Danze, suoni, canti
per il caloroso benvenuto
di un popolo

 Danze, suoni, canti per il caloroso benvenuto di un popolo  QUO-173
30 luglio 2022

Iqaluit, 29. Alla luce tenue del qulliq, la lampada a olio che illumina e scalda gli igloo, hanno danzato riproducendo i movimenti dell’orso bianco accompagnati dal suono di un tamburo e hanno eseguito il katajjaq, canto di gola riservato alle donne, che riproduce i suoni della natura, come la slitta che striscia sul ghiaccio o il batter d’ali di uno stormo di uccelli. Questo il caloroso benvenuto riservato a Francesco nella capitale del Nunavut, circa 300 chilometri sotto il circolo polare artico, ultima tappa del pellegrinaggio penitenziale in Canada.

Un calore che contrasta con le temperature a cui è abituata questa gente, in uno degli ultimi avamposti abitati dell’arcipelago artico canadese. Essendo luglio, durante il volo che lo ha condotto fin qui, il Pontefice non ha potuto vedere immense distese bianche, ma solo piccoli banchi di ghiaccio e pianure in cui, a causa dei forti venti e del sottosuolo perennemente congelato, il permafrost, nessuna pianta supera i 20 centimetri di altezza. Del resto la temperatura media nei mesi invernali da queste parti si aggira attorno ai 25 gradi sotto zero, con minime che possono scendere anche a meno 40.

Quella di oggi è stata la prima volta di un Papa nella diocesi di Churchill - Baie d’Hudson, la quale ricopre un territorio talmente vasto che l’unico passaggio da una comunità all’altra è per via aerea, e perciò molte parrocchie sono guidate da laici Inuit, la popolazione autoctona che vive in queste zone remote de tempi immemorabili.

Furono i missionari Oblati di Maria Immacolata a prendere in carico questa regione del Grande Nord canadese, consacrando le loro esistenze all’evangelizzazione degli indigeni, condividendo la loro vita. E sono stati i primi cattolici andati a incontrare gli Inuit e ad abitare con loro, in terre inospitali, spesso ostili, che però questi ultimi hanno saputo amare, rispettare e custodire incontaminate.

La loro più grande comunità in Canada, 3.900 persone, risiede proprio qui a Iqaluit, che nell’idioma inuktitut vuol dire “Luogo di molti pesci”. E proprio la pescosità ne ha favorito lo sviluppo demografico. Essi rappresentano in pratica la metà della popolazione cittadina, che conta poco meno di ottomila abitanti.

Numeri esigui ovunque, ma che a queste latitudini rappresentano un’eccezione al punto che quando Nunavut, “la nostra terra” per quest’orgoglioso popolo originario, ottenne lo status di territorio federale — grande quanto l’Europa occidentale — essa ne divenne la capitale. Inoltre qui nel 1993 venne firmato il Nunavut Land Claims Agreement, il maggior accordo di rivendicazione di terre indigene nella storia canadese.

Nonostante ciò le relazioni con i bianchi sono spesso ancora tese e pregne di pregiudizi, anche perché gli Inuit sono tra i più poveri e i più emarginati della società. Perciò grande è stata la commozione, visibile sui volti delle persone, durante le poco più di tre ore in cui Francesco è stato a casa loro, trattenendosi più a lungo dell’orario programmato. Accolto all’arrivo dal vescovo di Churchill - Baie d’Hudson, l’oblato di Maria Immacolata Anthony Wiesław Krótki, che si è unito al seguito papale in questa ultima tappa del viaggio, e da alcune autorità locali, Francesco si è subito recato in una sala privata dello scalo aeroportuale per un breve benvenuto da parte degli ospiti.

Dopodiché ha percorso in automobile un piccolo tratto di strada, l’unico asfaltato, passando davanti alla parrocchia cattolica di Nostra Signora dell’Assunzione, una semplice costruzione di legno scuro, e alla bianca cattedrale anglicana di San Giuda, la cui architettura richiama quella caratteristica degli igloo.

Quindi ha raggiunto la vicina Nakasuk Elementary School, che prende il nome dal primo residente stabile di Iqaluit. Nato all’inizio del xx secolo, l’uomo aiutò gli americani a realizzare una base aerea, stabilendovisi egli stesso.

La costruzione a due piani con pochissime finestre ha una struttura in fibra di vetro simile a molti degli edifici cittadini a forma di scatola, con variazioni geometriche minime e finestre ad oblò sparse. Un’estetica semplice, che privilegia la funzionalità e la capacità di resistere a un clima inospitale.

Un lungo applauso si è levato quando il Papa ha fatto il suo ingresso in sedia a rotelle nella palestra, dove ha avuto luogo un toccante incontro privato con alcuni ex alunni delle scuole residenziali: un momento segnato da lacrime che rigavano i volti di alcune anziane donne. Francesco ha voluto ascoltarne le storie, quasi a toccare con mano le ferite che si portano dentro. Infatti in quegli istituti affidati dal governo con scarsi finanziamenti alle Chiese cristiane locali, tra cui quella cattolica, si attuò una politica di assimilazione forzata dei bambini indigeni sottratti alle comunità di appartenenza, costringendoli ad assumere gli stili di vita della cultura occidentale: secondo un Rapporto della Commissione canadese per la Verità e la Riconciliazione pubblicato nel 2015, oltre tremila minori morirono di malattie, malnutrizione, maltrattamenti in un periodo di circa cento anni dalla loro istituzione nel 1883.

Successivamente il Papa è uscito sul palco allestito davanti alla scuola, mentre sul piazzale si erano radunate numerose persone. La temperatura clemente ha favorito l’atteso appuntamento, durante il quale, seduto su una poltrona rivestita di pelle di foca, ha assistito alle coreografie espressione della cultura locale, ricevendo in dono il grande tamburo bianco usato nell’esibizione. Dopodiché ha pronunciato l’ultimo discorso in terra canadese, il nono, in spagnolo, con traduzione alternata in inglese e in lingua locale. Anche un gruppo di giovani in abiti occidentali, che sembravano disinteressati continuando a giocare a basket nel playground, hanno cominciato a manifestare attenzione quando dagli altoparlanti hanno sentito la voce di Papa Bergoglio. Stava parlando dello sport nazionale, citando campionesse di hockey su ghiaccio. Ma soprattutto ha rilanciato, rivolgendosi alle nuove generazioni, il tema del faticoso rispetto della libertà dell’altro, già sviluppato ai vespri della sera precedente a Québec.

La preghiera del Padre Nostro in inuktitut ha anticipato di qualche minuto la successiva informale cerimonia di congedo svoltasi presso l’aeroporto. Per tutta la durata della visita di Francesco a Iqaluit è stato presente il governatore generale del Canada. La signora Simon, originaria proprio di questa terra, ha salutato il Papa prima che risalisse a bordo dell’aereo che lo ha ricondotto a Roma. Un viaggio che ha portato a termine sostenuto da una strenua, ferrea forza di volontà, nonostante la sofferenza e «le limitate capacità fisiche» per i problemi al ginocchio, cui il Pontefice aveva accennato esplicitamente al mattino a Québec City e sulle quali è tornato con franchezza, com’è nel suo stile, anche nella conferenza stampa durante il volo di ritorno.

dal nostro inviato
Gianluca Biccini


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