Il classico dei classici

 Il classico dei classici  QUO-152
06 luglio 2022

Domenica scorsa la Chiesa cattolica ha ricordato la figura dell’apostolo Tommaso, il santo incredulo-credente che rappresenta forse meglio di ogni altro santo l’uomo di ogni tempo e soprattutto di questa confusa epoca che ci è dato vivere. A Tommaso, detto Didimo cioè gemello, forse proprio perché è gemello di ognuno di noi, Gesù offre un “servizio a domicilio”, ritornando apposta per lui perché così fa Gesù, chiedendo spesso nel Vangelo ai suoi interlocutori “Cosa vuoi che faccia per te?”: un servitore, un cameriere, gentile e generoso. Ma qui, quella sera nel Cenacolo, otto giorni dopo, la generosità divina si è superata con quel gesto di mostrare le ferite, lasciarsi toccare. L’immortale opera pittorica di Caravaggio sottolinea come è lo stesso Gesù a prenderci per mano (attraverso la mano di Tommaso) e farci penetrare nel mistero. Il Risorto è lo stesso Crocifisso e si mostra a noi per darci il Vangelo, la buona notizia: la morte è morta.

Viene in mente una riflessione di Alessandro D’Avenia che parte dal significato dell’aggettivo “classico”, che si usa per le opere d’arte e letterarie in particolare. Secondo D’Avenia con questa parola nel linguaggio militare degli antichi romani si indicava il soldato veterano, sopravvissuto a tante battaglie che, forte della sua esperienza, incoraggiava i soldati più giovani proprio mostrando le proprie ferite, come a dire: la guerra è brutta e fa male, ma si può vincere. È l’immagine stessa della letteratura, dell’arte narrativa: sono tornato sano e salvo dall’avventura, ho visto in faccia la morte ma sono sopravvissuto e ora posso raccontare. La letteratura è questione di reduci e ogni storia è storia di salvezza.

Da questo punto di vista Gesù è il “classico del classici”, lui che, unico, è tornato dalla morte per dirci che questa ha perso il suo pungiglione e non ha più l’ultima parola.

E la Chiesa, «esperta di umanità» secondo l’espressione di san Paolo vi , fa la stessa cosa: incoraggia gli uomini non nascondendo ma mostrando le ferite, li rincuora nella loro sfida quotidiana di fronte al mistero della mortalità, alla sofferenza e all’angoscia che dall’essere mortali scaturisce. Il capo visibile della Chiesa, il Papa, lo scorso 17 aprile in occasione del messaggio pronunciato Urbi et Orbi il giorno di Pasqua, si è soffermato sul dono che Gesù fa ai suoi amici quando, appena risorto, appare in carne e ossa davanti ai loro occhi ancora increduli: la pace. E sottolinea proprio questo aspetto delle ferite mostrate e quasi offerte in dono, in pegno, quel giorno per l’eternità: «Solo Lui ha il diritto oggi di annunciarci la pace» ha affermato Papa Francesco, «Solo Gesù, perché porta le piaghe, le nostre piaghe. Quelle sue piaghe sono nostre due volte: nostre perché procurate a Lui da noi, dai nostri peccati, dalla nostra durezza di cuore, dall’odio fratricida; e nostre perché Lui le porta per noi, non le ha cancellate dal suo Corpo glorioso, ha voluto tenerle, portarle in sé per sempre. Sono un sigillo incancellabile del suo amore per noi, un’intercessione perenne perché il Padre celeste le veda e abbia misericordia di noi e del mondo intero. Le piaghe nel Corpo di Gesù risorto sono il segno della lotta che Lui ha combattuto e vinto per noi, con le armi dell’amore, perché noi possiamo avere pace, essere in pace, vivere in pace. Guardando quelle piaghe gloriose, i nostri occhi increduli si aprono, i nostri cuori induriti si schiudono e lasciano entrare l’annuncio pasquale: “Pace a voi!”».

Sin dall’inizio del suo pontificato Papa Francesco ha insistito su questo tema della «carne di Cristo», e ha chiesto, supplicato, affinché si possa trovare la forza per uscire da se stessi e andare verso i fratelli, gli ultimi, i poveri, che sono, oggi e sempre, la carne di Cristo. Oggi che tutto il mondo, Europa compresa, è lacerata dalla ferita della guerra, ripartire proprio dalle ferite, mostrate e toccate, che diventano così fonte di guarigione per gli altri, è l’unica strada, per quanto paradossale, possibile, veramente umana. È la strada che ha intrapreso il giovane “soldato” Tommaso, nostro gemello, incoraggiato dal “classico”, il soldato veterano Gesù, il vincitore.

«Davanti ai segni perduranti della guerra» ha concluso il Papa il suo messaggio pasquale, «come alle tante e dolorose sconfitte della vita, Cristo, vincitore del peccato, della paura e della morte, esorta a non arrendersi al male e alla violenza. Lasciamoci vincere dalla pace di Cristo! La pace è possibile, la pace è doverosa, la pace è primaria responsabilità di tutti!». 

di Andrea Monda