Gli indigeni, l’evangelizzazione e noi

  Gli indigeni, l’evangelizzazione e noi  QUO-172
29 luglio 2022

Il cuore del «pellegrinaggio penitenziale» di Papa Francesco in Canada è rappresentato dalla sua personale vicinanza alle popolazioni indigene e dalla richiesta di perdono per i disastri compiuti dalla mentalità coloniale che ha cercato di sradicare le culture tradizionali anche attraverso il drammatico esperimento delle scuole residenziali volute dal governo e gestite dalle Chiese cristiane. Gli incontri con i popoli originari hanno segnato ogni tappa del viaggio e sono stati commoventi. La comprensibile concentrazione sulle sofferenze patite dagli indigeni e sul cammino di riconciliazione intrapreso, ha fatto passare in secondo piano alcune preziose indicazioni disseminate negli interventi di Francesco, che offrono percorsi utili per l’evangelizzazione oggi e ad ogni latitudine.

Il Papa, dopo aver detto di provare vergogna per ciò che è avvenuto quando i credenti «si sono lasciati mondanizzare e, anziché promuovere la riconciliazione, hanno imposto il loro modello culturale», ha continuato sottolineando che «questo atteggiamento è duro a morire, anche dal punto di vista religioso». Spostando così sull’oggi la sua riflessione che aveva preso le mosse dai fatti del passato. Si tratta cioè di una mentalità ancora presente. «Sembrerebbe più conveniente inculcare Dio nelle persone anziché permettere alle persone di avvicinarsi a Dio — una contraddizione. Ma non funziona mai, perché il Signore non agisce così: egli non costringe, non soffoca e non opprime; sempre, invece, ama, libera e lascia liberi. Egli non sostiene con il suo Spirito chi assoggetta gli altri, chi confonde il Vangelo della riconciliazione con il proselitismo. Perché non si può annunciare Dio in un modo contrario a Dio».

Anche oggi, dice il Successore di Pietro, c’è il rischio di confondere l’annuncio del Vangelo con il proselitismo, perché la tentazione del potere, la ricerca della rilevanza sociale e culturale come pure i progetti di evangelizzazione fondati su strategie e tecniche di marketing religioso, sono fenomeni a noi contemporanei. «Mentre Dio semplicemente e umilmente si propone, noi abbiamo sempre la tentazione di imporlo e di imporci in suo nome. È la tentazione mondana di farlo scendere dalla croce per manifestarlo con la potenza e l’apparenza. Ma Gesù riconcilia sulla croce, non scendendo dalla croce». Anche oggi esiste la tentazione di manifestare Gesù con la potenza e l’influenza dell’istituzione e delle sue strutture, con l’apparenza di progetti che crediamo di far funzionare «senza Dio, con le sole forze umane».

La via che invece ha proposto il Papa è quella di «non decidere per gli altri, non incasellare tutti all’interno di schemi prestabiliti, ma mettersi davanti al Crocifisso e davanti al fratello per imparare a camminare insieme». È il volto di una Chiesa che cerca di aderire sempre più al Vangelo e che non ha un insieme di idee e precetti da inculcare alla gente ma sa essere casa accogliente per tutti testimoniando Gesù «come Egli desidera, nella libertà e nella carità».

Evangelizzare in un tempo segnato dal secolarismo e dall’indifferenza, ci ricorda Francesco, significa proporre il primo annuncio. Perché la gioia della fede non si comunica «presentando aspetti secondari a chi non ha ancora abbracciato il Signore nella vita, oppure soltanto ripetendo alcune pratiche o replicando le forme pastorali del passato». Occorre trovare vie nuove, occasioni di ascolto, di dialogo e di incontro, lasciando spazio a Dio e alla sua iniziativa, non al nostro protagonismo. E ritornare così «all’essenzialità e all’entusiasmo degli Atti degli Apostoli». 

di Andrea Tornielli