Papa Francesco ai funerali di padre Diego Fares

Il buon seminatore

 Il buon seminatore  QUO-165
21 luglio 2022

Papa Francesco si è recato stamane alla Curia generalizia della Compagnia di Gesù, a Roma, dove ha presenziato alle esequie del confratello gesuita Diego Fares, morto martedì 19 luglio all’età di 66 anni. Nella cappella della casa religiosa a Borgo Santo Spirito, a due passi dalla Città del Vaticano, si sono ritrovati superiori, confratelli, familiari e amici di padre Fares per una celebrazione svoltasi in un clima di familiarità e di raccoglimento. Tra i concelebranti, il cardinale gesuita Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Al rito funebre hanno partecipato anche due sorelle del compianto religioso. Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal direttore de «La Civiltà Cattolica».

Il seminatore uscì a seminare… Diego è stato un seminatore, un seminatore che ha tanto seminato senza badare a misure e proporzioni.

Dal momento nel quale usciva la mattina da camera il suo sorriso, il suo buonumore, la sua piana disponibilità lo portava a gettare il buon seme anche senza volerlo, anche senza pensarci. Ero suo vicino di camera e posso garantirvelo.

Anzi, direi che il buon seme lo seminava già prima di uscire, quando pregava accanto al suo termos di buon mate caldo. Perché in quella preghiera portava tutto, le situazioni difficili, le tensioni, i problemi, le domande, ma soprattutto le persone. Perché il mondo di Diego era fatto di persone.

Quando muore un amico non si sa che dire. Anzi, non si vorrebbe dire niente. O poche cose.

Io posso dire che Diego ha molto amato ed è stato molto amato. Sempre discreto e non appariscente, ha costruito rapporti solidi, fondati sull’amabilità.

La sua personalità era forte, decisa, ma lui era trasparente, mite. Si sentiva la passione, si sentiva il magma e la forte capacità di essere chiaro, di dire la propria, di avere una direzione, di smontare ogni ipocrisia. Era consapevole che a volte era meglio per lui tacere perché sapeva che, se fosse intervenuto, il suo magma non si sarebbe contenuto. Sapeva discernere i tempi e i luoghi. E nello stesso tempo tutto questo era vissuto con una dolcezza e un sorriso che smontava ogni resistenza.

Perché? Perché Diego non pensava a sé. Non pensava alle sue ragioni né ai suoi umori, che ben conosceva. Pensava al Signore della sua vita, sua roccia, sua rupe, sua fortezza. E si lasciava guidare dalla consolazione. Conversava con Dio, Diego, con naturalità. Lo so perché, a volte, mi diceva quel che aveva sentito nella preghiera, quel che il Signore gli aveva fatto capire e sentire.

Un volta — caso raro, in effetti — avevamo posizioni divergenti e lui mi ha insegnato a capire che non si tratta di litigare su torti e ragioni. Inutile farne l’elenco. L’importante è agire spiritualmente cercando la consolazione di Dio. E per questo cercava in Dio la soluzione dell’enigma. Per questo era deciso, ma mai partigiano. Era profeta non tifoso. Diego aveva questa consuetudine con Dio, che gli dava pace ed equilibrio. E questa pace era diffusiva in modo naturale e spontaneo.

Diego era un intellettuale, non dimentichiamolo. Aveva ottenuto il suo dottorato in Filosofia con una tesi sulla Fenomenologia della verità nel pensiero di Hans Urs von Balthasar, ed è stato professore di Metafisica presso la Universidad Catolica de Córdoba della Compagnia di Gesù. Ma nello stesso tempo ha lavorato per circa vent’anni con un team di oltre un centinaio di laici, presso la Casa di San Giuseppe (El Hogar de San José), un centro di accoglienza per adulti che vivono in situazione di strada o in condizioni di estrema povertà. Insieme al padre gesuita Ángel Rossi — oggi arcivescovo di Córdoba — è stato iniziatore della Fundación Manos Abiertas, che ha contribuito a portare avanti anche la Casa della Bontà (Casa de la Bondad), un hospice per malati terminali.

Quando nel 2014 sono andato in Argentina, mi ha accolto proprio facendomi visitare questa casa, dove ogni malato veniva trattato con totale unicità. Nel modo di trattare con quei malati ho conosciuto Diego.

Per lui non c’era testa senza mani e non c’erano mani senza testa. E non c’erano testa e mani senza cuore. Essere intellettuali per Diego significava avere l’intelligenza calda della vita. Vivere senza reti di protezione, non «balconear» la vita, ma buttarsi dentro nella mischia, tra la gente, in ascolto di chi ha più bisogno. Senza difese e in ascolto delle esigenze. Come quella della cura pastorale dei cinesi a Buenos Aires che lo ha portato a imparare a celebrare la messa in cinese, pur non avendo imparato il cinese!

Diego ha lasciato il suo mondo per venire a Roma a «La Civiltà Cattolica», dando la sua disponibilità piena a lasciare tutto quel che aveva costruito e ricominciare. Perché? Con l’elezione di Papa Francesco si poneva per «La Civiltà Cattolica» la missione di accompagnare il nuovo pontefice nel modo migliore possibile, secondo la tradizione della rivista. Col padre generale di allora, padre Adolfo Nicolás, si cercava chi potesse essere di aiuto. Fu facile individuare Diego. Il Papa stesso, di rientro dal viaggio in Brasile, aveva consigliato ai giornalisti di leggere i libri di Diego, infatti.

Diego era stato accolto nella Compagnia di Gesù dall’allora Provinciale dei gesuiti in Argentina, padre Jorge Bergoglio, come novizio il 21 febbraio 1976. Padre Bergoglio è stato anche suo padrino di ordinazione sacerdotale (1986). Il suo legame con lui era molto forte.

Diego aveva una intelligenza del Pontificato che veniva da una comunione spirituale profonda con Francesco e altri gesuiti della sua generazione. Questa intelligenza spirituale per lui — tramite l’obbedienza della Compagnia — è diventata una vera e propria missione. Rileggete i suoi scritti per capire il nucleo caldo del Pontificato! Così, con la pazienza certosina dello scrittore — che non gli veniva naturale — , ha compiuto la sua missione.

Quando dico che non gli veniva naturale intendo che scriveva benissimo, ma la sua scrittura con fatica stava dentro i limiti della forma di articolo. La sua scrittura era straboccante, comunicativa all’estremo, intima. Nasceva dentro un dialogo. Con pazienza Diego ha imparato a stare dentro i limiti. Ma ha sempre curato un suo blog personale con i commenti al Vangelo della domenica e altre riflessioni. Ha raggiunto così tanta gente. In questo senso aveva un uso sapiente della tecnologia per comunicare, tra l’altro.

Vi racconto un aneddoto: quando gli chiesi il suo primo articolo, lui me lo inviò. Era un magma vivo. Impossibile da pubblicare ma assolutamente necessario, da pubblicare, dunque. Venimmo alla decisione di trasformarlo in una intervista. E così le sue parole tornarono all’interno della loro forma naturale: la conversazione, il dialogo, la dialettica, l’incontro con un “tu”.

Lui era sensibile, in particolare, a tutti i luoghi nei quali il dialogo era la base della vita. E sapeva che c’era un luogo particolare dove questo avveniva: la famiglia. Per questo Diego ha seguito gruppi di famiglie con grande passione e pazienza. Ha fatto miracoli in questo campo.

Negli ultimi tempi Diego ha scritto del Sacro Cuore. Era l’argomento della sua preghiera e della sua riflessione. Mi aveva proposto un articolo sul tema. Ed è stato l’ultimo suo scritto sul suo blog di «contemplazioni». Il Signore lo preparava all’incontro con lui con una particolare «scuola degli affetti».

Perché il cuore? Perché — ha scritto — «solo il cuore fa vivere umanamente la vita. Solo attraverso il cuore lo spirito diventa anima e la materia diventa corpo e solo attraverso di esso esiste la vita dell’uomo come tale, con le sue gioie e i suoi dolori, le sue fatiche e le sue lotte, misera e grande insieme».

Ed ecco una intuizione che riassume la vita di Diego: il suo amore per la gente e per Dio: «non esistono — scriveva — due cuori uguali, e ogni cuore è un “co-cuore”, cioè un cuore che esiste “con gli altri”, con la memoria degli altri, in dialogo con gli altri che lo amano. Non ci sono “cuori soli”, ecco perché per conoscere il proprio cuore bisogna conoscere quello di chi ci ama, e chi meglio di Gesù per questo compito».

Signore, grazie per averci dato Diego. Già ci manca molto. Diego è stato un seminatore nel campo della nostra vita e nella vita di tanti, un seminatore che ha tanto seminato e il seme ha dato frutto.

Restituiscici Diego come seme sepolto nella nostra umanità, Signore. Ci aiuti a vivere meglio grazie all’eredità di affetti che ci ha lasciata. E noi ora ti preghiamo con le parole di una sua preghiera…

Signore,
io non sono padrone…

Né della mia vita

Né della vita degli altri.

Non sono padrone
della mia famiglia

Tu me l’hai data, Signore,

Tu ti prendi cura di lei.

Non sono padrone
della mia vocazione,

Tu mi hai scelto,
è stata la tua volontà.

Non sono padrone dei frutti che mi fai dare.

Tu sei il Padrone, Signore.

Solo tu e nessun altro…

di Antonio Spadaro