Testimonianze
A colloquio con padre Panteleymon Trofimov, Osbm, rettore del seminario di Briukhovychi

Accoglienza e ascolto,
la sfida più grande

 Accoglienza e ascolto, la sfida più grande  QUO-159
14 luglio 2022

A Briukhovychi, sobborgo di Leopoli, nell’ovest dell’Ucraina, in mezzo al verde, l’Ordine basiliano di San Giosafat ha un convento e un seminario, dove abitano e studiano più di 50 religiosi, la maggior parte dei quali sono seminaristi. Oltre ai basiliani, il seminario è frequentato anche da membri di altre congregazioni. Si tratta del più grande convento della Chiesa greco-cattolica ucraina. «La guerra ci ha messo davanti alle nuove sfide», dice nell’intervista a Vatican News padre Panteleymon Trofimov, Osbm, superiore del convento e rettore del seminario. Oltre all’attività del seminario che non si è fermata e alla pastorale per le persone che negli ultimi mesi sempre di più frequentano la loro chiesa, i religiosi hanno avviato un nuovo servizio: accolgono gli sfollati che continuano ad arrivare dalle zone di combattimento o dai territori occupati dall’esercito russo.

Padre Panteleymon ricorda che il primo giorno della guerra ha radunato tutti i suoi confratelli per pensare insieme a come adattare la vita della comunità alle nuove circostanze. «Nei primi giorni la situazione era molto incerta — racconta — e alcuni fratelli avevano bisogno del supporto e dell’ascolto reciproco. Anche io, come rettore, durante il primo mese di guerra, percepivo che dovevo passare più tempo del solito con i confratelli per condividere le loro preoccupazioni».

Quella dell’accoglienza dei rifugiati è stata e rimane la sfida più grande. Ancor prima del 24 febbraio, quando si parlava della possibilità dell’invasione russa, i rappresentanti del comune di Leopoli si erano rivolti ai padri basiliani di Briukhovychi, chiedendo loro la disponibilità a ospitare i profughi in caso di attacco da parte di Mosca. «Già il secondo giorno di guerra sono arrivati tanti profughi — ricorda padre Panteleymon —. Provenivano dalla regione di Kiev (Bucha, Irpin, ecc.) e di Kharkiv. Il numero più alto di persone che ospitavamo era 170 alla volta». E a tutti veniva offerto gratuitamente vitto, alloggio, servizio di lavanderia, kit igienici, medicine. «Nelle prime due settimane — riferisce il religioso — mi chiedevo se ce l’avremmo fatta, perché non ricevendo aiuti dallo Stato, potevamo contare soltanto sulle nostre risorse. Gli aiuti dall’estero, soprattutto quelli della Conferenza episcopale degli Stati Uniti e dell’associazione L’Œuvre d’Orient, sono arrivati più tardi».

Con il ritiro dell’esercito russo dalla regione di Kiev, la gente ha iniziato a tornare a casa e al suo posto sono arrivati i rifugiati della regione in cui è nato e cresciuto padre Panteleymon: il Donbass. «Adesso ospitiamo 130 persone — racconta —. Oltre 30 di loro sono membri della comunità parrocchiale di Zvanivka, nella regione di Donetsk, dove c’è uno dei nostri conventi e per questo si sono immediatamente inserite nelle nostre attività pastorali. Ma vogliamo che anche per gli altri profughi la permanenza nel nostro convento sia un’occasione per avvicinarsi a Dio». Alcuni dei rifugiati sono ortodossi, altri si dicono non credenti, altri ancora hanno dei pregiudizi nei confronti dei cattolici. Il sacerdote spiega che non si tratta di imporre qualcosa, ma di offrire un’opportunità per la conoscenza reciproca attraverso vari incontri tematici e corsi formativi. «Anche durante la semplice e quotidiana conversazione con i membri della nostra comunità — aggiunge —, queste persone hanno la possibilità di conoscere la vita della Chiesa e sentire qualcosa di Dio».

Da questa esigenza concreta è nata l’idea del nuovo progetto iniziato a luglio: la Commissione per la vita consacrata della Chiesa greco-cattolica ucraina ha attivato, proprio nel convento basiliano di Briukhovychi, un Centro di consulenza spirituale, dove alcuni assistenti spirituali e psicologi offrono gratuitamente un aiuto professionale non soltanto ai profughi, ma anche a tutti quelli che ne hanno bisogno. Il sacerdote sottolinea che l’accoglienza viene assicurata a tutti, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa o dalla lingua che parlano, ucraino o russo. «L’unica cosa che chiedo — dice — è di avere rispetto per il convento, per i membri della nostra comunità e gli uni verso gli altri». «Ho lasciato la mia regione d’origine nel 2001, quando sono entrato nell’Ordine — ricorda il religioso — e la mia provenienza mi aiuta a comprendere maggiormente la gente, per esempio nella lingua, nell’atteggiamento verso la fede e la Chiesa. Talvolta succede che qui, nell’ovest dell’Ucraina, qualcuno anche tra i nostri fedeli, non capisca la mentalità degli abitanti dell’est del Paese e vorrebbe che si adattassero subito alle usanze del luogo. A queste pretese rispondo che a coloro che hanno perso tutto — il lavoro, la casa, le persone care — e che non sanno cosa li aspetta, non possiamo imporre un ulteriore peso e infliggere un altro dolore».

«Sono anche sicuro — conclude padre Panteleymon — che pensare di poter avvicinare qualcuno a Dio con la forza sia sbagliato in partenza. Invece, attraverso il nostro atteggiamento cristiano, dobbiamo creare per le persone l’occasione di guardare alla vita da un’altra prospettiva, in modo da trovare una riposta alla domanda: “Perché ci trattano in questo modo?”. Secondo il punto di vista del mondo, noi non ricaviamo alcun vantaggio dal nostro servizio, ma noi trattiamo gli altri in questo modo perché siamo credenti e cristiani».

di Svitlana Duckhovych