Con lo sguardo del buon samaritano Accanto agli anziani in una RSA

Curare la solitudine

 Curare la  solitudine  ODS-002
03 settembre 2022

«Quello che aspetto di più è che venga lunedì, perché sabato e domenica è una noia tremenda senza terapisti e operatori!». È una percezione del tempo tutta diversa dall’abituale quella che scopro dialogando con la signora Costanza Carpanzano, volitiva e ancora curiosa della vita, classe 1943, originaria di Rosolini, in provincia di Siracusa, ma da tantissimo tempo a Roma. Grazie a lei, ospite della rsa “il Pigneto” da quasi un anno, posso visitare questa struttura su due piani con annessa una grande cappella, immersa in un parco nel cuore della vivace Velletri, 60.000 abitanti, oltre i Castelli Romani.

Il direttore sanitario, Orlando Vassallo, mi accoglie con molta cordialità facendo gli onori di casa per conto della Fondazione Padre Luigi Maria Monti, acquisita dall’ idi , di cui fa parte la residenza socio-sanitaria assistenziale che gestisce. Vassallo mi spiega che gli ospiti della rsa non vivono un disagio maggiore durante il periodo estivo, perché l’attività assistenziale non ha alcuna flessione a luglio ed agosto, il ritmo rimane costante, ma certo possono diminuire le visite dei parenti che si assentano per le vacanze. “Il Pigneto” accoglie 40 ospiti, distribuiti in due reparti, ha una cucina autonoma e non si serve di catering esterni; infermieri, oss (operatori socio-sanitari), educatori, fisioterapisti e assistenti sociali si coordinano per offrire un servizio il più qualificato possibile, mentre il direttore sanitario interagisce con i medici di famiglia dei diversi pazienti che sono chiamati a prescrivere e seguire le terapie dei loro assistiti.

Il dottor Vassallo e il coordinatore amministrativo Stefano Basili mi aiutano a capire la differenza fra una rsa , monitorata costantemente dalla Asl regionale, e le case di cura private. Possono sembrare questioni burocratiche, ma in realtà hanno delle ricadute concrete sulla vita delle persone fragili ed anziane che vengono ricoverate. Le strutture private — mi spiega Vassallo — non sono obbligate a sottoporsi agli stessi controlli di una struttura pubblica o accreditata. Ciò detto nelle une e nelle altre gli ospiti non sono arzilli vecchietti che cantano e giocano a briscola, ma persone da assistere medicalmente. Questo è un diritto che andrebbe sempre assicurato.

Eppure il numero di persone che hanno bisogno di essere accolte è esorbitante, sia per l’età media italiana che avanza, sia per la sempre minore disponibilità delle famiglie ad accogliere al loro interno i parenti anziani.

Di solitudine, quindi, è giusto parlare perché è una dimensione ineludibile in luoghi come quello in cui siamo. Ce lo conferma la dottoressa Giorgia Cordella, che è responsabile dell’assistenza psicologica di tutti i 40 ospiti del “Pigneto”. «Il lungo periodo del Covid — di cui ancora non si vede la fine — ha messo a dura prova gli ospiti, facendo venir meno le relazioni primarie con i loro parenti, le cui visite si sono dovute interrompere senza possibilità di deroga». «Anche ai volontari, giovani e meno giovani che venivano dalla parrocchia, o dalla Croce Rossa — aggiunge Basili — abbiamo dovuto chiudere le porte per evitare il contagio e speriamo di poter riprendere presto i contatti, perché certo la loro presenza ed animazione erano davvero benefiche per gli ospiti».

«Ci siamo organizzati con un tablet — riprende la dottoressa Cordella — per permettere agli anziani di videocomunicare con i loro cari ed evitare l’abbandono totale, ma un distacco inevitabilmente c’è stato. Abbiamo cercato di mantenere una buona qualità di vita, attraverso stimolazioni cognitive e piccole attività manuali quotidiane in gruppo, o come, per esempio, apparecchiare la tavola, scandendo il tempo e diversificando i momenti con quella che viene definita terapia occupazionale. Ricordiamo le feste — mi dice ancora la psicologa — come Natale, Carnevale o Pasqua, oppure festeggiamo i compleanni e facciamo monili o soprammobili con la pasta di sale…».

Ma assistenza psicologica significa anche farsi tramite coi famigliari che spesso chiedono aiuto nell’intrattenere rapporti divenuti più rari e difficili con persone che, a causa della vecchiaia o della malattia, sono molto diverse da un tempo.

Torno dalla signora Costanza che mi riporta alla sua quotidianità ordinaria e proprio per questo non semplice. «Credo di fare almeno tre cruciverba al giorno, poi parlo un po’ con la mia amica — la più anziana di tutte, ma ancora lucida —, la sera guardo un po’ di tv per addormentarmi, ma... di quaranta ospiti, siamo in due o tre che sono ancora capaci di intendere e volere. Molti degli ospiti sono in uno stato pressoché vegetativo — prosegue —. Che discorso posso fare con loro!? Stiamo provando a fare un giornalino fra noi: c’è chi ama mangiare e ha voluto dettare la sua ricetta preferita, chi ha raccontato una barzelletta; io cerco di rendermi utile, di intrattenere gli altri, ma mi è consentito interagire solo fino ad un certo punto. Ogni tanto vado a parlare con chi si occupa della cucina: chiedo perché ci danno sempre il pesce San Pietro, non si potrebbe almeno cambiare santo ogni tanto? Però oggi sono contenta: la sua visita mi fa pensare che il Papa ci potrà conoscere leggendo la nostra storia. Gli auguro di star presto meglio con la sua gamba e lo ringrazio per l’attenzione che dedica a noi anziani».

di Giovanni Maria Capetta