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La sorpresa del “sango coin”

 La sorpresa del “sango coin”  QUO-178
05 agosto 2022

Non è affatto una novità, almeno per gli esperti del cosiddetto trading online, che l’Africa abbia manifestato in questi anni un debole per le criptovalute. Si tratta di un tema che già in passato abbiamo affrontato in questa rubrica, ma sul quale vale la pena ritornare perché nel frattempo, proprio nel cuore del continente africano, è accaduto un qualcosa di inaspettato, che peraltro ha acceso un vivace dibattito, su cui vale la pena riflettere. Il governo della Repubblica Centrafricana (Car), la cui popolazione è considerata tra le più povere al mondo, con reddito annuo pro capite di 500 dollari, ha dato il via libera al lancio della sua criptovaluta, il Sango Coin. L’annuncio di questi giorni era stato preceduto, lo scorso aprile, dalla decisione delle autorità governative della Car di riconoscere il Bitcoin come sua moneta ufficiale, divenendo così la seconda nazione al mondo a dare l’autorizzazione per il corso legale ad una criptovaluta, dopo El Salvador. Tuttavia, è stata la prima nazione africana a farlo ed oggi dispone addirittura di una propria divisa digitale, il Sango Coin appunto.

Il ministro delle finanze della Car, Hervé Ndoba, ha spiegato che la decisione adottata ad aprile è stata propedeutica, nel senso che la nuova criptomoneta centrafricana sarà supportata proprio dai Bitcoin. Molti esperti di questo settore sono rimasti sorpresi per la decisione dell’esecutivo di Bangui, mentre il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha messo in guardia le autorità della Car sul fatto che una valuta digitale nazionale non è la soluzione adatta per affrontare le sfide socioeconomiche nazionali. È importante tenere presente che stiamo parlando di denaro nascosto (cripto), nel senso che è visibile/utilizzabile solo conoscendo un determinato codice informatico, vale a dire disponendo delle chiavi di accesso. Si tratta in sostanza di una valuta che non esiste in forma fisica, ma solo virtuale; essa infatti si genera e si scambia esclusivamente per via telematica. Non è dunque possibile trovare in circolazione le criptovalute in formato cartaceo o metallico, come nel caso dei dollari o degli euro.

Diversamente dalle tradizionali valute a corso legale in circolazione sui mercati, le criptovalute non hanno alle spalle una Banca centrale che distribuisce nuova moneta, ma si basano fondamentalmente su due principi: un network di nodi, cioè di pc, che la gestiscono in modalità distribuita, peer-to-peer (ovvero tra due dispositivi direttamente, senza necessità di intermediari); e l’uso di una forte crittografia per validare e rendere sicure le transazioni. L’economista Paolo Raimondi spiega che il progetto dei decisori politici centrafricani è quello di utilizzare il Sango Coin «per tutte le operazioni di finanziamento, di sfruttamento e commerciali legate alle materie prime e all’accaparramento del territorio, bypassando, in altre parole, il dollaro, l’euro o il franco Cfa, che è in via di superamento. Inoltre, in prospettiva, sarebbe prevista la realizzazione di una “isola cripto” sul fiume Oubangui, una sorta di hub dal quale coordinare tutte le operazione legate al Sango Coin». Secondo Chainalysis, una società privata di New York che studia le applicazioni delle nuove tecnologie denominate blockchain (letteralmente «catena di blocchi»), nel 2020 il mercato delle criptovalute in Africa è cresciuto più del 1.200 per cento. Le blockchain sfruttano le caratteristiche di una determinata rete informatica di nodi e consentono di gestire e aggiornare, in modo univoco e sicuro, un registro contenente dati e informazioni (per esempio transazioni) in maniera aperta, condivisa e distribuita, senza la necessità di un’entità centrale di controllo e verifica.

Secondo le informazioni contenute nel sito web del progetto, la valuta digitale nazionale della Repubblica Centrafricana è già disponibile per l’acquisto. La vendita è iniziata il 25 luglio scorso, con una fornitura di token pari a 200 milioni di Sango Coin quotati a 0,10 dollari per token (il «token» è solo un altro termine tecnico per criptovaluta o criptoasset). Tuttavia, la stessa fonte online afferma che il prezzo di quotazione finale di un singolo token sarebbe di 0,45 dollari. Da rilevare che in termini generali le criptovalute sono considerate poco affidabili per le loro continue oscillazioni di prezzo. Recentemente, con l’aumento dell’inflazione e a causa dei meccanismi recessivi scatenati a livello planetario dalla crisi ucraina, le quotazioni delle criptovalute hanno subito pesanti flessioni. Come rileva la Consob (Commissione nazionale per le società e la Borsa in Italia), «in un contesto di assenza di obblighi informativi e di regole di trasparenza, le piattaforme di scambio sono esposte a elevati rischi operativi e di sicurezza: esse, infatti, a differenza degli intermediari autorizzati, non sono tenute ad alcuna garanzia di qualità del servizio, né devono rispettare requisiti patrimoniali o procedure di controllo interno e gestione dei rischi, con conseguente elevata probabilità di frodi ed esposizione al cybercrime».

Occorre osservare che in Africa le criptovalute hanno suscitato in questi anni grande interesse. Basti pensare al fatto che nella top list internazionale dei 20 Paesi, primi per il loro utilizzo, 5 sono africani: la Nigeria, il Kenya, il Togo, il Sud Africa e la Tanzania. Non v’è dubbio che il successo delle criptovalute in Africa non deve essere considerato, come nel caso degli altri continenti, in riferimento al valore della quota di mercato, ma al numero di cittadini coinvolti. Ma mai nessuno in Africa, almeno finora, si era spinto così avanti come il governo della Car, al punto da adottare una criptovaluta come divisa di riferimento. La strategia che intende perseguire il governo centrafricano è finalizzata alla modernizzare del Paese, utilizzando il Sango Coin e la sua relativa blockchain per rendere più facile il trasferimento di denaro per i propri cittadini. Purtroppo, i problemi da affrontare non mancano. Anzitutto c’è una questione infrastrutturale legata alla precarietà della situazione socio economica che attanaglia il Paese, dove solo una persona su dieci ha accesso a Internet e la rete elettrica è quasi assente su gran parte del territorio.

Inoltre le grandi istituzioni internazionali come la Banca Mondiale (Bm) e il Fmi sono preoccupati per gli effetti finanziari potenzialmente destabilizzanti. «In verità — spiega Raimondi — la tempistica non è stata la migliore! Infatti, la cripto valuta centrafricana è stata lanciata nel periodo meno adatto. Dalla fine del 2021, la capitalizzazione di mercato delle risorse digitali è diminuita di circa 2.000 miliardi di dollari, con il Bitcoin in calo di oltre il 55 per cento dall’inizio dell’anno». Recentemente, la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) e il G7 hanno definito le criptovalute una «crescente minaccia alla politica monetaria, alla stabilità finanziaria e alla concorrenza». Infatti, essendo fuori dal controllo diretto delle autorità governative e dalle banche centrali, le criptovalute sono, alla prova dei fatti, monete digitali private che non hanno alcuna garanzia né controllo.

È evidente che la Repubblica Centrafricana è un Paese ricchissimo di commodity (diamanti, petrolio, uranio, legname e quant’altro), con un territorio che risulta essere il doppio dell’Italia e una popolazione di poco più di cinque milioni di abitanti. Ecco che allora se vi fosse stata equità, gli abitanti di questo Paese oggi potrebbero essere più ricchi di quelli del Canton Ticino. E invece il Centrafrica è stato devastato da guerre civili e stragi a non finire, perpetrate da bande armate finanziate da lontano. Motivo per cui Papa Francesco, il 30 novembre del 2015, aprì la Porta Santa nella cattedrale della capitale centrafricana Bangui, inaugurando così il Giubileo della Misericordia: a fianco dei poveri. Sì, i poveri che rappresentano ancora oggi la maggioranza della popolazione autoctona. Non per colpa loro, laCar è stato oggetto, anche in tempi recenti, di azioni predatorie di matrice coloniale e neocoloniale. Dunque, il tentativo, da parte del governo di Bangui, di affrancarsi da questo passato è più che legittimo. Ciò non toglie che la prudenza è d’obbligo perché forse mai come oggi occorre evitare di finire nelle grinfie di moderni predatori. In gioco vi sono le immense ricchezze di un Paese che rischia, forse più di altri, d’essere al centro delle contese geopopolitiche e geoconomiche tra i grandi player internazionali.

La posta in gioco è alta perché, andando avanti di questo passo, senza regolamenti, le criptovalute metteranno sempre più a rischio la sovranità monetaria degli Stati. Piuttosto, in una logica panafricana ispirata al multilateralismo, sarebbe auspicabile il rilancio di una vecchia idea, peraltro oggi caldeggiata da non pochi governi africani: quella di creare una moneta unica continentale. È infatti bene rammentare che la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Ecowas) vorrebbe lanciare nel 2027 una nuova moneta unica, l’Eco, con l’obiettivo di stimolare il commercio transfrontaliero e lo sviluppo economico. Per dirla con le parole di Plinio il Vecchio: «Ex Africa semper aliquid novi».

di Giulio Albanese