La febbre del mare

 La febbre del mare  QUO-156
11 luglio 2022

Il mare ha la febbre. La metafora racconta una condizione in via di peggioramento. Nell’ultimo secolo l’aumento della temperatura degli oceani in superficie è stato di 1 °C, pur differente da mare a mare. Il Mediterraneo si scalda di 0,3 °C ogni dieci anni, con un aumento tre volte più rapido rispetto alla media. Una conseguenza inevitabile potrebbe essere l’innalzamento del livello dei mari. L’acqua è destinata a mangiarsi coste, a ricacciare popolazioni all’interno e a rendere città fantasma località dalla gloriosa storia. Quando poi la siccità secca i fiumi, ecco che il mare avanza per chilometri danneggiando habitat e coltivazioni.

La febbre del mare ha causato esodi di specie ittiche. Il Mediterraneo si è popolato di pesci e molluschi tropicali prima assenti, mentre alcune specie rischiano l’estinzione. La pesca familiare soffre i metodi brutali di quella intensiva, che non si fa scrupoli a utilizzare il cianuro e la dinamite pur di accrescere guadagni sul mercato. I pescherecci italiani si stanno assottigliando di mese in mese. Ci ha pensato il rincaro del carburante ad assestare un colpo durissimo ad alcune comunità di pescatori. Qualcuno si ostina a immaginare questi ultimi come gli sfruttatori del mare, mentre in questi anni molti pescatori hanno rivelato la loro autentica vocazione di esserne custodi, grazie alla operazioni di recupero dei rifiuti plastici e alle azioni di ripopolamento del pesce. La scomparsa di queste comunità è un impoverimento dei territori. Oltre al danno del mancato ricambio generazionale, i pescatori pagano la beffa di dover stare in banchina a motori spenti in attesa di tempi migliori. Le drammatiche conseguenze sono sulle spalle di famiglie che vedono assottigliarsi la possibilità di sognare un futuro per loro e per il settore. Nel frattempo, il pescato venduto sui mercati proviene spesso da allevamenti intensivi o da imbarcazioni che praticano pesca illegale. Niente di nuovo sotto il sole: l’interesse privato di qualcuno sembra autorizzare a calpestare il bene comune mare.

La febbre del mare si innalza anche con la tragedia di vite spezzate nel tentativo di raggiungere un approdo di salvezza. Il passaggio dal sud al nord del Mediterraneo è un percorso insidioso. Il mare assiste all’incoerenza umana che ancora distingue quali esistenze salvare e quali no. La penna poetica di Erri de Luca descrive il dramma dei migranti in una preghiera laica:

«Mare nostro che non sei nei cieli,
all’alba sei colore del frumento,
al tramonto dell’uva di vendemmia,
ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste.
Mare Nostro che non sei nei cieli,
tu sei più giusto della terraferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale,
fai da autunno per loro,
da carezza, da abbraccio e bacio in fronte,
di madre e padre prima di partire
».

Inoltre, la febbre del mare è anche la febbre di oltre un milione di marittimi che lavorano sulle navi, trasportando il 90% circa dei beni che circolano nel commercio. Con la pandemia la loro vita si è trasformata in un tormento. I marittimi già imbarcati sono rimasti senza i normali ricambi. Chi ha contratto il virus nello svolgimento del proprio lavoro, è stato costretto a rimanere imbarcato senza cure adeguate. In quest’ultimo periodo si è acutizzato il problema del congedo a terra. In molti porti ai marittimi non è consentito lasciare la nave anche solo per poche ore. Questi lavoratori non godono delle libertà concesse normalmente alle altre categorie di persone. Vengono costretti a permanere a bordo, negando loro il diritto alla libertà di circolazione. Proprio su questa questione si sofferma il Messaggio, firmato dal card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, in occasione della Domenica del Mare 2022. «La pandemia non deve più essere usata come scusa per vietare all’equipaggio di scendere a terra»: si è giunti all’assurdità di chiedere un tampone obbligatorio anche per poche ore di libertà, quasi che in un tempo così ridotto si possa avere evidenze circa la positività di una persona. Due pesi e due misure: l’ingiustizia è servita. Tutto ciò non si spiega se non come paura dell’altro.

Il mare è come il sistema circolatorio dell’economia. Il commercio mondiale sposta merci in container, celle frigorifere, petroliere, metaniere, navi da carico. Da anni il lavoro dei marittimi tiene in piedi il sistema della globalizzazione. Oggi la mancanza di manodopera, la carenza di materie prime e i magazzini portuali al collasso stanno rallentando la circolazione del sangue nell’economia mondiale. L’ingorgo rivela l’importanza del lavoro marittimo e la necessità di riconoscere i loro diritti.

Seneca scriveva che «non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare». Niente di più vero. La nave dell’economia ha potuto viaggiare grazie allo sfruttamento di esistenze e volti anonimi. Il futuro è incerto e tutto sembra essere in discussione, non solo per la guerra in Ucraina e il blocco di grano nei porti del Mar Nero. È il momento di chiederci: «dove vogliamo andare?». Ma per dare una risposta, prima dobbiamo chiederci: «chi vogliamo essere?». Fratelli o nemici? Solo nella fraternità si potrà tornare a navigare con il vento in poppa.

La «tachipirina» in grado di abbassare la febbre del mare si può fabbricare con due ingredienti: la cura per il creato e la fraternità. Urgono farmacisti sociali.

di Bruno Bignami