Brunori Sas e l’«anestesia» in cui viviamo

In un mondo
inutilmente diviso

 In un mondo inutilmente diviso   QUO-148
01 luglio 2022

E alla terza canzone del suo primo concerto romano Dario Brunori (in arte Brunori sas) canta che «Il mondo si divide / fra chi pensa che i violenti debbano essere trattati con violenza / E chi pensa che con la violenza invece non si ottenga / nient’altro che violenza» e molti, forse tutti i migliaia di spettatori venuti a gremire la Cavea dell’Auditorium e a cantare tutti insieme a squarciagola le canzoni “contro la paura” del cantautore calabrese, volano con la mente e l’immaginazione a Kiev e pensano all’invasione russa. E pensano al mondo diviso, che si divide, su tutto. «Ma c’è un universo solo» ci ricorda Brunori, un universo «Che unisce il cielo e il mare».

È un leit motiv delle sue agrodolci canzoni: si è perso il centro e tutto è in frantumi, però «da qualche parte nell’universo c’è un posto che puoi chiamare casa» come canta Dylan, deve esistere un punto di riconciliazione, di sutura delle ferite che ci segnano e a volte ci fiaccano.

Brunori canta questa “fiacca” per cui spesso non riusciamo a volare alto, però almeno il minimo della vita lo cerchiamo, lo riscopriamo: «E stanotte io voglio solo respirare/ Con l’acqua fino al collo/ E gli occhi dritti al cielo/ Io stanotte voglio stare un po’ leggero». Predica la leggerezza Brunori o, addirittura, la superficialità ma sembra non crederci lui per primo. Certo non ci credono i suoi fans che lo ascoltano con un mix di divertimento e attesa vissuta nella massima serietà, perché invece c’è qualcosa qui, nei suoi versi, altro che superficialità, c’è spazio anche per la pietà: «Il mondo si divide/ Fra chi pensa che i falliti debbano essere trattati come tali / E chi pensa che rialzarsi bene dopo una caduta/ Sia il meglio della vita».

Certo, tutto condito con ironia: «spesso è così bello ridere del mio cervello» per cui bisogna riconoscerlo che: «Dividere le cose / È un gioco della mente / Il mondo si divide inutilmente».

Allora il segreto della vita sta nel prendersela e gustarla tutta intera, senza selezionare contando sull’illusione del controllo, perché, canta ne La verità, «tutto questo rischio calcolato/ Toglie il sapore pure al cioccolato / E non ti basta più». Ancora una volta, senza divisioni o contrapposizioni manichee ma vivere accogliendo tutto, anche le apparenti opposizioni, con gioiosa saggezza perché «il dolore serve/ proprio come serve la felicità». E invece il dolore lo abbiamo voluto rimuovere, grande tentazione e insieme grave errore: «Se c’è una cosa che mi fa spaventare/ del mondo occidentale è questo imperativo di rimuovere il dolore». Brunori con l’aria e la voce disincantata ci racconta di un mondo “an—estetizzato” nel doppio significato della parola: senza il dolore e senza la bellezza, perché le due cose stanno insieme; il giochino mentale del dividere si riconferma inutile quanto pericoloso.

La vita allora va gustata fino in fondo ma per farlo bisogna tuffarsi, sporcarsi: «Secondo me ci siamo troppo imborghesiti/Abbiamo perso il desiderio/ di sporcarci un po’ i vestiti» e questo ci porta alla sindrome di George Gray, il protagonista della poesia omonima di E.L. Masters con la sua nave chiusa in un porto che anela il mare eppur lo teme: «Te ne sei accorto, sì/ Che passi tutto il giorno a disegnare/ Quella barchetta ferma in mezzo al mare / E non ti butti mai».

In fondo Brunori, nonostante ce la metta tutta a seminare il suo sentiero di tracce depistanti, ci crede per davvero in questa bellezza che ci circonda e ci scommette, invitandoci a fare lo stesso; una bellezza che chiede solo una cosa, un pizzico di curiosità e di stupore: «Secondo me, secondo me / Io vedo il mondo solo secondo me / chissà com’è invece il mondo visto da te». Io e te, insieme, uniti, non divisi.

di Andrea Monda