Camminare insieme

 Camminare insieme  QUO-177
04 agosto 2022

«La Civiltà Cattolica» pubblica oggi sul proprio sito, a firma del direttore, il resoconto della conversazione di Papa Francesco con un gruppo di gesuiti della provincia canadese incontrati nella mattina di venerdì 29 luglio, nell’ultimo giorno del pellegrinaggio penitenziale in Canada. L’incontro è avvenuto presso l’Arcivescovado a Québec. Riportiamo la trascrizione integrale della conversazione.

È il 29 luglio, l’ultimo giorno del viaggio apostolico di Papa Francesco in Canada. Sta per concludersi la tappa a Québec e iniziare quella a Iqaluit, nel Nord, dove è in programma l’incontro con gli Inuit. La conversazione con i gesuiti è prevista alle 9 del mattino, ma il Papa fa ingresso nella sala del palazzo dell’Arcivescovado con un quarto d’ora di anticipo. Sono presenti 15 gesuiti della Provincia canadese, che comprende il territorio del Paese e Haiti. È in corso la Congregazione provinciale, prevista da tempo, e per questo è assente il Padre provinciale. Dopo i primi saluti spontanei appena il Papa fa ingresso, p. Marc Rizzetto, della comunità di Québec, rivolge a Francesco un cordiale benvenuto da parte dei presenti e degli oltre 200 gesuiti della Provincia. In particolare, nomina i 45 membri della Congregazione provinciale riuniti a Midland, e i confratelli anziani delle infermerie provinciali di Richelieu e Pickering.

«In questo Paese, che è anche una delle più grandi province della Compagnia di Gesù, lavoriamo con gioia e speranza, a immagine di San Jean de Brébeuf e dei suoi compagni1, i Santi Martiri canadesi», ha esordito. «Presenti tra i fragili, audaci nonostante la nostra fragilità, consapevoli della grandezza di ogni persona e sempre desiderosi di condividere i tesori della nostra vita interiore, siamo chiamati a essere, anche oggi, uomini per e con gli altri, pellegrini». E ha concluso: «siamo con lei nella barca, remando con lei, apprezzando la direzione che state dando alla Chiesa e pregando per lei. Grazie per aver contribuito all’opera di riconciliazione con le popolazioni indigene».

Alla fine, offre al Papa un dono: il quadro di una farfalla, che il Papa ammira, facendo anche una battuta: «Vedendo questa foto così bella mi viene un dubbio. È così bella che potrebbe essere una trappola gesuita. Non so se è una farfalla o un pipistrello!». E così provoca l’ilarità dei presenti. Dopo aver ringraziato prosegue ricordando i suoi precedenti viaggi nel Paese.

Papa Francesco: È la terza volta che sono in Canada. La prima venni negli anni ’70. Andavo a fare la terza probazione in Spagna, però, dato che ero stato già nominato Maestro dei novizi, ho visitato alcuni noviziati. Sono andato in Colombia e in Messico. In Canada non c’erano novizi, in realtà, ma il Padre generale mi ha chiesto di venire qui per visitare il p. Michel Ledrus2. Per questo sono stato a incontrarlo a Saint Jérôme. Il p. Ledrus è stato un maestro spirituale davvero grande. Questo per me è stato il primo viaggio in Canada. La seconda volta è stata nel giugno del 2008, per il Congresso eucaristico internazionale che si è svolto qui, a Québec. Ho tenuto una riflessione sul tema «L’Eucaristia edifica la Chiesa, sacramento di salvezza». Questo, dunque, è il mio terzo viaggio nel vostro Paese. Molte grazie della vostra accoglienza!

Mi ha colpito una parola che hai detto, Marc: «fragilità». Tante volte si sente dire che i gesuiti sono l’armata della Chiesa, l’esercito potente... sono tutte fantasie! Mai il nostro pensiero deve giungere a pensare la propria autosufficienza. Io credo che la vera forza di un gesuita sia sin dall’inizio la coscienza della propria fragilità. È il Signore che ci dà la forza.

Bene, ora come nel football, palla al centro e giochiamo con le vostre domande!

Santo Padre, siamo in un processo di riconciliazione che non si è concluso. Siamo in cammino. Quali sono le consolazioni di questo suo pellegrinaggio?

Cinque anni fa ho ricevuto il Primo ministro del vostro Paese, che è anche quello attuale. In quell’incontro lui mi chiese di fare qualcosa a riguardo degli indigeni e delle scuole residenziali. Anche i vescovi me ne avevano parlato. Il giudizio di tutti, però, era che qualcosa andava fatto, ma pure che andava ben preparato. E così i vescovi hanno ben preparato, per anni, un’azione che è giunta fino a rendere possibile questa mia visita. Siamo passati da una fase nella quale sembrava che la cosa fosse legata sostanzialmente ai vescovi delle zone interessate, alla piena adesione dell’episcopato.

Vedete, la cosa più importante è proprio il fatto che l’episcopato si sia trovato d’accordo, abbia raccolto la sfida, e sia andato avanti. Questo del Canada è stato un esempio di episcopato unito. E quando un episcopato è unito, allora può affrontare bene le sfide che si presentano. Sono testimone di quel che ho visto. Questo, dunque, voglio sottolineare: se tutto sta andando bene non è a causa della mia visita. Io sono solamente la ciliegina sulla torta. Sono i vescovi ad aver fatto tutto con la loro unità. Poi è bene ricordare con umiltà che la parte indigena è davvero capace di affrontare bene la questione, ed è in grado di impegnarsi. Ecco, insomma, sono i miracoli che si possono fare quando la Chiesa è unita. E ho visto familiarità tra vescovi e indigeni. Certo, è inutile nasconderselo, ci sono alcuni che lavorano contro la guarigione e la riconciliazione, nella società come nella Chiesa. Anche stasera ho visto un piccolo gruppo tradizionalista che protestava, e diceva che la Chiesa è un’altra cosa… Ma questo fa parte delle cose.

Io so solamente che uno dei nemici peggiori contro l’unità della Chiesa e degli episcopati è l’ideologia. Dunque, si vada avanti con questo processo in cammino. Mi è piaciuto il motto del viaggio, che lo dice con chiarezza: Marcher ensemble. Camminare, ma insieme. Voi conoscete quel detto: «se vuoi andare veloce vai solo, se invece vuoi andare sicuro vai accompagnato».

Lei parla di pellegrinaggio, di riconciliazione e di ascolto. Tutto questo plasma la sua visione sinodale della Chiesa? È di questo che sta parlando?

Guarda, a me dà fastidio che si usi l’aggettivo «sinodale» come se fosse la ricetta dell’ultima ora per la Chiesa. Quando si dice «Chiesa sinodale» l’espressione è ridondante: la Chiesa o è sinodale o non è Chiesa. Per questo siamo arrivati a un Sinodo sulla sinodalità, per ribadire questo. Certamente possiamo dire che la Chiesa in Occidente aveva perso la sua tradizione sinodale. La Chiesa d’Oriente l’ha conservata. Si può discutere sulle modalità del vivere la sinodalità, certamente. Paolo vi ha istituito la Segreteria del Sinodo dei vescovi perché intendeva andare avanti su questo tema. Sinodo dopo sinodo si è andati avanti, a tentoni, migliorando, comprendendo meglio, maturando.

Nel 2001 sono stato relatore per il Sinodo dei vescovi. Sostituivo il cardinale Egan che, a causa della tragedia delle Torri gemelle, è dovuto tornare nella sua diocesi, New York, appunto. Ricordo che si raccoglievano le opinioni e si inviavano alla Segreteria generale. Dunque, io raccoglievo il materiale per poi sottoporlo alle votazioni. Il segretario del Sinodo veniva a trovarmi, leggeva il materiale e mi diceva di togliere questa o quella cosa. C’erano cose che non riteneva opportune e le censurava. C’era, insomma, una preselezione dei materiali. Non si era capito che cos’è un Sinodo. Alla fine dell’ultimo Sinodo, nel sondaggio sui temi da affrontare nel successivo, i primi due sono stati il sacerdozio e la sinodalità. Ho capito che bisognava riflettere sulla teologia della sinodalità per fare un passo avanti decisivo.

Mi sembra fondamentale ribadire, come faccio spesso, che il sinodo non è un incontro politico né un comitato per decisioni parlamentari. È l’espressione della Chiesa dove il protagonista è lo Spirito Santo. Se non c’è lo Spirito Santo non c’è neanche il sinodo. Ci potrà essere democrazia, parlamento, dibattito, ma non c’è «sinodo». Se volete leggere il libro migliore di teologia sul sinodo, allora rileggete gli Atti degli Apostoli. Lì si vede chiaramente che il protagonista è lo Spirito Santo. Questo si sperimenta nel sinodo: l’azione dello Spirito. Accade la dinamica del discernimento. Si sperimenta, ad esempio, che a volte si va veloci con una idea, si litiga e poi avviene qualcosa che riaccomuna le cose, che le armonizza in modo creativo. Per questo mi piace chiarire che il sinodo non è una votazione, un confronto dialettico di una maggioranza e una minoranza. Il rischio è anche quello di perdere il quadro d’insieme, il senso delle cose.

Questo è avvenuto con la riduzione dei temi dei sinodi a una questione particolare. Il Sinodo sulla famiglia, ad esempio. Si diceva che era stato organizzato per dare la comunione ai divorziati risposati. Ma nell’Esortazione postsinodale su questo tema c’è solamente una nota perché tutto il resto sono le riflessioni sul tema della famiglia, come ad esempio quello sul catecumenato familiare. C’è tanta ricchezza, dunque: non ci si può concentrare nell’imbuto di una sola questione. Lo ribadisco: se la Chiesa è tale, allora è sinodale. Lo è sin dall’inizio.

I commenti dei giornalisti sul suo viaggio e sui suoi interventi mi sembra siano sostanzialmente molto positivi. Una domanda che i giornalisti hanno fatto però è: perché il Papa si scusa a nome dei cristiani ma non della Chiesa come istituzione? Che cosa potrebbe rispondere?

Sì, ho sentito. Guarda, davvero non capisco bene questa difficoltà. Io non parlo a nome personale o a nome di una ideologia o di un partito. Io sono vescovo e parlo a nome della Chiesa, non a nome mio. Io parlo a nome della Chiesa anche quando non lo esplicito. Anzi, non devo esplicitarlo perché è ovvio che è così. Al contrario, direi: devo esplicitare che si tratta di un mio pensiero personale quando non parlo a nome della Chiesa. Allora sì che devo dirlo.

Lavoro nei media ecclesiali. In questo campo è importante la collaborazione, fare rete, anche con i vescovi?

Certamente! È importante soprattutto che si estenda il dialogo. Il dialogo non è mai superfluo tra i professionisti dei media e certamente anche con i vescovi. Per la comunicazione è fondamentale lo scambio, il confronto, il dialogo.

A proposito dei media, mi viene in mente una cosa. Ho visto che alcuni si sono chiesti perché io non abbia avuto un incontro specifico con coloro che sono stati vittime di abusi sessuali durante questo viaggio. A dire la verità, al riguardo ho ricevuto varie lettere prima del viaggio. E io ho risposto a queste lettere, e ho spiegato che c’erano due ordini di problemi. Il primo era di tempo, di agenda. Il secondo, ma per me importante, è che volevo far emergere in questo viaggio una tematica forte, quella legata agli indigeni, in modo che fosse ben chiara. Molti mi hanno risposto dicendo che capivano che non si trattava affatto di una esclusione. In altri contesti, come ad esempio la visita in Irlanda, gli incontri sono stati possibili e la tematica è emersa in maniera chiara.

Parlando di abusi. Io mi occupo di diritto canonico. Lei ha fatto molti cambiamenti. Alcuni la definiscono il Papa dei cambiamenti. Lei ha fatto cambiamenti anche a livello penale, proprio a riguardo degli abusi, e sono stati benefici per la Chiesa. Vorrei sapere come vede l’evolversi delle cose fino a oggi e se prevede ulteriori cambiamenti nel futuro.

Sì, è vero. Si è constatato che bisognava fare dei cambiamenti, e sono stati fatti. Il diritto non si può tenere in frigorifero. Il diritto accompagna la vita e la vita va avanti. Come la morale: si va perfezionando. Prima la schiavitù era lecita ora non più. La Chiesa oggi ha detto che anche il possesso dell’arma atomica è immorale, non solo l’uso. Prima non si diceva questo. La vita morale va progredendo nella stessa linea organica. È la linea di san Vincenzo di Lérins: ita étiam christiánae religiónis dogma sequátur has decet proféctuum leges, ut annis scílicet consolidétur, dilatétur témpore, sublimétur aetáte («Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età»). San Vincenzo di Lérins paragona lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. La comprensione dell’uomo muta col tempo, e la coscienza dell’uomo si approfondisce.

La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è sbagliata. Per questo è importante avere rispetto per la tradizione, quella autentica. Diceva uno che la tradizione è la memoria viva dei credenti. Il tradizionalismo invece è la vita morta dei nostri credenti. La tradizione è la vita di chi ci ha preceduto e che va avanti. Il tradizionalismo è la loro memoria morta. Dalla radice al frutto, insomma: questa è la strada. Bisogna prendere come riferimento l’origine, non un’esperienza storica particolare assunta a modello perpetuo, come se bisognasse fermarsi là. «Ieri si è fatto così» diventa «sempre si è fatto così». Ma questo è paganesimo del pensiero! E quello che ho detto vale anche per la materia legale, per il diritto.

Sono un gesuita haitiano. Viviamo un processo di riconciliazione nazionale, ma si sta perdendo la speranza. Considerando quel che stiamo vivendo in Canada, che cosa possiamo dire alla Chiesa haitiana per avere speranza? Anche come gesuiti: che possiamo fare?

Haiti vive in questo momento una situazione critica. Vive un calvario, come se non si riuscisse a trovare il giusto cammino da intraprendere. Non mi pare che le organizzazioni internazionali abbiano capito come fare. Io mi sento molto vicino ad Haiti, anche perché vengo costantemente aggiornato sulla situazione da alcuni sacerdoti miei amici. Temo che si cada in un pozzo di disperazione: di questo ho paura. Come aiutare Haiti a crescere nella speranza? Se c’è una cosa che come Chiesa possiamo fare è certamente la preghiera, la penitenza... Ma dobbiamo chiederci come possiamo aiutare. È un popolo nobile quello di Haiti. Ecco, semplicemente ti dico che sono consapevole di quel che succede.

Vorrei porle una domanda sulla liturgia e l’unità della Chiesa. Sono uno studente di Liturgia e vorrei sapere quanto questo studio sia importante nella formazione. Mi riferisco anche al nostro impegno pastorale come gesuiti.

Quando c’è un conflitto la liturgia risulta sempre maltrattata. In America Latina trent’anni fa ci sono state deformazioni liturgiche mostruose. Poi si è caduti dalla parte opposta con l’ubriacatura «indietrista» dell’antico. Si è stabilita una divisione nella Chiesa. La mia azione in questo campo ha mirato a seguire la linea percorsa da Giovanni Paolo ii e Benedetto xvi , che aveva permesso il rito antico e aveva chiesto di verificare successivamente. La verifica più recente ha fatto capire che c’era bisogno di disciplinare la questione, e soprattutto evitare che fosse un fatto, diciamo così, di «moda» e rimanesse invece una questione pastorale. Poi verranno gli studi che perfezioneranno la riflessione sul tema che è importante: la liturgia è la lode pubblica del popolo di Dio!

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È ormai trascorsa un’ora di conversazione e il responsabile dell’organizzazione del viaggio apostolico fa discretamente presente che bisogna andare. Così il Papa ringrazia per l’incontro, per il dono ricevuto e per la vicinanza che sente da parte dei gesuiti. Ha quindi invitato tutti a pregare insieme un’Ave Maria, al termine della quale impartisce una benedizione. Quindi propone una foto tutti insieme.

1 Jean de Brébeuf (1593-1649) è stato un sacerdote gesuita francese, uno degli otto martiri canado-americani proclamati santi da Papa Pio xi nel 1930. Nel 1625 si recò in Canada con altri missionari della Compagnia di Gesù. L’anno seguente si fermò nel territorio degli Uroni, con i quali visse a lungo. Morì trucidato da una tribù di Irochesi nel 1649.

2 Il p. Michel Ledrus (Gossellies, Belgio, 1899 - Roma, 1983) ha insegnato Missiologia a Lovanio e Filosofia indiana alla Pontificia Università Gregoriana. A Calcutta ha pubblicato il mensile «The New Review». Nel 1939, tornato a Roma, ha insegnato Teologia missionaria e Teologia spirituale alla Gregoriana. È stato «insigne maestro di dottrina e di vita», come ha detto di lui il card. Carlo Maria Martini.

di Antonio Spadaro, s.i.