Il magistero

 Il magistero  QUO-205
08 settembre 2022

Venerdì 2 settembre

Testimoni gioiosi
del Vangelo

Il vostro pellegrinaggio nella Città Eterna vi offre l’opportunità di rinnovare i vostri legami, nello sguardo comune verso Pietro e il suo Successore, che ha a cuore l’unità della Chiesa.

Che questi giorni portino frutti spirituali per voi, affinché possiate essere testimoni gioiosi del Vangelo nei vostri ambienti.

(Agli ex alunni del “Kollegium Kalksburg”
di Vienna
)

Sabato 3

Chi potrà ora guarirti, Siria?

Pensando alla Siria, vengono in mente le parole del Libro delle Lamentazioni: «Poiché è grande come il mare la tua rovina, chi potrà guarirti?» (2, 13).

Sono espressioni che si riferiscono alle sofferenze di Gerusalemme e che possono far pensare anche a quelle vissute dalla popolazione siriana in questi dodici anni di sanguinoso conflitto.

Considerando il numero imprecisato di morti e feriti, le distruzioni di interi quartieri e villaggi, e delle principali infrastrutture, tra cui anche quelle ospedaliere, viene spontaneo chiedersi: “Chi potrà ora guarirti, Siria?”.

Quella siriana rimane una delle più gravi crisi nel mondo, con distruzioni, crescenti bisogni umanitari, collasso socio-economico, povertà e fame.

Ho ricevuto in dono l’opera di un artista, che, ispirandosi a una fotografia, a volti reali, ritrae un papà siriano, stremato, che porta il suo bambino sulle spalle.

È uno dei circa quattordici milioni di sfollati interni e rifugiati, ossia più di metà della popolazione siriana di prima del conflitto. È un’immagine impressionante di tante sofferenze patite.

Di fronte a questa immensa sofferenza, la Chiesa è chiamata ad essere un “ospedale da campo”, per curare le ferite sia spirituali sia fisiche.

Nel Vangelo... il Signore guarisce. E la Chiesa, dal tempo degli Apostoli, è rimasta fedele al mandato di Gesù: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Facendo tesoro di questa eredità, ho esortato più volte i sacerdoti, specialmente il Giovedì Santo, a toccare le ferite, i peccati, le angustie della gente.

E ho incoraggiato tutti i fedeli a toccare le piaghe di Gesù, che sono i tanti problemi, le difficoltà, le persecuzioni, le malattie delle persone che soffrono, e le guerre.

La vostra iniziativa, impegnata a sostenere i tre Ospedali cattolici, operanti in Siria da cent’anni, e quattro ambulatori, è sorta sotto il patrocinio del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ed è sostenuta dalla generosità di Istituzioni ecclesiali — Papal Foundation e qualche Conferenza Episcopale —, di qualche ente governativo — quello ungherese e quello italiano —, di Istituzioni umanitarie cattoliche e di tante persone generose.

“Ospedali Aperti” è il vostro programma. Aperti a malati poveri, senza distinzione di appartenenza etnica e religiosa.

Questa caratteristica esprime una Chiesa che vuol essere casa con le porte aperte e luogo di fratellanza umana.

Nelle nostre istituzioni assistenziali-caritative, le persone, soprattutto i poveri, devono sentirsi “a casa” e sperimentare un clima di accoglienza dignitosa.

Curare i corpi e ricucire il tessuto sociale, promuovendo quel mosaico di convivenza esemplare tra vari gruppi etnico-religiosi caratteristico della Siria.

Itantissimi musulmani assistiti nei vostri ospedali sono i più riconoscenti.

Questa iniziativa sboccia dalla creatività dell’amore, o, come diceva San Giovanni Paolo ii , dalla «fantasia della carità».

Oggi mi avete regalato una bella icona di Gesù Buon Samaritano. Quel malcapitato derubato e lasciato mezzo morto sul ciglio della strada, può essere un’altra immagine drammatica della Siria, aggredita, derubata e abbandonata. Ma non dimenticata da Cristo, il Buon Samaritano, e da tanti buoni samaritani.

Alcune centinaia di questi, tra cui alcuni volontari, hanno perso la vita soccorrendo il prossimo.

Di fronte a tante e gravi necessità... ci sentiamo come i discepoli di Gesù di fronte alla numerosa folla da sfamare: «Non abbiamo altro che cinque pani e due pesci; ma che cosa è questo per tanta gente?» (Gv 6, 5-9). Una goccia d’acqua nel deserto...

Tuttavia anche il pietroso deserto siriano, dopo le prime piogge di primavera, si ammanta di una coltre di verde. Tante piccole gocce, tanti fili d’erba!

Vi ringrazio per il vostro lavoro... Andate avanti! Che i malati possano essere curati, che la speranza possa rinascere, che il deserto possa rifiorire!

Dopo la
benedizione

Questa sarà l’immagine, di questo papà siriano che fugge con il figlio, che a me ha fatto venire in mente quando San Giuseppe è dovuto fuggire in Egitto: non se n’è andato in carrozza, no, era così, fuggendo precariamente.

L’originale di questa immagine me l’ha regalata l’autore, che è un artista piemontese; io vorrei offrirla a voi perché guardando questo papà siriano e suo figlio pensiate a questa fuga in Egitto di ogni giorno, di questo popolo che soffre tanto.

(Alla fondazione Avsi per il progetto
“ospedali aperti” in Siria
)

Lunedì 5

La carità non va gestita come un’azienda

È per me una grande gioia ricevervi in occasione del 75° anniversario della fondazione di questa istituzione, che si è guadagnata il rispetto della società spagnola, al di là delle sue credenze e ideologie, perché la Carità, l’Amore con la maiuscola, è il tratto più essenziale dell’essere umano, creato a immagine di Dio.

Credo che il modo di amare divino possa essere modello di lavoro di Caritas.

Se Cristo ci chiama alla comunione con Dio e con il fratello, il vostro sforzo è diretto proprio a riconquistare quell’unità a volte perduta nelle persone e nelle comunità.

A motivarci, a farci raggiungere obiettivi programmati non sono i risultati ma il metterci dinanzi a una persona che è spezzata, che non trova il proprio posto, e accoglierla, aprire per lei cammini di recupero di modo che possa trovare se stessa, essendo capace, nonostante i limiti, di cercare il suo posto e di aprirsi agli altri e a Dio.

Questo al momento forse non si vede, ma alla fine sì. C’è un libro uscito circa due anni fa, è piccolo, si legge in due ore, si chiama “Hermanito”.

È la vita di un migrante dell’Africa centrale che arriva in Spagna, credo che ci abbia messo due anni e mezzo ad arrivare, o tre. Tutto quello che ha sofferto, e come è stato accolto con carità, e come ha potuto riprendersi e raccontare la sua esperienza.

Quest’opera è ispiratrice. Per aprirsi agli altri, è necessario “realizzare azioni significative”. Non bastano gesti che cerchino di “uscirne fuori”, ma che promuovano un vero cambiamento.

In una parrocchia della Spagna, la gente chiedeva al parroco se dava “buste” ossia se potevano approfittare di quella congiuntura “assistenzialista” che in realtà li mantiene incatenati al sussidio, impedendo il loro sviluppo.

Bisogna accogliere sempre il povero, accompagnarlo e integrarlo.

Gesù dice chiaramente, con la sua vita e con la sua opera, che non basta “dare”, bisogna “darsi”.

La carità presuppone sempre una donazione oblativa della vita... al di là dell’azione concreta, quando offrirà alla persona una porta aperta.

Parafrasando il Vangelo di Giovanni, se venissimo cercati e venissimo lodati solo perché la gente ha mangiato pane e per questo motivo ci sentissimo come re, staremmo tradendo Gesù.

Il Signore ci propone di essere fermento di un regno di giustizia, amore, pace.

Chiede di essere noi quelli che danno da mangiare al suo Popolo quel pane spezzato che è Lui stesso, insegnandoci che chi vuole essere veramente grande deve farsi servitore di tutti.

La Chiesa, come corpo mistico di Cristo, prolunga nella sua storia la sua azione, perciò Caritas si propone come quella mano tesa che è di Cristo quando la offriamo a chi ha bisogno, e al tempo stesso ci permette di afferrare Cristo quando lui ci interpella nella sofferenza del fratello.

Guardare il fratello che è caduto [è] l’unico momento in cui ci è consentito guardare una persona dall’alto in basso per aiutarla ad alzarsi.

Poco fa ho parlato di una gestione ordinata delle risorse... non lo dico perché ho informazioni di Caritas Spagna... parlo con libertà.

Non cadete nella grande azienda della carità, dove il 40, 50, 60 per cento delle risorse è destinato a pagare gli stipendi di quanti vi lavorano.

Ci sono in Europa movimenti di istituzioni di carità che arrivano al 60 per cento, credo sia troppo, ma 40 e oltre per cento è destinato agli stipendi. Meno mediazioni possibili, no?

E quelle che ci sono, per quel che si può, per vocazione, non come lavoro. “Vieni, vieni che ti do un lavoro in Caritas...”. No.

Questo non va bene... Non lo dico perché oggi parlo di voi, parlo per l’esperienza che ho di vedere altre istituzioni di aiuto che cadono in questo.

(Alla Caritas spagnola)

Mercoledì 7

Dio lavora
anche
attraverso
gli imprevisti

Proseguiamo la nostra riflessione sul discernimento e ... uno degli esempi più istruttivi ce lo offre Sant’Ignazio di Loyola, con un episodio decisivo della sua vita.

Ignazio si trova a casa convalescente, dopo essere stato ferito in battaglia a una gamba. Per scacciare la noia chiede qualcosa da leggere.

Lui amava i racconti cavallereschi, ma purtroppo in casa si trovano solo vite di santi.

Un po’ a malincuore si adatta, ma nel corso della lettura comincia a scoprire un altro mondo, che lo conquista e sembra in concorrenza con quello dei cavalieri.

Resta affascinato dalle figure di San Francesco e San Domenico e sente il desiderio di imitarli.

Ma anche il mondo cavalleresco continua a esercitare il suo fascino.

Ignazio però comincia anche a notare delle differenze.

Nella sua Autobiografia — in terza persona — scrive: «Pensando alle cose del mondo, provava molto piacere, ma quando, per stanchezza, le abbandonava si sentiva vuoto e deluso. Invece, andare a Gerusalemme a piedi nudi, non cibarsi che di erbe, praticare tutte le austerità che aveva conosciute abituali ai santi, erano pensieri che non solo lo consolavano mentre vi si soffermava, ma anche dopo averli abbandonati lo lasciavano soddisfatto e pieno di gioia».

In questa esperienza possiamo notare due aspetti.

Il primo è il tempo: i pensieri del mondo all’inizio sono attraenti, ma poi perdono smalto e lasciano vuoti, scontenti.

I pensieri di Dio, al contrario, suscitano dapprima resistenza... ma quando li si accoglie portano una pace sconosciuta, che dura tanto tempo.

Ecco allora l’altro aspetto: il punto di arrivo dei pensieri.

All’inizio la situazione non sembra così chiara. C’è uno sviluppo del discernimento: per esempio capiamo cosa sia il bene per noi non in modo astratto, generale, ma nel percorso della nostra vita.

Nelle regole per il discernimento, frutto di questa esperienza fondamentale, Ignazio pone una premessa: «A coloro che passano da un peccato mortale all’altro, il demonio comunemente è solito proporre piaceri apparenti, tranquillizzarli che tutto va bene, facendo loro immaginare diletti e piaceri sensuali, per meglio mantenerli e farli crescere nei loro vizi e peccati. Con questi, lo spirito buono usa il metodo opposto, stimolando al rimorso la loro coscienza con il giudizio della ragione».

Il
discernimento
non è
un oracolo

Ma questo non va bene. C’è una storia che precede chi discerne, una storia che è indispensabile conoscere, perché il discernimento non è una sorta di oracolo o di fatalismo o una cosa di laboratorio, come gettare la sorte su due possibilità.

Le grandi domande sorgono quando nella vita abbiamo già fatto un tratto di strada, e a quel percorso dobbiamo tornare per capire cosa stiamo cercando.

Ignazio, quando si trovava ferito nella casa paterna, non pensava a Dio o a come riformare la propria vita.

Egli fa la sua prima esperienza di Dio ascoltando il proprio cuore, che gli mostra un ribaltamento curioso: le cose a prima vista attraenti lo lasciano deluso e in altre, meno brillanti, avverte una pace che dura.

Anche noi abbiamo questa esperienza, tante volte cominciamo a pensare una cosa e restiamo lì e poi siamo rimasti delusi.

Invece facciamo un’opera di carità, una cosa buona e sentiamo qualcosa di felicità, un pensiero buono, una cosa di gioia.

Ignazio fa la prima esperienza di Dio, ascoltando il proprio cuore che gli mostra un ribaltamento. È questo che noi dobbiamo imparare: ascoltare il cuore, per conoscere cosa succede, quale decisione prendere, fare un giudizio su una situazione.

Noi ascoltiamo la televisione, la radio, il telefonino, siamo maestri dell’ascolto, ma domando: sai ascoltare il tuo cuore?

Prendere
decisioni
ascoltando
il cuore

Per prendere delle decisioni belle occorre ascoltare il proprio cuore. Per questo Ignazio suggerirà di leggere le vite dei santi, perché mostrano in modo comprensibile lo stile di Dio nella vita di persone non molto diverse da noi perché di carne ed ossa.

Le loro azioni parlano alle nostre e ci aiutano a comprenderne il significato.

In quel famoso episodio dei due sentimenti che aveva Ignazio, uno quando leggeva le cose dei cavalieri e l’altro quando leggeva la vita dei santi, possiamo riconoscere un altro aspetto importante del discernimento, che abbiamo già menzionato la volta scorsa.

C’è un’apparente casualità negli accadimenti della vita: tutto sembra nascere da un banale contrattempo: non c’erano libri di cavalieri, ma solo vite di santi.

Un contrattempo che però racchiude una possibile svolta. Solo dopo un po’ di tempo Ignazio se ne accorgerà, e a quel punto vi dedicherà tutta la sua attenzione.

Dio lavora attraverso eventi non programmabili, e anche nei contrattempi.

Lo abbiamo visto anche in un brano del Vangelo di Matteo: un uomo che sta arando un campo si imbatte casualmente in un tesoro sotterrato.

Una situazione del tutto inattesa. Ma ciò che è importante è che lo riconosce come il colpo di fortuna della sua vita e decide di conseguenza: vende tutto e compra quel campo.

Un consiglio che vi do, state attenti alle cose inattese... Lì ti sta parlando la vita, ti sta parlando il Signore o ti sta parlando il diavolo? Qualcuno.

Ma c’è una cosa da discernere, come reagisco io di fronte alle cose inattese.

Vedere cosa succede quando viviamo cose che non aspettiamo e lì impariamo a conoscere il nostro cuore come si muove.

Il discernimento è l’aiuto a riconoscere i segnali con i quali il Signore si fa incontrare nelle situazioni impreviste, perfino spiacevoli, come fu per Ignazio la ferita alla gamba.

Da esse può nascere un incontro che cambia la vita, per sempre... una cosa che ti fa migliorare nel cammino o peggiorare non so, ma stare attenti e il filo conduttore più bello è dato dalle cose inattese.

Il Signore ci aiuti a sentire il nostro cuore e a veder quando è Lui che attua e quando non è Lui ed è un’altra cosa.

Vicinanza
alle madri
di figli malati
emarginati
o detenuti

Domani celebreremo la festa della Natività della Vergine Maria. Maria ha sperimentato la tenerezza di Dio come figlia, piena di grazia, per poi donare questa tenerezza come madre, attraverso l’unione alla missione del Figlio Gesù.

Per questo oggi desidero esprimere la mia vicinanza a tutte le madri. In modo speciale alle madri che hanno figli sofferenti: malati, emarginati, carcerati.

Una preghiera particolare per le mamme dei giovani detenuti: perché non venga meno la speranza.

Purtroppo nelle carceri sono tante le persone che si tolgono la vita, a volte anche giovani.

L’amore di una madre può preservare da questo pericolo.

La Madonna consoli tutte le madri afflitte per la sofferenza dei figli.

(Udienza generale in piazza San Pietro)