Il viaggio del cardinale Parolin nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan
L’appello durante la messa celebrata a Juba

Mai più violenza
e conflitti fratricidi

 Mai più violenza  e conflitti fratricidi  QUO-153
07 luglio 2022

«Disarmare il male» col perdono, «disinnescare la violenza» con l’amore, «resistere all’oppressione» con la mitezza. Perché «il male del mondo non si vince con le armi del mondo» e «la pace non si ottiene con la guerra». Il cardinale Pietro Parolin celebra la messa a Juba e, alzando gli occhi al cielo da dove scende una pioggia battente, scandisce: «Mai più violenza, mai più conflitti fratricidi, mai più guerra». Invoca quindi da Dio una benedizione per il Sud Sudan, terra «ricca di risorse e possibilità, ma al contempo oscurata dalla violenza».

In prima fila c’è il presidente Salva Kiir, seduto nella tribuna d’onore allestita sotto un tendone. Al suo fianco, il vice primo presidente Riek Machar. Il segretario di Stato parla ad ognuna delle circa 15 mila persone riunite stamane, giovedì 7 luglio, per la messa che si svolge nel John Garang Mausoleum Park. È il memoriale dedicato al leader del Sudan People’s Liberation Movement/Army e primo vice presidente del Sudan dopo gli accordi di pace. È lo stesso luogo in cui avrebbe dovuto celebrare il Papa.

Il palco è allestito con alcuni dei colori della bandiera del Sud Sudan. Parolin entra in processione, preceduto da un gruppo di giovani donne e uomini che, a piedi nudi, eseguono una danza al suono di pianole e tamburi. Sono presenti tutti i vescovi del Sud Sudan e nell’assemblea sono seduti i leader anglicani, pentecostali, evangelici e di altre confessioni membri del Council of Churches che, prima della messa, hanno incontrato privatamente il cardinale. L’atmosfera è raccolta, più solenne rispetto al tripudio di gioia di ieri nel campo sfollati di Bentiu.

E come a Bentiu, il cardinale inizia la sua omelia portando «il saluto e la benedizione del Santo Padre Papa Francesco, che desiderava tanto essere qui oggi per un pellegrinaggio ecumenico in questo giovane Paese, così pieno di opportunità e così gravemente afflitto».

Il cardinale muove la sua riflessione a partire dal presente del Sud Sudan, dalle sue difficoltà e sfide, ma guarda al futuro e indica. La strada, dice, è quella del Vangelo che offre un messaggio «diverso», cioè «rifiutare di rispondere al male con il male». «Rinunciare alla vendetta...», ripete il cardinale a un popolo piagato da anni di guerra civile. «La carne spinge a rispondere al male in alcuni modi», ma Gesù invita ad aprirsi al «coraggio dell’amore». Un amore che «non è imprigionato nella mentalità dell’“occhio per occhio, dente per dente”, non risolve conflitti con la violenza». Questo, però, «non significa diventare vittime passive, o essere deboli, docili e rassegnati di fronte alla violenza. Al contrario, significa disarmare il male, disinnescare la violenza e resistere all’oppressione».

«Il male del mondo non può essere vinto con le armi del mondo», rimarca Parolin, interrotto dagli applausi. «Se vuoi la pace, non puoi ottenerla con la guerra. Se vuoi giustizia, non puoi ottenerla con metodi ingiusti e corrotti. Se vuoi la riconciliazione, non puoi usare la vendetta. Se vuoi servire i tuoi fratelli e sorelle, non puoi trattarli come schiavi. Se vogliamo costruire un futuro di pace, c’è solo una strada da prendere: amarsi l’un l’altro». Perché «quando lasciamo troppo spazio per risentimento e amarezza del cuore, quando avveleniamo i nostri ricordi con l’odio, quando coltiviamo rabbia e intolleranza, ci distruggiamo».

Da qui la preghiera perché Dio tocchi i cuori di coloro «che detengono posizioni di autorità e grande responsabilità, in modo che si ponga fine alla sofferenza causata da violenza e instabilità e che il processo di pace e riconciliazione possa andare avanti rapidamente con azioni concrete ed efficaci».

Al termine della messa, tra i saluti, anche quello di Salva Kiir che ha ribadito la speranza che il Papa possa venire presto in Sud Sudan e il desiderio di pace nel Paese: «La gente non vuole guerre di nuovo».

L’auspicio di pace è stato ribadito anche nell’incontro con i deputati della Revitalized Transitional National Legislative Assembly, il Parlamento nazionale di transizione. L’invito a visitare la sede è giunto a Parolin ieri pomeriggio. «Ho accettato immediatamente perché sono consapevole della vostra importanza per la democrazia», ha detto il cardinale a una rappresentanza dei circa 500 parlamentari. A loro, l’appello ad «andare avanti, non facendosi bloccare dalle difficoltà» per «il bene e la sicurezza della gente».

Ai rappresentanti del Council of Churches, Parolin ha lasciato invece tre indicazioni. La prima: «Annunciare Cristo che è la risposta a tutte le aspettative delle persone». Poi l’«unità», nonostante le «differenze». Infine, «soddisfare le richieste di giustizia, libertà, e prosperità» della popolazione. È un «duro lavoro» ma bisogna farlo e farlo insieme, ha detto Parolin, confidando la personale commozione nella visita di ieri al campo sfollati di Bentiu: «Mi ha veramente scosso. Molti bambini... Loro ci danno speranza per il futuro. Dobbiamo metterci insieme e unire le forze religiose e politiche per dare giustizia a questa gente».

dall’inviato
Salvatore Cernuzio


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