Nzapalainga tra gli allievi della Polizia a Peschiera del Garda

Il guerriero disarmato

 Il guerriero disarmato  QUO-197
30 agosto 2022

Ho visto entrare la loro macchina all’interno della Scuola allievi agenti della Polizia di Stato a Peschiera del Garda, che ho l’onore di dirigere, ed ero emozionato; mi rassicurava però il fatto che insieme con il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, ci sarebbe stato Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale della Libreria editrice vaticana, che conosco da anni. Vedendolo scendere dalla macchina, l’emozione è stata ancora più forte. Al mio saluto Bonjour et bienvenue!, non pensando che fossero le uniche due parole che conoscessi in francese, ha risposto con una lunga frase che non ho compreso. Ma il cardinale ha sorriso e ho capito tutto. Con quello stesso sorriso ha salutato chiunque incrociasse per la scuola, dagli allievi agenti, poliziotti, istruttori e docenti, alle signore del bar e della mensa. Ha poi mangiato con noi, pregandomi di fare i complimenti al cuoco per la meravigliosa carbonara. Alla fine del pranzo aveva già raccontato molto del suo Paese martoriato dalla guerra, della sua gente e delle volte in cui aveva fermato a mani nude i guerriglieri, che avevano fatto ingresso nella sua chiesa, nelle case dei fedeli o che avevano sbarrato la strada su cui sarebbe dovuta passare una processione.

Nzapalainga continuava a conversare come se i suoi racconti non fossero eccezionali, come se le sue azioni non fossero straordinarie. La semplicità delle parole mi ammutoliva; di solito parlo e parlo tanto, ma ascoltando la grandezza della sua testimonianza non riuscivo ad aggiungere nulla, se non altre domande. Avevo l’impressione che qualunque cosa volessi dire fosse troppo piccola, perché il mio, il nostro quotidiano, rispetto al suo, pareva davvero privo di rilievo. Prima di salire in aula, per incontrare i 171 allievi agenti del 218° corso, gli ho parlato della loro formazione e del fatto che, oltre alle tante lezioni ed esercitazioni pratiche, diverse ore vengono dedicate a un “percorso valoriale”: un insieme di incontri, conferenze e testimonianze capaci di trasmettere ai giovani uomini e donne in divisa quei valori che costituiscono le nostre preziose e insostituibili fondamenta. Subito dopo, passando attraverso la porta con su scritto «Non abbiate paura», gli ho mostrato la Cappella San Giovanni Paolo ii , nonché il crocifisso in ferro battuto e l’altare in legno a forma di prua di una barca, realizzati da due poliziotti. Inginocchiatosi per pregare, mi ha domandato il perché della cappella. A scuola — è stata la mia risposta — c’erano la palestra per preparare il fisico, facendo difesa personale, le aule per allenare la mente, seguendo le lezioni, il poligono per le tecniche di tiro e il piazzale per seguire le esercitazioni di tecniche operative, ma mancava una palestra per lo spirito; per questo motivo, qualche anno fa, recuperando un piccolo ma suggestivo spazio non utilizzato, è nato il luogo di preghiera.

Salendo verso l’aula magna, ho raccontato al porporato la commovente storia dei due fratelli alla quale è stata intitolata: Massimiliano e Davide Turazza sono caduti entrambi in servizio a distanza di undici anni l’uno dall’altro e la mamma, Teresa, continua ad andare nelle scuole di Polizia, e non solo, a parlare di loro. Il cardinale, guardando il cielo, ha chiuso gli occhi per poi fare ingresso in aula accolto da un caloroso applauso. Evidentemente le poche parole da me pronunciate per anticipare chi fosse, avevano già smosso forti emozioni. Da giorni meditavo su come presentarlo e su come spiegare il perché della sua presenza tra di noi. Ho detto semplicemente quello che da anni dico agli allievi, ossia che il nostro non è un lavoro, ma un servizio. Ciò che ci spinge a essere poliziotti è una vocazione. Anche noi dobbiamo, molto spesso più con le parole che con le armi, cercare di mettere fine alle piccole guerre quotidiane che scoppiano nelle case, nelle strade e nelle piazze, dove siamo tenuti a intervenire. Anche noi dobbiamo essere capaci di dialogare e ascoltare. A questo punto pensavo di aver detto tutto ma Nzapalainga ha preso la parola, spiegando il senso della sua presenza, come io non ero riuscito a fare: «Tra me e voi c’è un unico comune denominatore: si chiama uomo». Il silenzio sceso nell’aula ha fatto risuonare la sua frase. Subito dopo, i suoi racconti sul coraggio, sulla passione, sull’importanza del dialogo e delle parole, sulla paura e sulla vigliaccheria — proprio come diceva il nostro Antonio Montinaro, caposcorta del giudice Falcone, pochi giorni prima della strage di Capaci — si sono susseguiti, uno dietro l’altro, lasciando tutti senza fiato.

Ha parlato di ciò che ha fatto e che vuole continuare a fare, nonché di un livello orizzontale delle ragioni delle sue azioni, quello umano, e di un livello verticale, quello divino, che lo aiuta a non arrendersi mai. Rivolgendosi ai ragazzi, ha detto che al vertice del suo livello verticale c’è Dio, così come al vertice del nostro livello ci possono essere lo Stato e la Giustizia. Le risposte alle diverse domande ci ha resi, parola dopo parola, più ricchi. Alla domanda di uno degli allievi su cosa potrebbe pensare Dio di un appartenente alle Forze di polizia costretto a uccidere, ha parlato di un Dio che sa giudicare. Alla fine l’ho ringraziato per aver spiegato, come non ero mai riuscito a fare io, il concetto in base al quale un poliziotto, se costretto a farlo, usi sempre la forza e mai la violenza. Il cardinale, prima di congedarsi, ha iniziato a scrivere dediche sulle decine e decine dei suoi libri in mano agli allievi. Lo guardavo, li guardavo, e mi accorgevo che sulla prima pagina, sotto la frase “Che Dio vi benedica”, metteva una firma, subito dopo aver segnato per sempre le anime di giovani poliziotti che, sono sicuro, saranno capaci ancor più di prima di essere donne e uomini a servizio della Giustizia.

di Gianpaolo Trevisi
Primo dirigente della Polizia di Stato e direttore della Scuola allievi agenti a Peschiera del Garda (Verona)