A Gerusalemme est un progetto artistico internazionale per ricostruire la comunità

Gli occhi della speranza

A boy plays near a mural painted as part of a public art project entitled 'I witness Silwan' ...
08 settembre 2022

«Questi occhi dicono alle persone che noi li vediamo e che anche loro dovrebbero vederci, perché noi siamo qui: amiamo la nostra terra e la nostra casa»: così Jawad Siyam, direttore del Madaa-Silwan Creative Center, spiega il senso del progetto artistico internazionale denominato “Io sono testimone di Silwan”. L’iniziativa si propone di decorare le case di Silwan, quartiere situato a Gerusalemme est, a maggioranza araba e considerato territorio palestinese, con dei giganteschi occhi sbarrati che possono essere visti a chilometri di distanza, affinché il mondo non dimentichi le difficoltà del territorio, da tempo minacciato da programmi di espansione dei coloni israeliani.

Due gli organismi promotori del progetto: il primo è il Madaa-Silwan Creative Center, fondato nel 2007 dai residenti del quartiere. Il nome scelto, “madaa”, non è casuale: in arabo, tale parola significa “orizzonte” ed è infatti un orizzonte di pace e di speranza quello che vuole creare il Centro, ricostruendo la comunità locale sia attraverso l’arte che tramite attività e corsi educativi e ricreativi per i bambini, gli adolescenti e le donne.

Il secondo organismo promotore è, invece, Art Forces: fondato nel 2001 negli Stati Uniti, il programma mira a rendere visibili storie e situazioni che altrimenti cadrebbero nel dimenticatoio collettivo, creando connessioni tra le realtà locali e le questioni globali legate alla giustizia sociale. Gli strumenti utilizzati da Art Forces sono esclusivamente quelli artistici, declinati in ogni forma: dai classici murales alla tecnologia più moderna, che si avvale anche di Internet e dei social network.

A dipingere i grandi occhi sono anche i giovani palestinesi, con la loro creatività, le loro ambizioni, le loro idee: «Prima il nostro quartiere era tutto grigio, quasi deprimente — spiega Ahmad — e così abbiamo colorato i muri per raffigurare un po’ di bene e di speranza». (isabella piro)