Parole e gesti di Papa Francesco

In vacanza dagli affanni, non dal cuore

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03 settembre 2022

«Zia Isa, ma il Papa cosa fa in vacanza?»: mio nipote Luca aveva solo 7 anni quando mi pose questa domanda. Io ero distratta da altri pensieri e risposi un po’ alla svelta: «Niente, resta in Vaticano».

Ma oggi mio nipote ha 16 anni; nel frattempo, le sue domande sono diventate sempre più acute e penso proprio che non si accontenterebbe di una risposta superficiale come quella che gli ho dato quasi un decennio orsono. Perché sì, in parte è vero che, nel periodo estivo, Papa Francesco «non fa niente e resta in Vaticano», ma il suo è un “niente” che racchiude in sé una ricchezza infinita di significati. Se da una parte, dunque, vengono effettivamente sospese le Udienze generali e gli incontri pubblici, dall’altra però l’attività del Pontefice, soprattutto quella spirituale, non si ferma mai.

Il riposo, dimensione
umana e divina

D’altronde, nel linguaggio della fede, il riposo è una dimensione al contempo umana e divina, ossia non è una mera astensione dalla fatica quotidiana, bensì un’opportunità, un’occasione per sentirsi pienamente figli di Dio, sue creature. In quest’ottica, il tempo del riposo è sacro non solo perché è abitato dal Signore, ma anche perché ci permette di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa.

Lo stesso Francesco, nell’agosto 2014, risponde così ai giornalisti che lo intervistano sul volo di ritorno dal viaggio apostolico nella Repubblica di Corea: «L’ultima volta che ho fatto vacanze fuori Buenos Aires, con la comunità gesuita, è stato nel 1975. Poi, sempre faccio vacanze – davvero! –, ma nell’habitat: cambio ritmo. Dormo di più, leggo le cose che mi piacciono, sento la musica, prego di più… E questo mi riposa».

L’importanza
della preghiera

Per il Pontefice, quindi, la prima declinazione della parola “vacanza” è la preghiera: all’Angelus del 9 luglio 2017, ad esempio, dice ai fedeli: «Il Signore sa quanto la vita può essere pesante. Sa che molte cose affaticano il cuore: delusioni e ferite del passato, pesi da portare e torti da sopportare nel presente, incertezze e preoccupazioni per il futuro. E così, impariamo ad andare da Gesù e, mentre nei mesi estivi cercheremo un po’ di riposo da ciò che affatica il corpo, non dimentichiamo di trovare il ristoro vero nel Signore». Un invito ripetuto anche alla preghiera mariana del successivo 6 agosto, durante la quale il Papa ribadisce che tutti hanno bisogno «di un tempo utile per ritemprare le forze del corpo e dello spirito, approfondendo il cammino spirituale».

Il dialogo con Dio
è rigenerante

E ancora, all’Angelus del 18 luglio 2021, Francesco sottolinea che d’estate «non basta “staccare la spina”, ma occorre riposare davvero. Per farlo, bisogna ritornare al cuore delle cose: fermarsi, stare in silenzio, pregare, per non passare dalle corse del lavoro alle corse delle ferie. Gesù non si sottraeva ai bisogni della folla, ma ogni giorno, prima di ogni cosa, si ritirava in preghiera, in silenzio, nell’intimità con il Padre. Guardiamoci dall’efficientismo, fermiamo la corsa frenetica che detta le nostre agende. Impariamo a sostare, a spegnere il telefonino, a contemplare la natura, a rigenerarci nel dialogo con Dio».

La promozione
di una “ecologia
del cuore”

Oltre alla preghiera, c’è anche un secondo significato che Bergoglio dà al periodo delle ferie estive ed è quello della compassione: sempre all’Angelus del 18 luglio 2021, Francesco evidenzia che «la compassione nasce dalla contemplazione. Se impariamo a riposare davvero, diventiamo capaci di compassione vera; se restiamo in contatto con il Signore e non anestetizziamo la parte più profonda di noi, le cose da fare non avranno il potere di toglierci il fiato e di divorarci. Abbiamo bisogno di una “ecologia del cuore”, che si compone di riposo, contemplazione e compassione. Approfittiamo del tempo estivo per questo!».

Il riposo amplia lo sguardo
sul prossimo

Il concetto di “ecologia del cuore” si ritrova già, in nuce, nell’Enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune, diffusa nel 2015: al numero 237, infatti, il Papa scrive che «l’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato». Ciò che siamo chiamati a fare, invece, è «includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostra essenza. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale». Francesco poi spiega: «La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, “perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero” (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri».

Ferie e lavoro
“vanno insieme”

In terzo luogo, Bergoglio evidenzia che il riposo è strettamente collegato al lavoro: non si tratta di un paradosso, bensì di un modo sano di intendere, da una parte, la propria occupazione affinché non diventi una schiavitù, dall’altra il periodo delle ferie, poiché esse non sono solo un diritto, ma anche un bisogno umano. «Il riposo è il diritto che tutti abbiamo quando abbiamo lavoro — dice il Papa il 7 novembre 2015, ricevendo in udienza il personale dell’Inps (Istituto nazionale di previdenza sociale) —; ma se la situazione di disoccupazione, di ingiustizia sociale, di lavoro nero, di precarietà nel lavoro è tanto forte, come io mi posso riposare? Il vero riposo viene proprio dal lavoro! Tu ti puoi riposare quando sei sicuro di avere un lavoro sicuro, che ti dà dignità, a te e alla tua famiglia. Sono collegati, tutt’e due: il vero riposo e il lavoro». Un legame ribadito due anni dopo a Genova, nell’incontro con il mondo del lavoro presso lo Stabilimento Ilva: «Per celebrare la festa — afferma il Pontefice il 27 maggio 2017 —, è necessario poter celebrare il lavoro. L’uno scandisce il tempo e il ritmo dell’altra. Vanno insieme».

Una sana
“cultura dell’ozio”

Accanto a una sana “cultura del lavoro”, dunque, Francesco incoraggia a coltivare anche una sana “cultura dell’ozio”. «La persona non è solo lavoro — ricorda il 28 giugno 2017, incontrando i delegati della Cisl (Confederazione italiana sindacati lavoratori) —. Dobbiamo pensare anche alla sana cultura dell’ozio, di saper riposare. Questo non è pigrizia, è un bisogno umano. Quando domando a un uomo, a una donna che ha due, tre bambini: “Ma, mi dica, Lei gioca con i suoi figli? Ha questo ‘ozio’?” – “Eh, sa, quando io vado al lavoro, loro ancora dormono, e quando torno, sono già a letto”. Questo è disumano. Perché la persona non è solo lavoro, perché non sempre lavoriamo e non sempre dobbiamo lavorare».

La famiglia
e la festa

Il riferimento alla famiglia non è casuale: è qui, infatti, spiega il Papa, che si può godere a pieno del senso non solo del riposo, ma anche della festa. Il nucleo familiare «è dotato di una competenza straordinaria per capire, indirizzare e sostenere l’autentico valore del tempo della festa» che «non è la pigrizia di starsene in poltrona, o l’ebbrezza di una sciocca evasione — afferma all’Udienza generale del 12 agosto 2015—. No, la festa è anzitutto uno sguardo amorevole e grato sul lavoro ben fatto. È il tempo per guardare i figli, o i nipoti, che stanno crescendo, e pensare: che bello! È il tempo per guardare la nostra casa, gli amici che ospitiamo, la comunità che ci circonda, e pensare: che cosa buona! Dio ha fatto così quando ha creato il mondo».

Non dimenticare
gli emarginati

Infine, lo sguardo di Francesco non si distacca mai da chi le vacanze non se le può permettere: sono numerose le occasioni in cui il Pontefice rivolge il suo pensiero alle tante persone sole, anziane o malate che non possono cambiare orizzonte alla loro vita quotidiana. «Non posso dimenticare coloro che non possono andare in vacanza — afferma il Papa all’Angelus del 15 agosto 2021, solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria —, coloro che rimangono al servizio della comunità e anche coloro che si trovano in condizioni disagiate, aggravate dal forte caldo e dalla chiusura per ferie di alcuni servizi. Penso specialmente ai malati, agli anziani, ai carcerati, ai disoccupati, ai profughi e a tutte le persone sole o in difficoltà. Maria estenda su ciascuno la sua materna protezione».

La solidarietà
e il servizio
ai fratelli più fragili

Un invito a praticare la solidarietà, insomma, a dare sempre più corpo a questa virtù morale, a questo atteggiamento sociale che si esprime concretamente nel servizio, assumendo forme molto diverse nel modo di farsi carico degli altri. Nell’Enciclica Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale, diffusa il 3 ottobre 2020, il Pontefice ribadisce che «il servizio è in gran parte avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo. In questo impegno ognuno è capace di mettere da parte le sue esigenze, aspettative, i suoi desideri di onnipotenza davanti allo sguardo concreto dei più fragili. Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone». Lontana da sporadici atti di generosità, la vera solidarietà, continua Bergoglio, implica «pensare e agire in termini di comunità; lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia».

La misericordia realizza
i sogni di Dio nel mondo

D’altronde, per il Pontefice le opere di misericordia verso gli ultimi, gli scartati, i dimenticati sono la realizzazione del progetto che Dio ha per ciascuno di noi. Un progetto che va ben oltre il “qui e ora” per arrivare «in corsa verso traguardi alti, con gioia e con audacia». «Non siamo fatti per sognare le vacanze o il fine settimana, ma per realizzare i sogni di Dio in questo mondo — dice Francesco il 22 novembre 2020, nella Messa per la Solennità di Cristo Re —. Egli ci ha reso capaci di sognare per abbracciare la bellezza della vita. E le opere di misericordia sono le opere più belle della vita. Le opere di misericordia vanno proprio al centro dei nostri sogni grandi. Se hai sogni di vera gloria, non della gloria del mondo che viene e va, ma della gloria di Dio, questa è la strada. Perché le opere di misericordia danno gloria a Dio più di ogni altra cosa».

Dunque, preghiera e compassione; cultura del lavoro e cultura dell’ozio; solidarietà e misericordia: sono questi, in sintesi, gli accenti, le accezioni e le sfumature che Papa Francesco pone sulla grande pagina delle vacanze estive. Una pagina che ora corro subito a raccontare a mio nipote Luca, perché adesso conosco la risposta giusta alla sua domanda. (Isabella Piro)

di Isabella Piro