Conversazione con lo scrittore Paolo Cognetti

L’acqua della terra
ci sta parlando

 L’acqua della terra ci sta parlando   QUO-208
12 settembre 2022

Con il libro "Le otto montagne" che è stato tradotto in oltre 40 Paesi e dal quale è stato tratto un film di prossima uscita, Paolo Cognetti ha vinto nel 2017 il Premio Strega. La montagna rappresenta per lo scrittore milanese una grande passione, il luogo della bellezza e della libertà. L'amore per la montagna, e più in generale per la natura, ritorna nei suoi lavori successivi come nell'ultimo romanzo "La felicità del lupo", pubblicato da Einaudi. Paolo Cognetti si trova a camminare tra i boschi a 2000 metri di altitudine quando risponde alla nostra chiamata, ma accetta di fermarsi un momento per condividere con noi riflessioni e ricordi legati alla sua esperienza vissuta ad alta quota.

Cognetti, lei ha una vera passione per le montagne e vive per lunghi periodi dell'anno ad alta quota. Ci parla del suo rapporto con la montagna? Che cos'è per lei la montagna?

È stata tante cose diverse nel corso della mia vita. Per esempio, è stata una montagna d'infanzia, il luogo dove passavo le estati con i miei genitori: noi vivendo a Milano ci spostavamo in Valle D'Aosta nei mesi di luglio e agosto, quindi con mio padre vivevo la montagna in un determinato modo, perché lui amava portarmi a scarpinare su per i sentieri con la sua disciplina, con le sue idee sul come andare in montagna; con mia madre in una maniera più dolce. È rimasto per me il ricordo della felicità dell'infanzia di quelle estati in cui un bambino si inselvatichisce e sperimenta per la prima volta l'avventura, la libertà, anche la bellezza. Poi invece più tardi, da adulto, la montagna è diventata altre cose: ho sperimentato la solitudine, ma ho sperimentato anche l'incontro che la montagna ti può regalare — alcuni dei miei migliori amici li ho trovati qui — è rimasto questo grande senso di libertà. Io la continua ad associare a questo, la città mi fa sentire chiuso in gabbia, ci abito per alcuni periodi dell'anno, la città è utile, ci serve, ma questa sensazione di libertà la sperimento soltanto qui.

Per millenni l'essere umano ha visto nelle manifestazioni naturali la presenza delle divinità, la natura è sempre stata una via per arrivare a Dio. Poi l'uomo ha sfruttato la Terra, ha cercato di dominarla, di vincerla prima per sopravvivere, poi per arricchirsi, ponendosi al centro dell'universo. Ora si sta capendo che solo l'alleanza tra uomo e natura ci garantirà un futuro. Lei sente vera questa cosa?

Ma io andrei anche un pochino oltre l'idea di alleanza, cioè questa terra l'abbiamo veramente modellata nell'epoca che ormai chiamiamo "antropocene", l'epoca in cui l'uomo ha davvero modificato la forma per lo meno esteriore del pianeta. Noi siamo responsabili della crisi climatica e praticamente ogni paesaggio — io adesso sono in un posto a 2000 metri in mezzo ai boschi e ai pascoli —, ma dovunque volgo lo sguardo c'è il segno dell'uomo che abita qui da secoli o da millenni e che questa montagna la lavora o la attraversa. Forse nella civiltà contadina era vera quest'idea dell'alleanza, cioè c’era un rispetto reciproco tra uomo e montagna, c’era una cura da parte dell'uomo della campagna, della terra, che poi gli serviva per sopravvivere. Oggi andrei oltre perché questa alleanza l’abbiamo spezzata noi e oggi la natura la dobbiamo trattare come un tempio, come luogo sacro da proteggere a tutti i costi, da venerare per chi ci associa un’idea di divinità, da pregare perché ci continui a dare l'acqua e le materie prime che ci servono per vivere. Insomma, oggi abbiamo delle responsabilità in più rispetto al passato, l'abbiamo profondamente modificata la Terra e adesso ci tocca curarla con estrema attenzione.

I cristiani, non solo i cattolici, celebrano ogni anno la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato che apre un intero mese dedicato all'ambiente. È una sensibilità acquisita relativamente di recente, quella ecologica...

Di recente ma, come dicevo prima, nella civiltà contadina questa cura esisteva già. Chi la terra la coltivava o allevava il bestiame aveva bisogno di conoscerla benissimo e di saperla usare senza sfruttarla troppo. Mario Rigoni Stern, che è un mio grande maestro di montagna, parlava del bosco in particolare come un giardino, come un orto, come un luogo coltivato dall'uomo in cui l'uomo prelevava l'interesse — diceva lui — e lasciava intatto il capitale e quindi la terra che ogni anno genera frutto, sì lo possiamo prelevare, però dobbiamo proteggere il nocciolo, cioè quello che è il capitale. Quest'idea c'è sempre stata fino a quando con l'epoca industriale, con l'epoca della grande industrializzazione, questo legame l’abbiamo spezzato. Oggi chi abita in città, chi ci è nato, i bambini non sanno più nulla di che cos’è un bosco, che cos’è un albero, un animale selvatico...Ecco perché oggi andiamo in montagna ed è per questo che la dobbiamo lasciare integra perché altrimenti, se l'uomo perdesse la memoria di tutto questo, ci aspetterebbe sicuramente un futuro molto cupo.

A questo proposito lei scrive nel suo libro ”Senza mai arrivare in cima”: “Alla fine ci sono andato davvero, in Himalaya (...) Volevo vedere se da qualche parte nel mondo esiste ancora una montagna integra, vederla coi miei occhi prima che scompaia”. Quante cose siamo destinati a veder scomparire se non agiamo subito?

Eh, mi viene da dire l'acqua perché un’estate così drammatica da questo punto di vista non c'era mai stata. In montagna non abbiamo mai avuto il problema dell'acqua, l'acqua è dappertutto tanto che si può buttar via, infatti scorre verso valle, ma quest’estate per la prima volta abbiamo imparato che l'acqua non è scontata nemmeno in montagna. Io abito ai piedi del monte Rosa e i ghiacciai quest’anno hanno preso veramente un durissimo colpo, sono arretrati davvero a vista d’occhio da un anno all'altro. E qui ci rendiamo conto di cosa succederebbe o succederà quando quei ghiacciai lì non ci saranno più. Allora non ci sarà più l’acqua nei torrenti, non ci sarà più l’acqua nei fiumi e non so veramente come faranno i nostri figli, quindi forse questo è il momento in cui pensare davvero che la cura del pianeta non è solamente un gesto filosofico, poetico per persone evolute, per persone colte, ma è un atto legato strettamente alla nostra sopravvivenza, all'acqua che ci esce dai rubinetti di casa, all’acqua che beviamo tutti i giorni. Se non vogliamo perdere quella, ecco, allora dobbiamo proteggere il pianeta.

E invece purtroppo la guerra in Ucraina sta influenzando pesantemente le nostre economie, c’è la questione del grano e soprattutto quella dell’energia. Questo rischia di oscurare la preoccupazione dei governi per la salvaguardia del pianeta. Si parla di tornare all’energia fossile. Secondo lei è giustificabile fare passi indietro sull’ambiente in questo momento?

No, non è giustificabile perché è la posizione di qualcuno che crede che certi problemi siano più gravi di altri, quindi pensa per esempio che alimentare l'industria sia un problema più urgente che proteggere il pianeta. Io non direi proprio, anzi, se c’è un’urgenza è proprio quella legata al clima. Si parla sempre di trovare altre fonti di energia, ma non si parla mai o non abbastanza di ridurre i nostri consumi che veramente è la chiave anche per la nostra economia. Abbiamo tanti sprechi, consumiamo troppo energia per motivi futili, non legati strettamente alla nostra sopravvivenza, se tagliassimo quei consumi sicuramente avremmo meno bisogno di gas, di petrolio ecc..., e forse ce la potremmo fare con le fonti rinnovabili che abbiamo.

Nel suo messaggio per la Giornata di preghiera per il creato, Papa Francesco scrive riguardo alla natura, di un dolce canto e di un grido amaro. Ci racconta in che occasione lei ha percepito questa dolcezza e quando invece questo grido amaro della terra?

Riguardo alla voce armoniosa sono fortunato perché io sono venuto a vivere qui proprio seguendo quella voce e quindi davvero per me è sufficiente entrare in un bosco. Io amo moltissimo l'acqua che scorre, forse per questo quest'anno sono così allarmato. Sedermi in riva a un torrente, ascoltare la voce dell'acqua che cambia durante la giornata perché ce n’è di più o di meno a seconda della temperatura e dell'ora del giorno... C’era Siddharta, il protagonista del famoso libro di Hermann Hesse, anche lui una figura spirituale, che alla fine della sua vicenda trovava l'illuminazione in riva a un fiume, imparando ad ascoltare la voce del fiume. Quella per me è la voce della Terra, è il canto della Terra. Il grido di dolore lo vedo dovunque l'uomo sia lì a scavare, a modificare, a spianare, a cementificare, e queste scene purtroppo sono ovunque anche in montagna. Io cerco di scappare da quei posti, scappo via e mi batto, devo dire, per cause che mi sembrano necessarie in questo senso perché ci sono tanti, tanti luoghi sulle montagne italiane in cui ancora esistono progetti anacronistici di distruzione della montagna legati a progetti o impianti che veramente non servono più a niente. L'ultimo caso recente è quello della pista da bob per le olimpiadi di Cortina. Ancora al giorno d’oggi si pensa di costruire una pista che non verrà mai più utilizzata se non in quei pochi giorni delle Olimpiadi. Sono follie che non dovrebbero più appartenere ai nostri tempi e io mi batto per questi motivi. Siamo a un mese scarso dalle elezioni e io sento fare pochissimi discorsi di questo tipo dalle persone che ci vorrebbero governare, la questione ambientale è praticamente assente da tutti i discorsi politici che ci vengono fatti ogni giorno in questo periodo.

Vorrei concludere tornando ai suoi libri: in che modo la natura entra nel suo ultimo romanzo: "La felicità del lupo?". Questo tema della felicità che lega, penso, la natura e le persone e anche le relazioni umane...

Sì, è il tema del libro nel senso che in questo romanzo, ma come nella mia vita e tra le persone che ho incontrato in questi ultimi anni, la ricerca della felicità è veramente molto legata alla ricerca di un luogo che sia bello. E per me un luogo bello è sicuramente un luogo molto legato alla natura dove ancora si possa vivere in armonia con lei, dove ancora sia presente la bellezza, dove ancora ci siano degli spazi di libertà non conquistati dall'uomo e lasciati alla Terra. E poi è una natura in questo romanzo che ci guarda passare e a me consola abbastanza l'idea che la Terra ci sopravviverà in ogni caso. Per quanto noi ci agitiamo e cerchiamo di rovinarla, lei è più duratura di noi per fortuna e vivrà benissimo anche quando noi ci saremmo estinti e questo pensiero mi consola.

di Adriana Masotti