I samaritani nei testi di don Primo Mazzolari

Quando i “sottovalutati” diventano protagonisti

 Quando i “sottovalutati” diventano protagonisti  QUO-182
10 agosto 2022

«Per andare dalla Giudea alla Galilea, bisogna passare per la Samaria: paese di transito, quasi una terra di nessuno, secondo il preconcetto dei Giudei. Gente in esilio, i Samaritani, nel suolo stesso del loro paese. Avevano perduto l’unità per aver guardato il mistero dalle cime del Garizim più che dal pinnacolo del Tempio. Di comune non avevano che il giogo straniero e le loro meschine controversie confessionali; l’odio reciproco e il disprezzo di tutti. Ma Gesù ha una predilezione per i Samaritani. Nel suo cuore sono già ritrovati. Basta l’amore di uno solo per vincere ogni orfanezza. Il lebbroso, che torna a dir grazie al Signore appena s’accorge di essere guarito: è un Samaritano. Samaritano è il viandante che soccorre l’uomo caduto in mano ai predoni. Samaritana è la donna che Gesù attende presso il pozzo di Giacobbe. Samaritano è il Cristo! “Non diciamo noi bene che sei un Samaritano?”».

Il brano, riportato nel libro La Samaritana (Bologna, Edizioni Dehoniane, 2022, pagine 136, euro 10), scritto nel 1943 da don Primo Mazzolari (1890—1959), contorna il pensiero a lungo dominante nella mente del “parroco dei lontani”, volto a proclamare un’idea di cristianesimo e Chiesa che doveva rispecchiarsi «nella concretezza del quotidiano», nel «cammino dell’umanità nella storia», mai «distaccata completamente» dalla vita, attenta a trasmettere «la portata vivificante della fede cristiana», prendendo le distanze «da impostazioni pastorali astratte e intellettualistiche», calate, invece, nel profondo di molteplici realtà umane, soprattutto quando sperimentanti un allontanamento dalla Chiesa, dal Vangelo. Il testo è frutto di un’indagine molto approfondita, compiuta da Mariangela Maraviglia, studiosa dell’opera del prete di Bozzolo e Cicognara. All’argomento, Mazzolari aveva dedicato gran parte delle proprie meditazioni, omelie, lettere, appunti, divulgati in quaderni, libri, riviste, e accuratamente conservati nell’Archivio della fondazione a lui intitolata. Uscì la prima volta il 15 maggio 1944, grazie al lavoro redazionale di Gabriella Neri, scrittrice fiorentina, che accettò il suo invito a occuparsi del dattiloscritto, mentre Mazzolari era alle prese con altri testi che, però, non riscontrarono il favore di vescovi e ostacoli furono posti da organi ecclesiastici. Già nel 1935 don Primo subì un giudizio di «erroneità» dal Sant’Uffizio per La più bella avventura, opera dedicata alla parabola lucana del «figlio prodigo». Rimase molto amareggiato, ma lo confortò l’apprezzamento di Giovanni xxiii durante un’udienza nel 1959, che lo definì: «Tromba dello Spirito Santo della Bassa Padana». Il personaggio evangelico della Samaritana, non solo rappresentava, per Mazzolari, un simbolo dell’universo femminile con un ruolo nella Chiesa di responsabilità per l’annuncio cristiano, ma anche l’immagine della «gente in esilio», dei «personaggi guasti», «tormentati», «rifiutati», «lontani», assetati di giustizia e amore, cui, a suo parere, la Chiesa di quegli anni non sapeva bene come far giungere le verità del Vangelo.

Furono i papi a comprendere l’efficacia evangelica dell’opera di don Primo. Anche Paolo vi rivolse nel 1970 parole di grande stima: «Era sempre avanti un passo a noi e noi facevamo fatica a seguire». Benedetto xvi nel 2009 e Papa Francesco nel 2017 ebbero modo di porre in risalto l’impegno pastorale del sacerdote nello sforzo di testimoniare un modello della «Chiesa in uscita», teso a portare la Parola soprattutto agli ultimi ed emarginati, identificati nell’accezione di “samaritano” o “samaritana”.

In questa pubblicazione si può rivisitare l’episodio giovanneo da una prospettiva più ampia che, in ogni capitolo, ne ripercorre i preziosi dettagli «associando suggestioni storiche – «la dura lezione della presente guerra» – a considerazioni antropologiche ed etiche», così da rompere i legami con ogni schema «farisaico»; risanare la relazione con le creature umane più «scomode»; riportare la fede a «orizzonti inediti di salvezza e di vita», non più limitati a un luogo (o a un modo) in cui ci si rapporta con il trascendente (il “Monte” o il “Tempio”, per esempio), ma riscoperti «in Spirito e Verità», espressione evangelica cui l’autore si richiama con ricorrenti intuizioni, mediante versetti biblici, o tratti dal Libro delle Ore, o ripresi dagli scritti dei Padri della Chiesa, nel «riconoscimento che ogni religione è un avvicinamento a «una Realtà che rimane ineffabile», un invito «ad accostarci al Mistero», di cui nessuno si può appropriare». Don Primo, il cui anelito evangelizzatore si rivela più che mai attuale, riemerge qui tra «le voci vive del cristianesimo contemporaneo», diretto non solo ai suoi fedeli e lettori terrorizzati dal fascismo e dalla guerra, ma anche a noi oggi, turbati dalla pandemia, sconvolti dalla guerra in Ucraina, senza dimenticare altri conflitti bellici, le persecuzioni razziali e religiose, le gravi crisi ambientali e migratorie, la loro ripercussione sul piano economico, sociale, politico a livello globale. La sorprendente «novità» della domanda di Gesù, il «dammi da bere» rivolto con «una disposizione di ascolto e misericordia», spiazza la Samaritana, insieme agli Apostoli giunti dopo, ma anche ognuno di noi, cristiani o no. Nell’attingere da «un pozzo che disseti per l’eternità», l’autore svela il senso dell’«avventura cristiana». E giustamente si può affermare, come spiega Maraviglia, che «il messaggio trasmesso da La Samaritana, la scommessa del cristianesimo come incontro che risveglia e suscita nuova vita, infrangendo consuetudini cristallizzate con l’unica forza dell’amore, ha attraversato il Novecento e giunge fino a noi».

di Nicola Di Mauro