Hic sunt leones
L’affascinante storia dei Garamanti, un tempo abitanti della provincia di Fezzan

Quando il deserto
era verdeggiante

 Quando il deserto era verdeggiante   QUO-160
15 luglio 2022

Per chi ha avuto modo di viaggiare nella sconfinata regione del Sahara centrale, il ricordo che rimane maggiormente impresso nella mente è quello d’essersi avventurati in uno dei luoghi più inospitali del pianeta. È la percezione che chi scrive ebbe anni fa attraversando la provincia di Fezzan nel sud-ovest della Libia. Le temperature da quelle parti possono raggiungere i 50° C, con punte fino a 60° e le precipitazioni ammontano a 10 millimetri all’anno: sono dunque ad un livello desertico. A volte non piove per anni in questa vasta regione che si estende su una fascia di 650.000 km quadrati. In passato conosciuta come Phasania, attualmente occupa la parte sahariana a sud della Tripolitania, sino al confine con l’Algeria e con la Cirenaica, lambendo anche il Niger e il Ciad.

Eppure, in questo territorio che oggi si manifesta come un’immensa fornace di roccia e sabbia bruciata dal sole, ad oltre mille chilometri dalla costa del Mare Mediterraneo, già 2.500 anni fa era insediata una civiltà urbana con una lingua scritta, tombe piramidali, irrigazione, agricoltura ed eserciti di carri e destrieri. Stiamo parlando dei Garamanti, (in latino Garamantes), una popolazione che per secoli ebbe con Roma rapporti non sempre facili, alimentando comunque flussi commerciali piuttosto peculiari (avorio, animali rari e feroci per i giochi negli anfiteatri). La prima menzione dei Garamanti è di Erodoto e rinvia alla fine del vi secolo a.C., ma nella regione sono state riscontrate attestazioni che addirittura risalgono al iii millennio a.C. riferite a popolazioni molto omogenee tra loro dedite alla pastorizia, che nel x secolo a.C. si insediarono in insediamenti stabili.

La civiltà dei Garamanti, stando agli ultimi studi archeologici, ebbe un impulso notevole a partire dal vi a.C., sfruttando il sistema carovaniero tra Fezzan, delta del Nilo, Tripolitania e ansa del Niger. Venne così alla luce, all’inizio del v secolo a.C., un regno vero e proprio, con una statualità per quei tempi complessa, articolata nell’organizzazione confederata e una capitale unica: Garama, oggi Germa.

Per chiunque oggi intendesse avventurarsi in questa regione, oltre alle vaste pianure formate di arenaria, sono frequenti anche tracce di sistemi di canalizzazione non più in uso che, presumibilmente, costituivano lo strumento più idoneo per la raccolta delle acque piovane. Non a caso questo territorio è denominato dai tuareg con l’appellativo «Targa», che in lingua berbera significa «canale d’irrigazione», e da qui la denominazione araba di «targi», abitanti della Targa, il cui plurale è appunto «tuareg». Questo, in sostanza significa che in passato, le condizioni meteorologiche erano molto diverse da quelle attuali.

D’altronde nel cosiddetto Neolitico subpluviale, o fase umida dell’Olocene, compreso tra il 7.000 e il 3.000 a.C., il Sahara era verde e il lago Ciad più grande del Mar Caspio (per inciso, ancora cinquant’anni fa le acque di questo bacino occupavano 26.000 km quadrati, oggi ridotti a meno di 5.000 e con le sponde affollate dalla maggiore popolazione di rifugiati climatici al mondo). Sta di fatto che l’allarmante processo di desertificazione che oggi spinge sempre più a meridione, nella fascia subsahariana, duemila anni fa non costituiva un problema per le popolazioni autoctone sahariane.

Per comprendere quanto il clima sia cambiato, basti pensare che il Sahel — che oggi comprende parte del territorio degli Stati del Senegal, del Mali, della Mauritania, del Niger, del Burkina Faso, del Ciad e del Sudan — al tempo dei Garamanti era una florida savana. Da lì provenivano le fiere dei giochi gladiatori, i leoni e gli elefanti che per Annibale utilizzò nella seconda Guerra punica contro i Romani. Dunque, lo sviluppo della civiltà dei Garamanti è ascrivibile a condizioni ambientali molto diverse da quelle odierne.

È importante notare come il nome dei Garamanti ricorra per ben tre volte nel Convivio di Dante Alighieri (Cv iii v 12) dove sulla traccia di Alberto Magno (Nat. loc. I 11) e di Lucano ( ix 438 ss.), esplicitamente citati come fonti, essi sono collocati nel primo climate, cioè nel primo degli spazi della zona temperata e abitabile, tra l’equatore e il 16° grado di latitudine: «Là nel mezzodie, quasi per tutta l’estremità del primo climate, dove sono intra l’altre genti li Garamanti, che stanno quasi sempre nudi; a li quali venne Catone col popolo di Roma, la segnoria di Cesare fuggendo».

Bisogna però dire che quello che effettivamente avvenne tra i Garamanti e i Romani è un qualcosa su cui sia gli archeologi come anche gli storici stanno ancora indagando e c’è dunque molto da scoprire. Sebbene, in diverse occasioni, si registrarono delle situazioni di aperta conflittualità tra le due civiltà, esse ebbero modo di conseguire col tempo buoni rapporti diplomatici e commerciali. È vero che Lucio Cornelio Balbo, proconsole d’Africa, nel 19 d.C., con un contingente militare di 10.000 legionari, impose una pesante sconfitta ai Garamanti e che vi furono almeno altre due spedizioni punitive ai loro danni con Settimio Flacco nel 50 d.C. e con Gaio Valerio Festo nel 70 d.C. Ma è anche opportuno ricordare, stando alla preziosa narrazione di Marino di Tiro, geografo della prima metà del ii secolo d.C., i viaggi del funzionario romano Giulio Materno. Egli si rese conto che a nulla sarebbe valso l’uso della forza, anche perché, dalla conquista di Cartagine, i Romani avevano avuto, in diverse occasioni, la possibilità di stringere relazioni diplomatiche e buoni profitti commerciali con le popolazioni autoctone di quelle terre africane. Non solo entrando in un contatto con i Garamanti, di cui egli studiò attentamente usi e costumi, ma anche con le altre popolazioni più a meridione.

Materno ebbe l’indiscusso merito nel 90 d.C., partendo da Leptis Magna e accompagnato proprio dal re dei Garamanti, di rilanciare gli scambi mercantili, raccogliendo anche proficue informazioni su molti territori più a sud, oltre il limes immaginario tracciato sulle carte dell’epoca che recita come il titolo di questa rubrica del nostro giornale: «Hic sunt leones». Materno si sarebbe spinto addirittura fino al lago Ciad, raggiungendo il nord della Nigeria.

Una cosa è certa: i Garamanti svilupparono una civiltà raffinata, possedevano una loro forma di scrittura, un’arte ancestrale e vantavano conoscenze tecniche in vari campi. Sono oggi ben dimostrate le forti influenze profuse dal vicino Regno d’Egitto con il quale condivisero stretti legami culturali, anche nel campo dell’astronomia. Quando la presenza romana in Africa venne meno, i Garamanti sopravvissero nel corso dei secoli alle invasioni dei Vandali, dei Visigoti e poi dei Bizantini, fino all’arrivo degli Arabi e alla loro conversione all’Islam nel vii d.C.

Non v’è dubbio, però, che questa civiltà nasconda ancora molti misteri. Basti pensare alle tombe megalitiche costruite attorno alla loro antica capitale Garama. L’area è costellata di misteriosi tumuli di pietra la cui funzione, o significato per i Garamanti, non risulta essere chiaro tuttora agli studiosi. Alcuni, sono sepolture, ma molti altri potrebbero invece marcare indicazioni geografiche o astronomiche.

Nel 2011, utilizzando immagini satellitarie e fotografie aeree, un team dell’università di Leicester ha scoperto, nella regione di cui stiamo parlando, oltre un centinaio di insediamenti fortificati con strutture simili a roccaforti e città varie, la maggior parte databili tra il primo secolo e il 500 d.C. Si tratta proprio di insediamenti ascrivibili ai Garamanti, il cui stile di vita e cultura è risultato essere molto più avanzato rispetto a quanto suggerito dalle fonti dantesche. Il professor Martin Sterry, uno dei responsabili della missione esplorativa, ha spiegato che i risultati contraddicono palesemente chi fosse ancora oggi convinto che i Garamanti appartenessero a stirpi barbare primitive ai margini dell’impero romano. Purtroppo, a seguito della caduta del regime di Muammar Gheddafi, le indagini degli studiosi sono state sospese per ovvi motivi di sicurezza. Ma sotto il deserto si celano sicuramente altri misteri che parlano di una civiltà che rende onore per le sue vestigia a tutti i popoli africani.

di Giulio Albanese