al pianto «degli orfani, delle donne, delle vedove, degli allevatori e dei contadini, delle persone oneste che vivono il martirio in questa parte del pianeta».

Le sue parole sono riecheggiate venerdì scorso, 16 settembre, nella basilica papale di Santa Maria Maggiore, dove il porporato ha celebrato la messa di ringraziamento per la ritrovata pace in Costa d’Avorio. Alla presenza del presidente della Repubblica, Alassane Ouattara, e della consorte (che l’indomani sono stati ricevuti in Vaticano da Papa Francesco), del primo ministro e della delegazione che ha accompagnato il capo dello Stato africano in visita ufficiale alla Santa Sede, hanno concelebrato insieme con Parolin, tra gli altri, il cardinale Jean-Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan, e il nunzio apostolico nel Paese, l’arcivescovo Paolo Borgia.

Dinanzi alla tragica situazione della regione, ha ammonito il segretario di Stato all’omelia, «il mondo ha il grave dovere, in nome della solidarietà umana e della verità della storia, di stabilire e promuovere la pace e nient’altro che pace, la coesione e nient’altro che coesione in questi Paesi, aiutando le autorità e le popolazioni locali a trovare soluzioni durature, sinonimo di una marcia decisa verso lo sviluppo umano integrale».

Una sorta di ponte spirituale ha unito Roma, in particolare il tempio liberiano, prima chiesa in Occidente dedicata alla Madre di Dio, con l’immensa basilica di Nostra Signora della Pace nella capitale ivoriana Yamoussoukro, dove Parolin si era recato nel maggio scorso per conferire l’ordinazione episcopale al nunzio Borgia.

È alla «Madre di Cristo, Principe della pace, che chiediamo costantemente di intercedere per la pace desiderata, per la pace cercata», perché essa «si costruisca instancabilmente in terra ivoriana, terra di ospitalità e di speranza», ha detto il celebrante. «Se siamo qui riuniti per rendere grazie per la pace e per pregare per il suo consolidamento — ha aggiunto — è perché la pace è prima di tutto un dono di Dio, tanto che restiamo convinti che al centro dei nostri sforzi la preghiera deve occupare un posto importante», invocando «Colei che è capace di toccare i cuori e le menti, di disinnescare conflitti e situazioni umane, anche le più complesse».

Nella memoria liturgica dei santi Cornelio Papa e Cipriano vescovo di Cartagine, promotori di un atteggiamento di carità e di misericordia nell’affrontare la questione dei cristiani che chiedevano di essere riammessi nella Chiesa dopo aver apostatato durante la persecuzione, Parolin ha rimarcato che entrambi morirono martiri: il primo in esilio, il secondo per decapitazione. E oggi, ha aggiunto attualizzando la riflessione, «più di 2.000 anni dopo, vedendo il dinamismo della Chiesa in Africa, assume il suo pieno significato la celebre frase di Tertulliano: “il sangue dei martiri è seme dei cristiani”». Infatti «anche nel nostro tempo, la Chiesa continua a portare la croce dell’afflizione con i suoi figli sofferenti in varie parti del mondo» e «il fenomeno della violenza religiosa continua ad aumentare» dappertutto.

Anche la Costa d’Avorio «ha vissuto momenti difficili, dolorosi e tragici a causa di conflitti interni», ha commentato il porporato, augurandosi «che queste siano pagine della sua storia definitivamente capovolte e che la pace ora visibilmente ritrovata possa consolidarsi». In proposito ha constatato come «lavorare per costruire la pace e mantenerla attraverso la giustizia e l’equità» richieda «uno sforzo comune e un’efficace collaborazione da parte di tutti, sia all’interno di ciascun Paese sia all’esterno, in particolare tra Paesi vicini. L’Africa, in questo, è favorita dal fortissimo senso di comunità che la caratterizza — ha commentato — come ben esprime un suo proverbio: “Un problema agli occhi è anche un problema al naso”, cioè nessuno vive isolato, indipendente». Del resto, ha aggiunto Parolin, «è piaciuto a Dio benedire la Costa d’Avorio con una diversità di popoli, lingue, culture, che devono essere utilizzate per promuovere l’unità, la giustizia e lo sviluppo».

Da qui l’esortazione a «non permettere che la strumentalizzazione di queste benedizioni distrugga la coesione sociale e metta in pericolo l’armonia tra ivoriani. Siamo chiamati a collaborare con il Signore per costruire la pace, perché se è un dono di Dio è anche opera di persone di buona volontà».

Infine il cardinale ha rinnovato l’incoraggiamento espresso da Papa Francesco all’Angelus del 15 novembre 2020, in occasione della Giornata nazionale della pace svoltasi in un contesto di tensioni. Ai leader politici ivoriani il Pontefice chiese di «ristabilire un clima di fiducia», ha ricordato Parolin, attraverso «l’adozione e la promozione di tutte le misure atte a servire la riconciliazione e la pace, nell’ascolto reciproco, nella conoscenza e nella stima dell’altro».