L’accoglienza nel santuario mariano di Zarvanytsia

Per asciugare
le lacrime ai profughi

 Per asciugare  le lacrime ai profughi  QUO-148
01 luglio 2022

«Facciamo tutto il possibile perché gli sfollati che arrivano qui, non si chiudano in se stessi, non si scoraggino, ma sentano che in questa tragedia, in questo affanno non sono soli, abbandonati, e che la Chiesa gli tende la mano», dice don Ivan Sichkaryk, il sacerdote greco-cattolico dell’Arcieparchia di Ternopil-Zboriv (Ucraina dell’ovest), raccontando dell’accoglienza che offrono agli sfollati nel santuario mariano di Zarvanytsia, uno dei più famosi non solo in Ucraina.

Proprio qui, il 25 marzo scorso, nel giorno in cui Papa Francesco ha consacrato l’umanità, in particolare Ucraina e Russia, al Cuore Immacolato di Maria, il capo della chiesa greco-cattolica, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, ha pronunciato le stesse parole dell’atto della consacrazione collegandosi con la Basilica di San Pietro e altri santuari del mondo. Il 31 maggio in questo santuario si sono radunati il clero ed i fedeli per collegarsi in streaming con la preghiera di Rosario per la pace, presieduta da Papa Francesco a Santa Maria Maggiore.

E mentre prima della guerra, Zarvanytsia accoglieva tanti pellegrini per offrire loro nutrimento spirituale, negli ultimi quattro mesi questo posto ha aperto le braccia a tutti quelli che scappavano dall’est, nord e sud dell’Ucraina, ovvero dalle zone più colpite dall’invasione russa. Oltre 500 persone qui hanno trovato alloggio: alcuni sono rimasti più a lungo; altri, dopo un breve periodo, hanno proseguito per altri luoghi nell’ovest del Paese o all’estero.

«Sul territorio del santuario — spiega don Ivan — abbiamo tre Case per esercizi spirituali, che la nostra Arcieparchia ha messo a disposizione per accogliere i profughi. Una di queste l’abbiamo aperta recentemente, ci siamo sbrigati a finire i lavori di ricostruzione perché, come vediamo, i combattimenti non si fermano e le persone che stanno scappando da quei territori hanno bisogno di trovare un posto in cui vivere».

Aiutare a superare lo stato di shock

«Qui offriamo loro alloggio, pasti, vestiti e medicine — . Se c’è bisogno, chiamiamo anche medici e se qualcuno ha un problema più serio lo portiamo nelle strutture ospedaliere vicine. Tante persone sono venute qui dopo aver trascorso alcune settimane nei rifugi, al freddo. Alcuni avevano il raffreddore o altri problemi di salute».

«Sono arrivata qui con due figli di 10 e 13 anni — racconta Olena, originaria di Zaporizhia — Nella nostra città abbiamo trascorso una settimana nei rifugi, faceva freddo e dormivamo indossando le scarpe e vestiti, c’era tanta paura e per questo abbiamo deciso di partire. Per arrivare fin qui abbiamo impiegato quattro giorni, perché c’erano lunghe file di macchine. Stavano per finire sia il cibo che l’acqua e i negozi erano chiusi. Nell’ovest dell’Ucraina non conoscevamo nessuno e mentre eravamo in viaggio, abbiamo contattato questo santuario e ci hanno detto che potevano accoglierci. Ero contentissima. Non mi dimenticherò mai la mezzanotte del 6 marzo: quando siamo arrivati qua, ho visto il bosco, la chiesa e circa dieci giovani seminaristi che ci aspettavano. Non ho parole per descrivere quanto apprezzo l’amore con il quale ci anno accolti».

Don Ivan dice che, nei primi giorni dopo l’arrivo, gli sfollati non riescono nemmeno a parlare tanto è lo shock: hanno perso tutto e non capiscono cosa stia succedendo. «Solo dopo una settimana — continua il sacerdote — cominciano a rielaborare quello che è successo nella loro vita e allora possiamo proporre loro di parlare con i sacerdoti e gli psicologi per stabilire un contatto e fare tutto il possibile affinché non si chiudano in se stessi, non si scoraggino, ma sentano che in questa tragedia, in questo affanno non sono soli, abbandonati, che la Chiesa tende loro la mano».

La guarigione dell’anima in un luogo sacro

Da sempre il santuario di Zarvanytsia è aperto ai pellegrini di diverse confessioni. Anche adesso l’accoglienza viene offerta a tutti i bisognosi. «Proviamo compassione verso queste persone— afferma don Ivan Sichkaryk —e qui, attraverso l’esperienza diretta, esse possono scoprire che questo è un luogo sacro. Organizziamo per i profughi vari corsi di formazione, gite, escursioni anche per aiutarli a distrarsi da quei pensieri opprimenti, dal ricordo che hanno perso tutto: parenti, casa, lavoro, mezzi di sussistenza. La guerra, in modo estremamente brutale, distrugge le sorti umane. Per questo, psicologi e sacerdoti cercano ad aiutare i profughi a superare questo momento drammatico e a riscoprire che la vita continua, c’è speranza e che Dio continua a guidarci attraverso certe persone e determinate circostanze. Vogliamo che loro vedano la Chiesa non è solo nel “formato” di un Padre nostro e un’Ave Maria, ma capiscano che la Chiesa è madre che serve e aiuta in modi diversi».

«Sto qui da tre mesi — continua Olena — e questa esperienza mi ha aiutato a capire che cosa conta veramente nella vita: le relazioni umane, la bontà, l’amore che ci hanno mostrato qui e che non avevo mai visto prima. Qui abbiamo imparato tante cose. Ho riscoperto anche il valore del lavoro sulla terra: mi piace piantare i fiori, cosa per la quale prima non trovavo mai tempo. E questi seminaristi giovanissimi parlano con tanto rispetto sia con noi, che tra di loro».

Il sacerdote greco-cattolico racconta che alcuni profughi hanno partecipato al Rosario per la pace in collegamento con la Basilica Santa Maria Maggiore. Alcune coppie unite civilmente, dopo il periodo di preparazione, hanno deciso di ricevere il sacramento di matrimonio, altri hanno chiesto battesimo per loro figli. «Qui tante persone hanno riscoperto il valore dei rapporti umani, della vita e della benedizione di Dio — afferma don Ivan—. Infatti, la loro permanenza in un luogo sacro li aiuta non solo a ricevere alloggio e cibo, ma anche ad essere toccate dall’amore di Dio attraverso il servizio che offriamo».

Nella sofferenza. la Sacra Scrittura indica la strada

«Sono arrivata da Kharkiv con due figli e un nipotino di tre anni — racconta Oksana —, qui mi sento bene, è un posto che fa guarire l’anima. Però, dall’altra parte, l’anima fa male per tutta l’Ucraina e per la nostra città che viene continuamente bombardata da quasi quattro mesi». C’è tanto dolore e tanta paura in guerra. Don Ivan Sichkaryk, che ha conseguito il dottorato in Teologia biblica all’università Gregoriana, cerca di spiegare i momenti bui della vita alla luce della Sacra Scrittura. «Noi cristiani che siamo persone di fede, o almeno cerchiamo di esserlo —spiega — abbiamo ricevuto il pegno della salvezza attraverso il sacramento di battesimo. Nella vita, ci sono delle situazioni simili a quella vissuta da Mosè con il popolo eletto davanti al mar Rosso: davanti c’è il mare, alle spalle l’esercito del Faraone, cioè nessuna via d’uscita. E i cristiani sono persone che vedono la situazione grave, in cui sembra che tutto sia finito, ma dentro di loro, attraverso la fede, si rivolgono al Signore con la preghiera: “Credo ancora che ci aiuterai ad uscire da questa situazione e ci salverai”. Ecco perché è così importante sentire questa presenza viva di Dio nella nostra vita attraverso la preghiera. Perché nulla succede per caso, Dio guida la storia e a Lui affidiamo la nostra vita. Da qui nasce la speranza che ci spinge a fare cose concrete, ad aiutare gli altri. Quante persone in questi eventi drammatici hanno scoperto che possono essere utili, possono servire, fare anche qualcosa di piccolo che poi diventa qualcosa di più grande e indispensabile!».

«Soltanto nella luce della Provvidenza Divina riesco a spiegarmi il fatto che siamo capitati proprio qui — dice Zhanna, anche lei di Kharkiv — perché dopo aver passato una settimana nei rifugi non sapevamo dove andare. Adesso siamo in un posto in cui ci hanno accolti con amore e cura. L’amore verso il prossimo è proprio questo e si è realizzato così nei nostri confronti».

di Svitlana Dukhovych