Lettere dal Direttore

Ricomincia la scuola
e il suo miracolo

 Ricomincia la scuola e il suo miracolo  QUO-212
16 settembre 2022

È il quarto anno che inizia l’anno scolastico e di questa ripartenza non farò parte. Settembre è un po’ il vero capodanno ed è da questo punto di vista il mese più bello perché come cantava Cesare Pavese: «L’unica gioia al mondo / è cominciare ./ È bello vivere / perché vivere / è cominciare, / sempre ad ogni istante». Anche quest’anno dunque, al magico suono della campanella, non ci sarò. Semplicemente osserverò questa ripartenza da lontano, come tanti adulti che non hanno più contatto con quel mondo che tutti abbiamo attraversato e poi dimenticato. Questa era in fondo la critica che muovevano gli alunni ai professori: «Lei non ci capisce professore, ma per caso si è dimenticato di quando aveva la nostra età e di cosa significasse l'impegno scolastico?». E avevano, hanno, ragione: noi non li capiamo. Scrive Chesterton nella sua Autobiografia: «L’adolescenza è la cosa più complessa e la più incomprensibile che vi sia […] un uomo non può mai capire completamente un ragazzo sebbene sia stato pure lui un ragazzo». Secondo me questa incomprensione è fondamentale, è il punto di partenza, la base su cui si può costruire il processo educativo. Un processo incentrato prevalentemente sul dialogo e un dialogo può nascere solo da persone che non si capiscono. Due esseri umani che si intendono, che bisogno avrebbero di dialogare? Proprio perché “stranieri” i due possono confrontarsi e raccontare il proprio mondo all’altro, scommettendo sul reciproco inter-esse: che quello che ho nel cuore, che “sta dentro” di me, possa risuonare nel cuore di chi mi sta di fronte. Una volta risvegliato l’interesse e avviato il dialogo avviene il “miracolo” del riconoscimento reciproco: il professore riconosce il giovane e si ri-conosce in lui, e così fa anche il ragazzo, felice di essere riconosciuto. Questo riconoscimento porta alla riconoscenza che è la fioritura finale del processo educativo. Questa è ovviamente una sintesi davvero estrema, in mezzo tra l'incomprensione iniziale e la riconoscenza finale c’è davvero di tutto, c’è tutto il dramma dell’avventura scolastica, con i colpi di scena, le esaltazioni e i rovesci tipici di ogni avventura, cioè di quell’esperienza in cui la libertà è padrona.

Ci sarebbe dunque tanto da dire, qui mi preme dire che ho messo al centro l’aspetto del dialogo che senz’altro è cruciale, ma è importante sottolineare che non si tratta di un dialogo meramente verbale. Il più è il “non detto” e tra i due, docente e discente, il rapporto che nasce non è mai riducibile alla sola sfera logica, intellettuale. In classe si sta innanzitutto con il corpo, spesso il grande “sacrificato” di quei lunghi anni passati nelle aule scolastiche, e la relazione che scaturisce da questo incontro di corpi è qualcosa di globale, integrale: tutta la persona è coinvolta nel processo educativo e quando invece “l’ingaggio” di una delle due parti è solo parziale allora la scintilla non si accende, la relazione non parte. Le parole quindi contano ma non sono l’unico linguaggio che circola nelle aule di scuola, come dice il Papa riferendosi alla fede, la trasmissione avviene attraverso il “dialetto”. Quella è la via e spesso si passano mesi, anni per cercare di incontrarsi in questo dialetto, spesso fatto più di corpo che di mente, che è la lingua cioè l’ambiente che si abita, il grembo che accoglie e permette il miracolo dell’insegnamento-apprendimento.

Si intuisce facilmente che di questo “miracolo” ancora oggi nutro qualche nostalgia, ma è un po’ il destino e il sapore della vita: ricercare un miracolo di cui (nel caso della scuola come discente e/o come docente) si è fatta esperienza. Anche per questo qualcosa di quell’esperienza ho cercato di trasportare nella nuova avventura che da quasi quattro anni mi trovo a vivere, il giornalismo, un’altra esperienza che nasconde, tra le pieghe un po’ anchilosate del ritmo frenetico di un quotidiano, lo splendore aurorale del miracolo.

di Andrea Monda