Modello di convivenza possibile

 Modello  di convivenza possibile  QUO-169
26 luglio 2022

Edmonton, 25. C’è un luogo nel cuore di Edmonton in cui indigeni, discendenti dei coloni europei e nuovi immigrati pregano insieme, riconciliati, usando simboli, musica e rituali delle varie culture: è la parrocchia “Chiesa del Sacro Cuore dei Primi popoli”, dove Papa Francesco si è recato nel pomeriggio per incontrare questa comunità divenuta modello di una convivenza possibile.

Proseguendo il suo dialogo con le popolazioni autoctone del Canada ferite, il Pontefice ha trascorso poco più di un’ora nell’atmosfera gioiosa di una vivacissima comunità. Riprendendo nel suo discorso i temi approfonditi in mattinata durante la visita a Maskwacis, è tornato a porgere le proprie scuse «facendo memoria del male» procurato «da parte di tanti cristiani e chiedendone perdono con dolore».

Al suo arrivo in automobile nel quartiere McCauley del centro cittadino, sotto un cielo decisamente meno plumbeo di quello del mattino, è stato accolto dal parroco originario dell’India, padre Susai Jesu. Entrato in sedia a rotelle nell’aula liturgica da una porta laterale, il Papa si è alzato ed è rimasto in piedi, appoggiato a un bastone metallico, ad ascoltare il suono dei tamburi. Quindi si è seduto mentre il parroco rivolgeva parole di benvenuto, seguito da due volontari appartenenti al popolo Métis. Un canto ha preceduto il suo discorso, che la platea ha seguito con attenzione restando a lungo in silenzio, rotto solo dall’applauso finale.

Dopo un recente incendio che l’aveva seriamente danneggiato, questo edificio di culto è stato restaurato, riaprendo i battenti la domenica prima di quella in cui il Papa è giunto in Alberta. E se l’esterno è rimasto immutato nelle linee classiche del gotico francese e nelle tinte tenui, l’interno è stato trasformato con i colori vividi delle First nations, dei meticci e degli inuit, per illustrare la fede cristiana attraverso i loro costumi e le loro usanze, che si riflettono anche nella celebrazione dei riti.

Eretta agli inizi del Novecento per accogliere gli immigrati in cerca di fortuna nel ricco Canada, ma in cui i poveri non mancavano allora e non mancano anche oggi, la parrocchia del Sacro Cuore ha mantenuto nel tempo questo suo “dna” fatto di ospitalità e servizio agli svantaggiati. Soprattutto a partire dal 1991 quando gli Oblati di Maria Immacolata, che la officiano, decisero di impegnarsi in favore degli autoctoni bisognosi. Tanto che nel 1993 l’arcivescovo MacNeil la designò ufficialmente come chiesa di riferimento per i cattolici dei popoli delle Prime nazioni della regione. Da allora essa si prodiga per assicurare alloggio, assistenza spirituale e programmi di sostegno a una variegata comunità indigena urbanizzata.

Lo testimonia il sito internet parrocchiale che recita: «Tutti sono i benvenuti qui perché facciamo tutti parte della Ruota di Medicina della Vita», con evidente richiamo allo sciamanesimo. Quella stessa forma circolare riprodotta ora sul portale d’ingresso e sulle entrate laterali della chiesa visitata oggi dal vescovo di Roma. Anche per quanto riguarda l’altare la simbologia è evidente: al centro di quattro pali lignei che richiamano le caratteristiche tende “tepee”, sta la mensa che rimanda al tronco di un albero, del cui significato cristologico ha parlato lo stesso Francesco; mentre nel baldacchino per i lettori è intagliata un’aquila. Coloratissimi i dipinti della Via Crucis appesi alle pareti così come le tante vetrate.

La maggior parte del lavoro è stata eseguita dal viceparroco, padre Mark Blom. «Il primo giorno che l’ho visto mi è sembrato un miracolo», ha commentato padre Cristino Bouvette, coordinatore liturgico locale per la visita papale. Prete trentaseienne di Calgary, è italiano per parte di madre e cree e métis da parte del padre. La sua Kokum, nonna paterna, morta nel 2019 un mese prima del centesimo compleanno, era una sopravvissuta di una scuola residenziale.

Infatti quando aveva sette anni Amelia Mae Bouvette fu costretta a lasciare la famiglia della Saddle Lake cree nation, per frequentare la Edmonton Residential School, gestita dalla United Church. Nonostante ciò, ha mantenuto un profondo legame con la fede cristiana, tanto che alcuni suoi familiari sono stati ordinati ministri di quella Chiesa. E decenni dopo, quando il nipote le ha confidato di voler diventare sacerdote cattolico, lei lo ha incoraggiato.

«È una straordinaria opportunità per la guarigione dei popoli indigeni di questa terra», ha commentato l’anziano Fernie Marty. «Persone da tutto il Paese vengono al Sacro Cuore per sperimentare cosa significhi pregare in un modo completamente diverso, in una combinazione di entrambi i mondi, e imparare a lavorare insieme, indipendentemente da chi siamo e da dove veniamo», ha aggiunto.

Terminato il suo discorso, Papa Bergoglio ha indossato la stola e si è alzato in piedi per guidare la preghiera del Padre Nostro in lingua inglese. Poi gli sono stati presentati in dono manufatti di artigianato locale, mentre venivano eseguite musiche di violini e chitarre.

Uscendo dalla chiesa il Papa ha benedetto una statua di Kateri Tekakwitha (1656-1680), prima santa indigena del Nord America. Giovane donna che ha offerto una straordinaria testimonianza di purezza, il “Giglio dei Mohawk” è vissuta sulle rive del lago Ontario. Chiamata dagli indigeni kaiatano, ovvero nobilissima e degnissima persona, è stata beatificata da Giovanni Paolo ii nel 1980 e canonizzata da Benedetto xvi nel 2012, ed è venerata come patrona dell’ambiente insieme a san Francesco d’Assisi.

Infine, una volta all’esterno Francesco non ha voluto deludere le persone assiepate dietro le transenne che lo chiamavano a gran voce: con un piccolo fuori programma si è fatto spingere con la carrozzella verso il gruppetto per salutarlo, prima di risalire in auto per il rientro al seminario che lo ospita qui ad Edmonton. (gianluca biccini)