A Capo Verde tre religiose aiutano le donne vittime della prostituzione

Ritrovata libertà

 Ritrovata libertà  QUO-197
30 agosto 2022

Liberare le donne dalle catene di qualsiasi forma di schiavitù, con un’attenzione speciale alle vittime della prostituzione e della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale: è questa la missione portata avanti dalla congregazione delle Adoratrici Ancelle del Santissimo Sacramento e della Carità, fondata da Micaela Desmaisières y López Dicastillo y Olmeda — oggi venerata come santa María Micaela — nel 1856 a Madrid. La giovane Micaela, appartenente alla nobiltà spagnola, dopo aver conosciuto nell’ospedale madrileno «San Giovanni di Dio» una ragazza vittima della prostituzione, rinuncia alla posizione sociale per dedicare la propria vita agli altri e nel 1845 apre la sua prima casa di accoglienza per donne sfruttate. Seguendo il carisma della loro fondatrice, le suore adoratrici sono attualmente presenti in quattro continenti con 170 progetti distribuiti in venticinque Paesi. E anche dal piccolo arcipelago di Capo Verde — racconta al nostro giornale suor Simona Perini, parafrasando l’Esodo, 3 — «è giunto ai nostri orecchi» il grido di sofferenza di molte donne intrappolate, per sopravvivere, nella rete dello sfruttamento. «Come potevamo noi restare indifferenti a questo grido di aiuto? Ecco perché», spiega, «tredici anni fa alcune consorelle hanno fondato la comunità adoratrice nella città di Mindelo, nell’isola di São Vicente». Le tre religiose (l’italiana suor Simona e due spagnole) sono tutt’ora in prima linea per il recupero della dignità e il riscatto delle donne vittime o a rischio di prostituzione, che «vivono in condizioni di estrema indigenza nelle baracche periferiche costruite solitamente con il metallo di riciclo dei container, senza luce, acqua, gas e servizi igienici. Molte di esse sono ragazze madri, maltrattate o abbandonate dai compagni, costrette a prostituirsi per mantenere sé stesse e la propria famiglia».

La piccola congregazione è diventata negli anni presenza libera e liberante per le donne in situazione di vulnerabilità dell’isola. Nel 2016 hanno lanciato il programma sociale Kreditá na bo (“Credi in te” nella lingua creola locale), i cui obiettivi principali sono: riscatto, promozione personale, reinserimento socio-lavorativo delle donne, nonché denuncia delle situazioni d’ingiustizia. Il programma, che si avvale di un’équipe di professionisti capoverdiani, è costituito da più progetti: centro d’ascolto; attività di contatto a bassa soglia; intervento psico-sociale con adolescenti a rischio d’esclusione e prostituzione e sensibilizzazione. «Il centro di ascolto — spiega Perini — è uno spazio dedicato all’accoglienza e all’accompagnamento educativo, psicologico e giuridico di donne di qualsiasi nazionalità, dai 18 ai 40 anni (salvo eccezioni), che vivono a São Vicente o in altre isole». Le utenti hanno la possibilità di partecipare a corsi di formazione (alfabetizzazione, informatica, cucina, taglio e cucito). Mensilmente viene inoltre distribuito un pacco alimentare ad alcune famiglie delle beneficiarie del programma. «Si tratta tuttavia di un aiuto temporaneo per evitare di cadere nell’assistenzialismo», sottolinea la religiosa.

Lo scopo dell’attività di contatto e bassa soglia è invece quello di instaurare un rapporto diretto con le vittime della prostituzione, per favorire la ricerca di alternative nella costruzione di una vita libera e dignitosa. È fondamentale, evidenzia suor Simona, «conoscere in prima persona la realtà sociale, economica e familiare di tutte le donne che si avvicinano al nostro servizio e decidono di fare un pezzo di strada con noi. Sono previste visite domiciliari settimanali; le suore e gli operatori entrano quindi nelle case, condividono del tempo con la gente del quartiere, conversando o prendendo un chà (tè). Camminando per i vicoli, osservano e raccolgono informazioni, per tracciare un percorso ad hoc».

Questo progetto, che attualmente coinvolge 185 donne, «nasce anche dalla necessità di dare risposte concrete a un numero sempre più elevato di adolescenti emarginati, che rischiano di cadere nelle maglie della prostituzione; nello spazio a loro dedicato hanno la possibilità di acquisire abilità necessarie per uno sviluppo armonico: sostegno scolastico, formazione di gruppo sui valori, supporto psicologico, educativo e giuridico. Un altro obiettivo importante è sensibilizzare la società capoverdiana sulle questioni legate al traffico e allo sfruttamento sessuale, divulgando informazioni riguardanti l’assistenza alle vittime e favorendo una presa di coscienza sull’importanza delle proprie azioni e omissioni in questo campo, in modo da rendere tutti responsabili.

Capo Verde, pur essendo considerato dal 2007 a medio indice di sviluppo umano, deve ancora far fronte alla siccità e alla piaga della disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile. Il 9,2 per cento della popolazione vive in estrema povertà, secondo l’Ufficio Onu per gli affari umanitari. «L’assenza di prospettive rischia di sfociare in abuso di alcol, uso di sostanze psicoattive, delinquenza giovanile, accattonaggio. Ad affliggere l’arcipelago negli ultimi anni è anche la prostituzione alimentata dal turismo sessuale e il dramma della prostituzione infantile», avverte la nostra interlocutrice, rimarcando che lavorare in contesti così delicati comporta sfide quotidiane: «Oggi la nostra sfida più grande è garantire un luogo sicuro e accompagnare, per un tratto di strada, le adolescenti e le donne più vulnerabili. Molte ragazze sono violate da padrini e familiari, altre sono a rischio o già esercitano la prostituzione. A questo si aggiunge il numero crescente dei casi di gravidanza precoce, che costringe molte giovani madri ad accettare vessazioni pur di avere un tetto per sé e per il nascituro». La comunità ha intenzione di allargare il proprio campo d’azione alle altre isole. «Ci preme in particolare — dichiara — creare case d’accoglienza per donne vittime della tratta, della prostituzione, della violenza di genere e per adolescenti vulnerabili».

Grazie a un’importante sovvenzione spagnola, «riusciamo intanto a sostenere, con il microcredito, il sogno di molte delle donne che frequentano i nostri corsi di culinaria. Completata la formazione anche sull’imprenditoria, ciascuna riceve un kit. I prodotti vengono poi venduti come street food».

Emblematica è la storia di Júlia (nome di fantasia) che, afferma entusiasta suor Simona, «ha creduto in se stessa», diventando un germoglio di speranza per tante altre donne: «Questa giovane, tramite il passaparola, si rivolse anni fa al nostro centro per chiedere aiuto; provata da una vita trascorsa a prostituirsi, aspirava a trovare altre vie per sfamare la sua numerosa famiglia e uscire dalla condizione di degrado. Júlia viveva in una piccola casa di latta e nel cortile aveva solo un piccolo braciere per cucinare. Le nostre operatrici le proposero di frequentare il corso di cucina. Era così forte il suo desiderio di riscatto e il bisogno di affidarsi a qualcuno che la sostenesse che, ancor prima di aver terminato il corso, cominciò a vendere alimenti da lei preparati. Oggi, con un lavoro dignitoso, ha potuto ottenere condizioni abitative migliori e raggiungere un livello di vita più sereno». Questa storia è la dimostrazione che insieme si può invertire la rotta, intraprendendo un nuovo cammino verso la libertà. 

di Alicia Lopes Araújo
 

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