La concretezza del volto della Misericordia

 La concretezza del volto della  Misericordia  ODS-002
03 settembre 2022

Quest’anno l’estate a Roma è iniziata molto presto. La morsa del caldo si è stretta subito sulla città e le giornate sono diventate una continua rincorsa verso l’ombra. Molte famiglie hanno fatto le valigie prima del solito per cercare altrove un riparo dall’afa, altre sono rimaste, attendendo che le settimane si sciolgano nella calura e pian piano anche questa stagione faccia il suo giro. Lo so, è un pensiero malinconico, ma l’estate non è uguale per tutti. Ripenso alle mie estati con i nonni. Erano come un’unica lunga giornata, anche fatte di fertile ozio costruttivo. Mentre per i ragazzi di oggi la noia è una cupa sofferenza che devono riempire di frenetiche distrazioni. Alla mia età attendo solo un po’ di riposo. Del resto, il tempo fa la differenza in tutte le cose, cambia le prospettive e il calendario diventa solo una pura convenzione.

Stasera torno alla mensa della Caritas, quella di Via Marsala, sotto la Stazione Termini per intenderci. Io per diversi anni ci ho fatto il volontario e ho dovuto interrompere a causa della pandemia. Ci penso spesso ai miei servizi in mensa, a quanti volti mi sono passati davanti. Alcuni li ricordo bene, molti invece si sono persi nella nebbia degli sguardi. Ma dietro ogni volto c’è una storia, che attraversa il dramma della povertà, in cerca di una redenzione.

Alessio mi viene incontro appena parcheggio, anche lui reduce da una calda giornata di lavoro. Però siamo contenti di incontrarci. Alessio è stato per più di un anno ospite dell’ostello, ne ha di cose da raccontare, soprattutto di come si arriva a bussare a questa porta. Ma facciamo un passo indietro, perché spesso le storie, anche le più dolorose, iniziano da una normalità semplice e condivisa. La linea di confine tra dentro e fuori la Caritas è molto più sottile di quanto si possa immaginare.

«Le mie estati da bambino erano infinite, belle, una lunga sospensione del tempo ordinario, piena di favola. Passavo due mesi al mare, prima a Capalbio e poi, da adolescente, a Sorrento. Sempre con la mia famiglia, che all’epoca era molto benestante».

Poi, però, le improvvise difficoltà economiche della famiglia hanno cambiato la prospettiva che, dalle spiagge dell’Argentario, si è trasformata nelle torride strade della città. E così per Alessio, studente di filosofia, le estati sono diventate difficili, comunque anonime. Si confondono tra loro, senza lasciare qualcosa di indimenticabile. Lo studio, qualche lavoretto e un po’ di sordo riposo, niente di più.

Il racconto di Alessio sembra piuttosto ordinario, però qualcosa è successo. Allora la domanda è: come si precipita nell’abisso? Come ci si smarrisce in una notte dell’anima, oscura, opprimente? Eppure, Alessio si è dato da fare. Ha lavorato nell’editoria e poi ha aperto una sua casa editrice. I libri gli sono sempre piaciuti. Ma coniugare la passione per la cultura con le esigenze dell’impresa non è cosa facile. E infatti, al di là della straordinaria avventura umana, le cose si fanno complicate. Sempre più complicate e faticose. A ciò si aggiunge la morte improvvisa del fratello Leonardo, di poco più giovane, ma con cui ha un legame forte, viscerale, resa più tragica dal litigio che li aveva allontanati da anni. Allora si sente un crack, qualcosa si rompe dentro. L’orizzonte cambia radicalmente. Finisce anche una grande storia d’amore, si dilapidano i risparmi, e inizia la notte più oscura.

A quel punto lentamente Alessio si lascia andare, magari si è illuso di poter ritrovare sé stesso e invece si è perso. La sequenza dei giorni rallenta. Frana nell’abisso e sperimenta la fame, quella vera, che ti fa perdere lucidità. E se non mangi, alla fine non ti rendi neanche più conto che non stai mangiando. Lo smarrimento impedisce di fare qualsiasi cosa, di attendere ai piccoli gesti quotidiani che garantiscono una minima sopravvivenza.

Finché, nell’inverno del 2018 perde anche la casa. E tocca il fondo. Cosa vuol dire “toccare il fondo”, come si può spiegare? È una notte indimenticabile, che Alessio ricorda minuto per minuto. È l’inizio della prima settimana di Quaresima, e fa freddissimo; Roma è gelida e respingente. Alessio è letteralmente disperato e non ha dove andare. Ai suoi amici non ha detto niente, forse per orgoglio, ma anche per non metterli in difficoltà. Ormai non mangia da due giorni, è debole e il ghiaccio entra nelle ossa. Alla fine si ripara nella metropolitana, stazione Cavour. Ma a questo punto, inaspettatamente, si manifestano dei segni. Sono i segni inconfondibili della Grazia. Appena entrato nella metropolitana trova un piccolo Rosario, lo raccoglie e lo tiene stretto in mano cominciando confusamente a pregare. Poi trova un foglietto con il Vangelo della prima domenica di Quaresima. È il passo in cui Gesù va nel deserto. Lo legge, questa cosa lo colpisce molto; l’immagine di Gesù che si avvia da solo nel deserto, in qualche modo lo riguarda. Poi trova un panino abbandonato, integro, perfetto. Finalmente ha qualcosa da mangiare. Infine, è l’alba, un carabiniere si interessa a lui e gli suggerisce di andare alla Caritas di via Marsala. Ecco, la Grazia ci tocca tutti i giorni, ma non ce ne accorgiamo. La concretezza del volto della misericordia di Dio, quella gratuità che nulla domanda, non pone condizioni, non giudica; vuole solo porsi come aiuto. Non ce ne accorgiamo finché improvvisamente cade un velo e vediamo tutto nitidamente. Tutte quelle circostanze, che chiamavamo coincidenze, hanno un senso più profondo e immanente.

A via Marsala, nell’ostello della Caritas, Alessio è immediatamente accolto e abbracciato da tutti. Alessandra, un’operatrice, gli dice semplicemente: «vedrai, andrà tutto bene». E lui ci crede, adesso lo sa, che può essere vero, che sarà così. Perché in quella notte terribile ha definitivamente rinunciato a tutto, abbandonando ogni vanità. «Mi sono purificato dei castelli e delle panne montate del mio ego, e finalmente mi si sono aperti gli occhi». Per cogliere appunto quei segni: il piccolo Rosario, il panino abbandonato, il Vangelo del giorno, le parole del carabiniere. In poche ore la realtà si riempie di indicazioni chiare e inconfondibili. Ecco una luce da seguire, ecco la redenzione possibile.

E infatti, alla Caritas, dove rimarrà ospite per tredici mesi, avviene la sua Pasqua di resurrezione. Alessio rinasce alla vita, si confida con il suo padre spirituale, con gli amici. E riceve solo amore e sostegno. Trova lavoro proprio durante la Settimana Santa, quando però si ammala anche di polmonite. In quei giorni perde anche il piccolo Rosario, che evidentemente aveva assolto la sua funzione. Ma non perde il lavoro, che infatti continuerà per tutta l’estate.

Quell’estate del 2018 Alessio se la ricorda bene. Ad agosto anche gli uffici chiudono e le giornate si fanno lunghe e silenziose. Ma è bello girare per le strade vuote. La cosa che ama di più è sedere al tavolino di un piccolo bar e passare le ore a scaldarsi al sole, come una lucertola. Dopo aver sofferto tanto freddo ora ha bisogno di luce e calore, tanto calore.

Ma attenzione, Alessio non si nasconde dietro una facile retorica. Perché la vita materiale all’ostello non è facile. Gli ospiti sentono che nella loro esistenza si è rotto qualcosa di profondo e c’è un’evidente difficoltà a fare i conti con le cose della vita, del mondo. E l’estate è il momento in cui il senso di abbandono si fa insopportabile. L’accoglienza della struttura rimane la stessa ovviamente, i servizi di mensa e alloggio funzionano, ma le attività di relazione si sospendono. È inevitabile, molti operatori vanno in ferie, e anche molti volontari. La solitudine, allora, ti morde le caviglie tutti i giorni. Comunque, come sempre, devi lasciare l’ostello al mattino presto e cominci a girovagare per la città. Ma Roma si svuota, si sposta verso le spiagge delle vacanze e tu sei lì con i tuoi pensieri, tra i caseggiati arroventati dal sole d’agosto e il chiasso impertinente delle cicale. Non resta che aspettare che arrivi settembre e poi ricominciare.

Però adesso Alessio non ha paura dell’estate. Ha avviato una sua attività professionale e ogni settimana torna all’ostello per svolgere qualche servizio. Per lui ormai è un luogo dell’anima, grazie al quale ha vissuto una esperienza radicale di salvezza. Ma sa anche che deve restituire l’amore ricevuto. Per questo aiuta gli ospiti nella redazione del giornalino, oppure li accompagna al Comune per svolgere le varie pratiche necessarie all’accoglienza.

Quella di Alessio è una storia straordinaria, che certamente ci conforta, perché la salvezza è sempre qualcosa che vorremmo nell’orizzonte delle cose che sappiamo. Ma ci dice anche qualcos’altro. Quella di Alessio è l’esperienza di un uomo “normale” secondo i nostri canoni convenzionali. Una persona colta, benestante, lontano da eccessi radicali, che però ha incontrato quella che lui chiama la “notte oscura”. E però in quel momento ha saputo cogliere i segni della Grazia. Questa cosa mi colpisce molto. Mi interrogo sulla mia vita frenetica, isterica, incomprensibile. E mi chiedo, quanto sono davvero in grado di vedere i segni della Grazia che incontro nel mio cammino? Come posso fare? Mi tornano in mente le parole di Alessio: «Bisogna purificarsi dai castelli dell’ego, liberarsi dalla vanità». Forse è così. Proprio così.

di Alessio Aringoli e Nicola Bultrini