Un progetto di piantumazione nato all’indomani di un drammatico incendio

Un albero per ogni italiano

 Un albero  QUO-156
11 luglio 2022

Erano le 22 circa del 24 settembre 2018 quando il bosco di Calci, sulle montagne pisane, ha cominciato a bruciare. Un incendio doloso che, complice il caldo, l’umidità e il vento forte, con raffiche a 30 chilometri orari, ha devastato oltre 1200 ettari di superficie e provocato l’evacuazione dei cittadini residenti nei comuni limitrofi, in particolare in località Montemagno. Messe in salvo dai vigili del fuoco, più di 700 persone, tra cui bambini, hanno dormito in palestre e rifugi, con la speranza nel cuore che il fuoco non avesse inghiottito anche le loro case. Molti gli anziani ricoverati per asfissia, perché quando le fiamme hanno toccato il cielo, loro già dormivano nei propri letti. Ci sono voluti circa 4 giorni per spegnere completamente il rogo. Una ferita per la popolazione, un danno enorme alla flora e alla fauna di questo territorio: i pini secolari dai tronchi robusti cadevano come mosche, “spettacolo” di crudeltà a cui nessuno vorrebbe assistere. La Regione Toscana stanziò subito 200 mila euro per interventi di bonifica e per rimuovere gli alberi bruciati: operazioni fondamentali per ricostruire il quadro idrogeologico e impedire che, alle prime piogge, l’acqua dilagasse ad una velocità distruttiva. A quasi quattro anni da quell’evento, ora “Alberitalia” attraverso un crowdfunding con Banca Etica e la Comunità del Bosco, ha avviato un progetto di ricostituzione del territorio boschivo danneggiato: al posto dei pini, in un’area pilota di poco più di un ettaro, saranno messe a dimora sughere e lecci, specie maggiormente resilienti al fuoco, con spazi studiati dai tecnici e dai dottori forestali, per proteggere il bosco da futuri incendi.

Un albero per ogni italiano


Di iniziative come queste la Fondazione Alberitalia, da quando è nata, nel 2019, durante un incontro presso L’Accademia dei Georgofili di Firenze, ne ha avviati tanti, rispondendo ad un appello lanciato da Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e da monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti (appena nominato dal Papa alla guida della diocesi di Verona), a nome delle Comunità Laudato si’. Appello che all’epoca sembrava utopistico, quasi un rimbombo di parole, e che invece nei mesi successivi ha preso forma, raccogliendo un consenso inaspettato: piantare un albero per ogni italiano, al fine di combattere la crisi climatica. «Come è facile intuire, i temi che ruotano attorno alle foreste e ai singoli alberi sono tantissimi — afferma Gabriele Locatelli, consigliere della Fondazione e già responsabile Foreste Sostenibili Slow Food Italia —. Gli alberi svolgono funzioni fondamentali come quella di assorbire CO2 dall’atmosfera, rilasciando ossigeno. Ma sono anche elementi essenziali per la salvaguardia della natura e del paesaggio, presidi insostituibili per contrastare il dissesto geologico, fulcro della vita del nostro Pianeta. Ciò che gravita attorno agli alberi ha inoltre implicazioni sociali, locali e globali, importanti. La nostra missione è quella di far capire a tutti, quanto siano interconnesse le nostre vite con quelle degli alberi, primi e veri operatori di quella conversione ecologica, auspicata dal Papa nella Laudato si’».

Ecologia ambientale


L’Italia dal dopoguerra ad oggi ha aumentato del 60 per cento la sua superficie forestale boscata eppure, prosegue Locatelli, «essendo tra i principali trasformatori di legname, si trova ad importare oltre l’80 per cento di legna dall’estero, quindi è fondamentale fare corretta informazione, ecologia ambientale e più strettamente forestale, in cui l’albero non venga visto come “essenza” unica, ma come parte di questa nostra Terra. La Laudato si’ in questo senso è uno strumento eccezionale soprattutto per le nuove generazioni che sono tutt’altro che disinteressate alle questioni ambientali. La loro attivazione anzi è sorprendente, molti vogliono partecipare, molti sentono nascere nel cuore quella conversione di cui parla Francesco. L’enciclica ci interpella ogni giorno e ogni giorno riceviamo richieste in questa direzione: poco tempo fa ad esempio siamo stati chiamati dalla comunità residenziale Maria Immacolata Forlimpopoli, che ospita mamme e bambini in condizioni di disagio e bisogno, chiedendoci di realizzare un bosco per le api che possa garantire la produzione di miele. Il bosco, con alberi da fiore, intitolato proprio alla Laudato si’ sarà un microcosmo dove i piccoli convivranno accanto a questi insetti “sociali” conosciuti per la loro straordinaria perfezione e laboriosità e da loro potranno imparare anche a relazionarsi».

I risvolti sociali di mantenere vivo un albero


Alberitalia dalla sua ha i volontari, i professionisti, i mezzi, una rete solida a cui appoggiarsi ma oltre all’aspetto operativo, cerca sempre di fare educazione ambientale. «Ricordiamoci — prosegue Locatelli — che mantenere in vita un bosco, vuol dire sempre mantenere in vita la comunità che abita quel territorio. L’albero è legato all’aria che respiriamo, al cibo, al materiale con cui ci scaldiamo o costruiamo in nostri mobili, le nostre case. L’uomo ha sempre tratto dagli alberi sostentamento, ma adesso è come se dovesse restituire il “favore”, usando la pianta in maniera intelligente. Inoltre lì dove c’è un albero, una villa, un parco, c’è sempre comunità, si crea socialità. Da marzo a ottobre le nostre giornate libere, soprattutto se abbiamo bambini, le passiamo all’aperto, in luoghi verdi. Ecco perché la nostra missione non è solo ricostruire boschi lì dove l’uomo o le calamità li hanno danneggiati, ma è anche ricreare comunità attorno alle città, realizzare boschi urbani accanto al cemento, primo per aiutare a contrastare l’inquinamento e ridurre la presenza di CO2 nell’aria, poi per assorbire calore, perché l’albero vicino a un contesto urbano ha la stessa funzione di un condizionatore in un appartamento, ma anche per creare dei luoghi di ricreazione e socializzazione».

Educare alla cura e alla bellezza


Tra le idee di Alberitalia, tra l’altro c’è anche quella di piantare un albero per ogni bimbo che viene al mondo, dicendogli poi quando sarà grande: «quell’albero è stato piantato per te!». In questo modo si riesce a realizzare una fidelizzazione con l’ambiente e coi valori principali della vita. Locatelli, che gestisce anche un vivaio regionale in Emilia Romagna, è abituato a piantare qualunque tipo di pianta, eppure — dice — «la messa a dimora di un albero è qualcosa che gratifica e sorprende sempre. Stai dando vita ad un’altra vita, un po’ come fanno le mamme coi figli che portano in grembo, sapendo del grande sacrificio che le aspetta, ma anche della gioia immensa che riceveranno in cambio. Trovare dei pinoli di Pino domestico, piantarli nel terreno e vedere che piano piano crescono, ha in sé qualcosa di meraviglioso. Un pino ci mette 5 anni circa a raggiungere un metro di altezza; per svettare impiega 40,50 anni e poi vive di media 150, 200 anni. Ci vuole pazienza e cura, mentre noi in mezz’ora, possiamo abbatterne due insieme. Quando penso ad un esempio assoluto di devozione per il bene della natura oltre ovviamente al nostro san Francesco, mi vengono in mente i frati di Camaldoli. La congregazione camaldolese dell’Ordine di San Benedetto ha come stemma due colombe che bevono dallo stesso calice, come simbolo di connubio tra la cultura orientale e quella occidentale. I frati benedettini in particolare hanno sempre avuto nel dna la cura del bosco e a loro si deve il primo trattato di selvicoltura del 1520. Si tratta, della Regola principe in cui il rapporto con l’ambiente in generale, e con la foresta in particolare, viene normato in maniera chiara, tanto da meritare il titolo di “Codice forestale camadolese”. In più, si tratta del punto di arrivo, e insieme di partenza, di un cammino che da san Romualdo giunge ai nostri giorni. Segno vivo della reciprocità del rapporto uomo‐natura e del principio universale ed inderogabile a cui attenersi nella cura del bosco: i tagli periodici ed isolati, le nuove piantate, le vendite, le funzioni e gli incarichi, la paga degli operai, la manutenzione degli utensili, la raccolta della legna, le pene e le punizioni per chi non rispetta le regole, le eccezioni, le deroghe, e il ruolo sociale del lavoro. Per loro piantare abeti era una sorta di ringraziamento, perché dall’abete avevano tutto, persino, contemplando questi esemplari, la possibilità di raggiungere Dio e le altezze dei cieli».

I progetti già avviati


Sessanta milioni di alberi da piantare dunque ma non in modo insensato, garantendo piuttosto che ciò accada nell’ambiente a loro più consono, nella maniera più corretta possibile per permettere una crescita sicura: una sfida grandissima che, visti i download sul sito della Fondazione al vademecum su “come piantare un albero”, sembra essere stata raccolta nel modo migliore. Tra i progetti della Fondazione c’è però anche la cura e la protezione dei boschi, ricostruzione del patrimonio boschivo come quello di Calci appunto o di Vicopiano, oppure di Pavoneggio (TN) dove la tempesta Vaia ha danneggiato migliaia di esemplari. Ad Adria sono cominciati i lavori per la realizzazione di un nuovo parco urbano; a Bacoli (NA) si recupererà un’area urbana abbandonata. A questi progetti di portata nazionale si aggiunge una piantagione di interesse internazionale, presso Dosolo (Mn) grazie al progetto Life Terra. A Cesena invece, che ha di recente avuto il riconoscimento dello status di Tree City of the World, partirà a breve un progetto che coinvolge città e giovani attraverso la realizzazione di foreste urbane per la produzione alimentare e l’educazione al consumo responsabile: un’iniziativa pilota con l’Istituto tecnico agrario in grado di mettere in relazione l’importanza del cibo buono, pulito e giusto con la tutela delle foreste del pianeta. Un vero e proprio progetto di alfabetizzazione ecologica integrale che possa andare oltre i muri della scuola per divenire un intervento di “agopuntura verde” che irradi benessere in tutta la comunità instillando un rapporto equilibrato tra agricoltura e foresta, perché forse non lo sappiamo, ma l’agricoltura non sempre fa bene al Pianeta, anzi.

di Cecilia Seppia