Hic sunt leones
Oggi più che mai occorre raccontare il Sud del mondo con una corretta informazione

«News not in the news»

 «News not  in the news»   QUO-148
01 luglio 2022

Mai come oggi è necessario aiutare l’opinione pubblica a comprendere l’attualità, vale a dire quei fatti e quegli accadimenti che avvengono sul palcoscenico della storia contemporanea. Se da una parte è evidente che dal 24 febbraio scorso, giorno in cui l’esercito russo ha invaso l’Ucraina, è stata data una grande rilevanza mediatica a questo conflitto da parte delle testate giornalistiche internazionali; dall’altra il continente africano, come tante altre realtà del Sud del mondo, è precipitato nel cosiddetto dimenticatoio. Certamente, sarebbe ingiusto fare di tutte le erbe un fascio, anche se il trend prevalente dell’informazione main stream è generalista.

A parole si afferma che viviamo in un «villaggio globale»; ma se così fosse le notizie dovrebbero schizzare alla velocità della luce, grazie alle innovazioni della moderna tecnologia. Eppure, ironia della sorte, sono davvero pochi gli eletti che conoscono le tragedie del Sud del mondo dove i diritti della persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, vengono sistematicamente violati. Ecco che allora la cronaca del Corno d’Africa, macroregione investita in questi mesi da una siccità e conseguente carestia senza precedenti, non trova risalto sulla grande stampa. Per non parlare, poi, delle numerose crisi armate che insanguinano l’Africa sub-sahariana di cui si parla in occasione di fatti al contempo tragici ed eclatanti, come il recente attentato alla chiesa dedicata a san Francesco Saverio nella città nigeriana di Owo, o l’uccisione, avvenuta lo scorso anno, dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci nel Nord Kivu. A volte si ha addirittura la sensazione che l’essenziale, per chi opera nel mondo della stampa, non sia informare di quanto succede in altri Paesi, ma di competere come se l’informazione fosse una gioco in cui gli uni sorvegliano gli altri. Ne consegue che quando scoppia una crisi internazionale, come quella ucraina, tutte le principali testate catapultino i loro inviati nello stesso unico posto e in quello si radunino a frotte. Il resto del mondo non esiste o almeno è virtualmente sospeso per rispondere a presunte esigenze di mercato.

Così, per avere un panorama più completo sul Sud del mondo bisogna rivolgersi ad un mensile estero del calibro di «Le Monde Diplomatique», ad esempio, o all’editoria specializzata di matrice laica come, nel caso del mercato editoriale italiano, può essere «Limes», nota rivista di geopolitica internazionale o alla puntuale rassegna stampa del settimanale «Internazionale». Oppure occorre rivolgersi a quella d’estrazione cattolica come nel caso di questo giornale o legata al volontariato internazionale. Meritoria, anche se non sempre abbastanza conosciuta, è l’opera delle testate della Fesmi (Federazione stampa missionaria italiana) che, grazie al network dei missionari, si sforzano di dare voce al Sud del mondo.

Se da una parte è vero che in rete vi sono numerosi siti d’informazione indipendenti, l’impatto mediatico sul grande pubblico è determinato dal circuito main stream. Alla luce di queste considerazioni occorre dunque ribadire, facendo tesoro dell’illuminato magistero di Papa Francesco, come sia necessario rilanciare la questione etica. Si tratta in sostanza di riconciliare le esigenze del mercato con la sfera dei valori, troppe volte lasciata nel cassetto.“In-formare” significa letteralmente “dare forma”, “plasmare, modellare secondo una determinata forma, struttura”. Purtroppo oggi il prefisso “in-” è negativo anziché accrescitivo… Ne risulta per contrasto una realtà “in-forme”, “in-formale”… Ma l’informazione, nell’accezione positiva, è la notizia, il dato che fornisce elementi di conoscenza, cioè che informa su qualcosa.

Viene allora spontaneo chiedersi in che senso una corretta informazione possa dare forma alla realtà internazionale, unitamente alla vita delle Chiese. La risposta è che informando si dà forma alla realtà, informare equivale a “dare ordine”, sia nel senso letterale di eliminazione del disordine, sia nel senso più ampio di riduzione della complessità, cioè di semplificazione con lo scopo certamente non di banalizzare, ma rendere la realtà maggiormente intelligibile. Purtroppo, la mercificazione a cui è sottoposto l’intero comparto massmediale, il clientelismo imposto da alcuni potentati del sistema massmediale, nonché l’emissione affannosa di notizie resa necessaria dalle regole della comunicazione in tempo reale, rappresentano un forte limite nel raccontare i fatti e gli accadimenti su scala planetaria, in particolare quelli che si verificano in Africa. Emblematici sono i casi della guerra tuttora in corso nel Tigray, regione secessionista dell’Etiopia, per non parlare della crisi somala o di quella che investe il triangolo geografico compreso tra Mali, Niger e Burkina Faso. Fenomeni, questi, che generano l’esodo di milioni di persone, ma quasi mai correttamente e puntualmente raccontati dalla grande stampa. Col risultato che quando si verificano gli sbarchi di profughi sulle coste europee ci si sofferma solo sulla cronaca immediata, senza spiegare le vere ragioni della mobilità umana. E cosa dire di coloro che perdono la vita risucchiati nel Mare Nostrum o Mare Monstrum che dir si voglia? Chi scrive, è rimasto profondamente colpito dal “maxi respingimento” avvenuto proprio nelle acque del Mediterraneo di cui sopra il giorno in cui si celebrava in tutto il mondo cattolico la solennità liturgica del Corpus Domini.

Le fonti sono Watch The Med Alarm Phone, meglio nota come Alarm Phone, organizzazione creata nell’ottobre del 2014 da una rete di attivisti della società civile in Europa e Nord Africa e l’associazione Mediterranea. Il primo organismo ha istituito un numero di emergenza auto-organizzato per migranti in difficoltà nel Mar Mediterraneo, il +334 86 51 71 61, distribuito capillarmente tra le comunità di migranti e rifugiati in transito. La seconda si è prodigata assieme ad Alarm Phone nell’intercettare i soccorsi. Ebbene, questo è parte del testo diramato da Mediterranea nel giorno del Corpus Domini: «Abbiamo saputo che circa 100 nostri fratelli e sorelle si trovavano alla deriva in acque internazionali e tramite i programmi di tracciamento abbiamo visto che ben 3 navi mercantili italiane si trovavano molto vicine, a circa 10 miglia dai nostri fratelli e sorelle. Abbiamo così iniziato il sistema di pressione pubblico e privato, sia sulle autorità sia sulle compagnie armatoriali delle navi: tutti sapevano che i nostri fratelli e sorelle erano vicini e stavano annegando, ma nessuno voleva intervenire. Le compagnie armatoriali delle navi presenti in zona ci hanno detto che avrebbero salvato quelle persone solo se le autorità glielo avessero chiesto: ma soccorrere è un dovere, anche se le autorità non te lo dicono o ti dicono di non farlo! Le autorità hanno scelto di non far salvare quelle persone perché quello che volevano è che le persone tornassero in Libia. E così è avvenuto: dopo molte ore, è intervenuta la cosiddetta Guardia costiera libica, che ha catturato quelle persone deportandole e relegandole nei lager».

Particolarmente toccante il commento finale del comunicato: «Ci chiediamo come possiamo celebrare serenamente la solennità del Corpus Domini quando nelle stesse ore il nostro Paese fa deportare nei lager libici 100 ultimi del mondo, nei quali si prolunga il corpo di Gesù. Questo è stato il respingimento di oggi: il respingimento e la deportazione nei lager libici del corpo di Gesù, che si prolunga nella carne di quelle 100 persone, proprio nel giorno si adora in modo particolare il corpo del Signore». Sono parole toccati che mettono in evidenza una delle tante notizie che tutti dovrebbero conoscere, ma quasi mai mediatizzate (nel gergo angolosassone: News not in the news), nella consapevolezza che l’informazione, eticamente parlando, è la prima forma di solidarietà.

di Giulio Albanese