Testimonianze
L’impegno incessante della Caritas Donetsk in aiuto degli sfollati

Speranza e dignità
in un pezzo di pane

 Speranza e dignità in un pezzo di pane   QUO-189
20 agosto 2022

«Si spezza il cuore a vedere come le persone, dopo circa trenta giorni passati nei rifugi, per la prima volta mangiano il pane piangendo; per la prima volta si fanno una doccia calda. È difficile credere che tutto questo sta succedendo nel xxi secolo». È la testimonianza di Mila Leonova, responsabile per la comunicazione della Caritas Donetsk, la cui sede, dopo lo scoppio della guerra nel Donbass, otto anni fa, si è trasferita a Dnipro, capoluogo della regione di Dnipropetrovsk. Dopo il 24 febbraio i volontari hanno cominciato a lavorare senza sosta per rispondere ai bisogni di migliaia di persone che scappano dalle regioni colpite dall’esercito russo, soprattutto quelle di Kharkiv, Luhansk e Donetsk.

«Dnipro è diventata una sorta di hub per l’accoglienza degli sfollati», racconta Mila. Dall’inizio della guerra su vasta scala, nella regione sono arrivati circa 300.000 rifugiati, e nella città stessa più di 100.000. Questi sono numeri ufficiali, ma credo che quelli reali siano due volte più alti». Lasciare la propria casa, afferma la giovane donna, non è facile per nessuno, ma all’origine di una simile decisione ci sono diversi fattori. «I primi ad arrivare qui — spiega —, sono state le persone con maggiori possibilità economiche. La seconda ondata è stata quella coloro che in un primo momento avevano esitato, trascorrendo negli scantinati, sotto i bombardamenti, circa un mese prima di arrivare a Dnipro. Ed ora arrivano da noi in condizioni tremende. Qui abbiamo uno shelter dove ospitiamo i rifugiati da uno a cinque giorni, durante i quali offriamo loro un primo aiuto, la possibilità di riposarsi e di decidere cosa vogliono fare. Li aiutiamo a ritrovare un po’ anche la forza spirituale per andare avanti». C’è stata e c’è ancora anche un’altra ondata: Mila dice che si tratta perlopiù di persone più anziane, ultrasettantenni. «Sono persone con un reddito abbastanza basso — spiega —, tutta la loro vita girava intorno alla loro casa o al quartiere. Non avevano nessuna voglia di partire, sono stati portati via dai volontari. Sono stati costretti a venire qui e si sentono fragili, disorientati, trovano difficoltà a socializzare. E noi cerchiamo di aiutare anche loro».

Anche Dnipro non è una città del tutto sicura: quasi ogni giorno suonano le sirene antiaeree e periodicamente i missili russi colpiscono sia gli edifici industriali che quelli civili. «Abbiamo sentito da vicino le esplosioni: quel suono è inconfondibile, non si scorda mai più racconta la responsabile per comunicazione della Caritas Donetsk —. Però quando ho visto la quantità di gente che arrivava a Dnipro e che aveva bisogno del nostro supporto, ho deciso di restare. Della nostra squadra fanno parte tante persone scappate dal Donbass già nel 2014 e quindi molto sensibili ai bisogni degli sfollati». In quasi sei mesi di guerra, più di 60.000 persone hanno ricevuto aiuto dalla Caritas Donetsk. Oltre a rispondere ai bisogni di base, i membri dell’organizzazione cercano di creare l’ambiente nel quale ognuno si senta rispettato nella propria dignità. «Per esempio, all’inizio, ogni giorno da noi venivano tante persone, la gente arrivava alle quattro di mattina e formava una fila che era lunghissima. E noi non eravamo in grado di dare aiuto a tutti quanti — ricorda Mila Leonova —. Per questo, abbiamo subito invitato degli specialisti di situazioni di crisi affinché ci aiutassero a gestire le lunghe code di persone e diminuire la tensione, in modo che ognuno si sentisse non come uno sfollato, ma come una persona che è venuta a chiedere aiuto e lo riceve. Per noi è molto importante proprio questo: dare alla gente non soltanto qualcosa di materiale, ma anche aiutarla a ritrovare la fede e la speranza».

Cosa significhi essere privati della casa e della dignità lo sa bene Oksana Akchebash, che viene dalla città di Rubizhne, nella regione di Luhansk, dove lavorava presso la Caritas locale e aiutava le persone che, dal 2014 erano rimasta a vivere nelle zone-cuscinetto. Dopo l’invasione, anche lei è scappata dalla propria città, occupata nel maggio scorso dai militari russi. Adesso vive a Dnipro e presso la Caritas Donetsk è coordinatrice del progetto “Dignità umana”. «Non pensavo che avrei dovuto lasciare la mia casa — racconta —. Prima del 24 febbraio, le situazioni di pericolo non erano nuove per me: per andare nelle zone-cuscinetto dovevamo portare il giubbotto antiproiettile e il casco, alcune volte avevano sparato vicino. La notte tra il 22 e il 23 febbraio abbiamo sentito passare i carri armati sotto il nostro palazzo, ma non volevo credere che le dimensioni della guerra sarebbero state così vaste. E quindi all’inizio avevamo deciso di rimanere». «Ma a metà marzo non c’erano più gas, luce, acqua — continua —. Dormivamo vestiti. A spingerci a partire è stato mio figlio più piccolo: a un certo punto, dopo aver sentito gli spari, è diventato pallido come la cera e non smetteva più di piangere. Abbiamo radunato poche cose e abbiamo lasciato la casa. Le strade che portavano in città erano minate, per questo io, con mio figlio e mio papà, abbiamo percorso a piedi una piccola stradina, mentre mio marito, che era in macchina, ha dovuto attraversare un cimitero. Non so neanche dire come è successo, ma grazie a Dio ce l’abbiamo fatta».

Oggi, Oksana ha tanta nostalgia di casa. Se alla Caritas arrivano persone che provengono dalle sue parti, le sente come se fossero dei famigliari. «Speriamo nella pace — conclude — così torneremo a ricostruire le nostre città».

di Svitlana Dukhovych