Il viaggio del cardinale Parolin nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan

Da Kinshasa a Juba
per rinnovare l’appello
alla riconciliazione

 Da Kinshasa a Juba  per rinnovare l’appello alla riconciliazione  QUO-151
05 luglio 2022

I passeggeri del volo di Ethiopian Airlines hanno iniziato a guardarsi tra loro negli ultimi minuti di atterraggio per capire a chi fosse riservata l’accoglienza fuori dall’aeroporto di Juba. L’aereo non aveva ancora toccato terra che dall’alto già si sentiva il suono dei tamburi ngoma e dei sonagli alle caviglie delle donne che, all’apparire del velivolo, si sono lasciate andare a uno sfrenato zaghroutah, l’urlo simile a metà tra un canto e un ululato. Il cardinale Pietro Parolin si è poggiato al finestrino: «Ma che bella accoglienza», ha esclamato, mentre le iniziali macchie di colore divenivano via via sempre più nitide: il rosso del lungo tappeto di velluto all’ingresso, l’avorio delle divise dei militari, il giallo, il verde, l’arancione degli abiti tribali di donne e bambini che danzavano con strumenti di paglia nelle mani, gruppi di suore con un fazzoletto bianco sulla testa che agitavano cartelloni di «Welcome in South Sudan».

È iniziata in un’atmosfera che sarebbe riduttivo definire di festa la visita del segretario di Stato a Juba, seconda tappa del viaggio in Africa a nome del Papa. Atterrato alle 10.15, con il sole cocente che picchiava sulla fronte, il porporato è sceso dall’aereo e subito è stato omaggiato con fiori e una collana di perline colorate. Ad attenderlo ai piedi della scalinata c’erano il nunzio apostolico, Hubertus Mathews Maria van Megen, il cardinale Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo emerito di Khartoum, e diversi vescovi in talare bianca, tra cui padre Christian Carlassare, il missionario vicentino vescovo di Rumbek.

Impossibile scambiare un saluto e qualche parola in mezzo a suoni e urla, proseguite anche fuori dalla finestra della lounge room, dove Parolin ha salutato il senior advisor del governo, il generale Kuol Manyang Juuk, giunto a dargli il benvenuto a nome del presidente Salva Kiir. Parolin vedrà quest’ultimo oggi pomeriggio alle 15.30, poco dopo incontrerà il primo vicepresidente, Riek Machar, e infine la Conferenza episcopale. Ad attendere il cardinale fuori dall’aeroporto c’era un piccolo gruppo di giornalisti locali, con i quali Parolin ha condiviso alcune parole, anzitutto per dirsi «colpito da questa accoglienza così incredibile» e poi per esprimere «gratitudine a ognuno di voi, al presidente della Repubblica, ai rappresentanti della Chiesa, a tutta la popolazione del Sud Sudan».

«È una grande gioia per me essere qui e stare qui per qualche giorno per celebrare, pregare, incontrare gente», e farlo «a nome di Papa Francesco che ha sempre a cuore la pace e la riconciliazione del Sud Sudan e segue i buoni sviluppi delle relazioni», ha detto Parolin. «Thank you very, very much», ha concluso il cardinale. «Juba welcome you», ha esclamato Manyang Juuk.

Il porporato si è poi trasferito nella nunziatura apostolica in jeep, unico modello di auto capace di percorrere queste strade dissestate fatte di una terra rossa che si appiccica ai vestiti senza andare più via. Il tragitto era poco distante dall’aeroporto, tuttavia sufficiente per avere pienamente restituita l’immagine di povertà estrema in cui versa la città. Una “grande periferia” puntellata da edifici disposti in maniera disorganica, e baracche di legno, paglia e lamiera, sul ciglio della strada. Al passaggio delle macchine con la bandiera bianco-gialla del Vaticano la gente si gira a guardare, i bambini salutano. Camminano soli ai lati della carreggiata, insieme a gatti e capre, oppure stanno vicino alle mamme in banchetti di vestiti e frutta poggiati sulla fanghiglia, che si fanno ombra sui muri ridipinti con pitture antizanzare.

A questa popolazione sofferente, per le condizioni di vita ma soprattutto per l’instabilità generata da guerre e violenze sedimentate da anni in queste zone, Parolin porta ora la carezza di Papa Francesco. «Rinfrancato dall’esperienza fatta nella Repubblica Democratica del Congo», come ha confidato ai media vaticani questa mattina prima della partenza, il cardinale dice di nutrire la speranza che in Sud Sudan possa realizzarsi una pace duratura: «La situazione, anche quella politica, è molto delicata. Quindi si dovrà continuare, come sempre ha fatto la Santa Sede, ad insistere per la pace perché ci sia capacità di riconciliarsi e trovare degli accordi per chiudere una pagina dolorosa. Si spera anche, con le prossime elezioni del 2023, che ciò possa realizzarsi». «Noi — aggiunge Parolin — ci mettiamo sulla stessa linea del Papa, per ribadire questo invito, questa esortazione, questa preghiera per la pace».

Parolin ha lasciato nel pomeriggio di ieri, 4 luglio, la Repubblica Democratica del Congo per volare verso Addis Abeba, in Etiopia, dove ha sostato una notte. «Quello a Kinshasa — sottolinea — è stato un momento molto bello, intenso e positivo. Le prime impressioni confermano che la visita è servita proprio a portare la presenza e l’affetto del Papa alla popolazione e alla Chiesa che lo attendeva con tanta speranza. Mi auguro che tutto questo possa ripetersi in Sud Sudan».

dall’inviato
Salvatore Cernuzio