Diario dalla Terra Santa
Tanto più la vita era minuziosamente strutturata, quanto più gli effetti dei lock-down dovuti alla pandemia sono risultati dirompenti. C’è un posto al mondo dove la vita è così minuziosamente strutturata, da esser addirittura disciplinata da una legge: quella dello status quo. E il posto è Gerusalemme, dove, fin dai tempi degli ottomani, la vita delle diverse comunità cristiane presenti in Terra Santa è scandita dal perpetuarsi di regole comportamentali molto dettagliate, ma che garantiscono una coesistenza orante, rispettosa e pacifica.
È stato perciò inevitabile che la sospensione del tempo determinata dalla pandemia abbia avuto, come e più che altrove, un effetto dirompente nella vita dei frati della Custodia e dei cristiani di Terra Santa. Lo racconta molto bene il libro, di recente pubblicazione, scritto da padre Ibrahim Faltas, La Pandemia in Terra Santa. Diario di un francescano (Milano, Edizioni Terra Santa, 2021, pagine 368, euro 24).
Padre Ibrahim è un personaggio molto noto in Terra Santa, egiziano di origine, vive ormai da trent’anni tra Gerusalemme e Betlemme, dove vanta un grande carisma, riconosciuto soprattutto dalla popolazione palestinese. Lo scorso luglio è stato eletto vicario custodiale dai frati, accanto al custode padre Francesco Patton, che del libro ha scritto una calorosa prefazione, al pari del patriarca di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa.
Faltas — lo ricorderanno i nostri più antichi lettori — fu tra i protagonisti, vent’anni fa, della tragica vicenda dell’assedio della basilica della Natività a Betlemme, svolgendo un prezioso ruolo di mediazione, che consentì un pacifico epilogo della vicenda e il salvataggio di molte vite umane. Da allora padre Ibrahim è riconosciuto come un punto di riferimento per la sofferente popolazione della città che dette i natali a Gesù. Una figura possente ancorché francescanamente mansueta, un iperattivismo generoso, un perspicace spirito imprenditoriale e un vivace protagonismo pragmatico.
Faltas si occupa di un’infinità di cose: dirige le scuole francescane di Betlemme e di Gerusalemme (dove sta realizzando un moderno centro sportivo confinante con le antiche mura di Solimano), gestisce efficientemente la Casa Nova di Gerusalemme, che ogni anno ospita migliaia di pellegrini, coordina molte iniziative caritatevoli a Betlemme, e soprattutto è l’“agente di collegamento” con le autorità governative, tanto israeliane che dell’Autorità Palestinese. E proprio questa attività è risultata preziosa nei mesi di lockdown, dove in una negoziazione continua, racconta nel libro, è riuscito comunque a garantire lo svolgimento di tutte le celebrazioni liturgiche della Pasqua 2020.
Il diario di padre Ibrahim è essenzialmente una sequenza di fotografie scritte, che emozionano e commuovono chiunque conosca ed ami la città santa. Lo sconcerto di una Gerusalemme deserta, la basilica del Santo Sepolcro chiusa (ma con i frati residenti che hanno continuato da soli tutte le liturgie quotidiane), la drammatica benedizione alla città del patriarca Pizzaballa il pomeriggio della domenica delle palme dal Dominus Flevit sul monte degli Ulivi, la tradizionale Via Crucis del Venerdì Santo, seguita da tre soli frati, ma anche l’accensione solitaria del Sacro Fuoco degli ortodossi, che è da sempre la cerimonia religiosa più affollata di Gerusalemme, e poi Pesach, e Ramadan.
Un tempo sospeso, ma non un tempo vuoto. Anzi, un tempo in cui si consumano anche grandi novità nella storia secolare della Custodia di Terra Santa, come la riapertura alla celebrazione della messa, dopo secoli di impedimento, nella sala del Cenacolo il Giovedì Santo e il giorno di Pentecoste. In appendice ad ogni pagina di diario sono proposte alcune brevi ma profonde meditazioni e preghiere. Insieme allo sconcerto e alle lacrime (toccanti i frequenti riferimenti alla maggiore sofferenza di quei mesi in Italia), ciò che maggiormente colpisce di questo diario di padre Ibrahim è il mai venir meno di un seme di speranza.
Ibrahim, che si avvantaggia del suo ruolo per poter riunirsi ai suoi confratelli nella basilica chiusa del Santo Sepolcro, ben lo sa, e ben lo medita: a soli trenta metri dal Calvario c’è la tomba vuota della Resurrezione.
di Roberto Cetera