Il magistero

30 giugno 2022

Sabato 25

Nel fuoco
dei tempi
nuovi

Saluto Don Tarcisio Gregorio Vieira, riconfermato Superiore Generale dei Figli della Divina Provvidenza, e voi tutti, cari membri della Famiglia carismatica Orionina... una “pianta unica con molti rami”, formata da religiosi, religiose, consacrate secolari e laici, tutti alimentati dal medesimo carisma di San Luigi Orione, del quale ricorre quest’anno il 150° anniversario della nascita, avvenuta a Pontecurone (Alessandria), il 23 giugno 1872.

Benedico con voi il Signore, che da quel seme ha fatto crescere una pianta grande, che dà accoglienza, riparo e ristoro a tante persone, soprattutto quelle più bisognose e infelici.

Sentite viva la forza del carisma, sentite l’impegno che esso richiede per essere seguaci e familiari di un grande testimone della carità di Cristo; l’impegno di rendere presente, con la vita e l’azione, il fuoco di questa carità nel mondo di oggi, segnato dall’individualismo e dal consumismo, dall’efficienza e dall’apparenza.

Scriveva Don Orione agli inizi del Novecento: «Noi viviamo in un secolo che è pieno di gelo e di morte nella vita dello spirito; tutto chiuso in sé stesso, nulla vede che piaceri, vanità e passioni e la vita di questa terra, e non più».

E si domandava: «Chi darà vita a questa generazione morta alla vita di Dio, se non il soffio della carità di Gesù Cristo? […] Noi dobbiamo dunque chiedere a Dio non una scintilla di carità, […] ma una fornace di carità da infiammare noi e da rinnovare il freddo e gelido mondo, con l’aiuto e per la grazia che ci darà il Signore».

Voi, Figli della Divina Provvidenza, come tema del Capitolo Generale da poco concluso, avete scelto un’espressione tipica dell’ardore apostolico di Don Orione: «Facciamoci il segno della croce e gettiamoci fidenti nel fuoco dei tempi nuovi per il bene del popolo».

Ci vuole coraggio!

Per favore, che il fuoco non resti solo nel vostro focolare e nelle vostre comunità, e neppure solo nelle vostre opere, ma che possiate “gettarvi nel fuoco dei tempi nuovi per il bene del popolo”.

Gesù disse: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!».

Il fuoco di Cristo è fuoco buono, non è per distruggere, come avrebbero voluto Giacomo e Giovanni quando chiesero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?».

No, non è quel fuoco. Gesù rimproverò i due fratelli.

Il suo è un fuoco di amore, un fuoco che accende il cuore delle persone, un fuoco che dà luce, riscalda e vivifica.

Nella misura in cui arde in voi la carità di Cristo, la vostra presenza e la vostra azione diventa utile a Dio e agli uomini, perché — scriveva san Luigi — «la causa di Cristo e della Chiesa non si serve che con una grande carità di vita e di opere, la carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio. Opere di cuore e di carità cristiana ci vogliono! E tutti vi crederanno».

Nel Capitolo avete messo al centro del rinnovamento la relazione con Dio, cuore della vostra identità.

Il fuoco si alimenta ricevendolo da Dio con la vita di preghiera, la meditazione della Parola, la grazia dei Sacramenti.

Don Orione fu uomo di azione e di contemplazione.

Per questo esortava: «Gettiamoci ai piedi del Tabernacolo», e anche: «Gettiamoci ai piedi della croce», perché «amare Dio e amare i fratelli sono due fiamme di un solo sacro fuoco».

Cari fratelli e sorelle della Famiglia Orionina, oggi essere discepoli missionari, inviati dalla Chiesa, non è prima di tutto un fare qualcosa, un’attività; è un’identità apostolica alimentata continuamente nella vita fraterna della comunità religiosa o della famiglia.

È importante curare la qualità della vita comunitaria, le relazioni, la preghiera comune: questo è già apostolato, perché è testimonianza.

Se tra noi c’è freddezza, o, peggio, giudizi e pettegolezzi, che apostolato vogliamo fare?

Per favore, niente chiacchiericcio... è un tarlo che corrompe e uccide la vita di una comunità, di un ordine religioso.

So che non è facile, questo vincere il chiacchiericcio e qualcuno mi domanda: “Ma come si può fare?”.

C’è una medicina molto buona: morderti la lingua. Ti farà bene!

La testimonianza dell’amore nella comunità religiosa e nella famiglia è la conferma dell’annuncio evangelico, è la “prova del fuoco”.

«Una comunità bella, forte — sono parole di Don Orione — e dove vive piena concordia dei cuori e la pace, non può non essere cara, desiderevole e di edificazione a tutti».

E diventa attraente anche di nuove vocazioni.

Infine, vorrei tornare sull’esortazione a “gettarsi nel fuoco dei tempi nuovi”.

Questo richiede di guardare il mondo di oggi da apostoli, cioè con discernimento ma con simpatia, senza paura, senza pregiudizi, con coraggio.

Guardare il mondo come lo guarda Dio, sentendo nostri i dolori, le gioie, le speranze dell’umanità.

La Parola-guida rimane quella di Dio a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo […]. Sono sceso per liberarlo».

Dobbiamo vedere le miserie di questo nostro mondo come la ragione del nostro apostolato e non come un ostacolo.

Il vostro Fondatore diceva: «Non basta piagnucolare sulla tristezza dei tempi e degli uomini, e non basta dire: O Signore! O Signore! Niente rimpianto di un’età passata. Niente spirito triste, niente spirito chiuso. Avanti con serena e imperturbabile operosità».

Il nostro tempo chiede di aprirci a nuove frontiere, di scoprire nuove forme di missione.

Guardiamo a Maria, Vergine dell’intraprendenza e della premura, che parte in fretta da casa e si mette in strada per andare ad aiutare la cugina Elisabetta.

E là, nel servizio, Maria ebbe la conferma del piano della provvidenza di Dio.

A me piace pregarla come “Nostra Signora in fretta”: non perde tempo, va e fa.

(Ai partecipanti al capitolo generale dei Figli della Divina Provvidenza con delegati della famiglia carismatica fondata da san Luigi Orione)

Domenica, 26

Da Gesù
a scuola
di calma
e pazienza

Il Vangelo ci parla di una svolta: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme».

Così inizia il “grande viaggio” verso la città santa, che richiede una speciale decisione perché è l’ultimo.

I discepoli, pieni di entusiasmo ancora troppo mondano, sognano che il Maestro vada incontro al trionfo.

Gesù invece sa che a Gerusalemme lo attendono il rifiuto e la morte.

Sa che dovrà soffrire molto; e ciò esige una ferma decisione.

Così va con passo deciso verso Gerusalemme. È la stessa decisione che noi dobbiamo prendere, se vogliamo essere discepoli di Gesù.

In che cosa consiste questa decisione? Perché noi dobbiamo essere discepoli di Gesù sul serio, con vera decisione, non — come diceva una vecchietta che ho conosciuto — “cristiani all’acqua di rose”.

Ci aiuta a capirlo l’episodio che l’Evangelista Luca racconta subito dopo.

Mentre erano in cammino, un villaggio di Samaritani, avendo saputo che Gesù era diretto a Gerusalemme — che era la città avversaria —, non lo accoglie.

Gli apostoli Giacomo e Giovanni, sdegnati, suggeriscono a Gesù di punire quella gente facendo scendere un fuoco dal cielo.

Gesù non solo non accetta la proposta, ma rimprovera i due.

Essi vogliono coinvolgerlo nel loro desiderio di vendetta e Lui non ci sta.

Il “fuoco” che Lui è venuto a portare sulla terra è un altro, è l’Amore misericordioso del Padre.

E per far crescere questo fuoco ci vuole pazienza, ci vuole costanza, ci vuole spirito penitenziale.

Giacomo e Giovanni invece si lasciano prendere dall’ira.

E questo capita anche a noi, quando, pur facendo del bene, magari con sacrificio, anziché accoglienza troviamo una porta chiusa.

Viene allora la rabbia: tentiamo perfino di coinvolgere Dio stesso, minacciando castighi celesti.

Gesù invece percorre un’altra via, non la via della rabbia, ma quella della ferma decisione di andare avanti, che, lungi dal tradursi in durezza, implica calma, pazienza, longanimità, senza tuttavia minimamente allentare l’impegno nel fare il bene.

Questo modo di essere non denota debolezza ma, al contrario, una grande forza interiore.

Lasciarsi prendere dalla rabbia nelle contrarietà è facile, è istintivo.

Ciò che è difficile invece è dominarsi, facendo come Gesù che si mise «in cammino verso un altro villaggio».

Questo vuol dire che, quando troviamo delle chiusure, dobbiamo volgerci a fare il bene altrove, senza recriminazioni.

Così Gesù ci aiuta a essere persone serene, contente del bene compiuto e che non cercano le approvazioni umane.

Adesso domandiamoci: a che punto siamo noi? Davanti alle contrarietà, alle incomprensioni, ci rivolgiamo al Signore, gli chiediamo la sua fermezza nel fare il bene?

Oppure cerchiamo conferme negli applausi, finendo per essere aspri e rancorosi quando non li sentiamo?

Quante volte, più o meno consapevolmente, cerchiamo applausi, approvazione? Dobbiamo fare il bene per il servizio e non cercare gli applausi.

A volte pensiamo che il nostro fervore sia dovuto al senso di giustizia per una buona causa, ma in realtà il più delle volte non è altro che orgoglio, unito a debolezza, suscettibilità e impazienza.

Chiediamo a Gesù la forza di essere come Lui, di seguirlo con ferma decisione in questa strada di servizio.

Di non essere vendicativi, di non essere intolleranti quando si presentano difficoltà, quando ci spendiamo per il bene e gli altri non lo capiscono, anzi, quando ci squalificano.

Silenzio e avanti.

La Vergine Maria ci aiuti a fare nostra la ferma decisione di Gesù di rimanere nell’amore fino in fondo.

(Angelus in piazza San Pietro)

Lunedì 27

Un’unica fede per diverse culture

La missione di Gesù [è]: «Andate, date testimonianza, predicate il Vangelo». Ma sappiamo che, una volta che abbiamo battezzato, la comunità che nasce da quel Battesimo è libera, è una nuova Chiesa

E noi dobbiamo lasciarla crescere, aiutarla a crescere con le proprie modalità, con la propria cultura.

È questa la storia dell’evangelizzazione. Tutti uguali in quanto alla fede: credo in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, il Figlio che si è incarnato, è morto e risorto per noi, lo Spirito che ci aiuta e ci fa crescere: la stessa fede.

Ma tutti con la modalità della propria cultura o della cultura del posto dove è stata predicata la fede.

E questo lavoro, questa ricchezza pluriculturale del Vangelo, che nasce dalla predicazione di Gesù Cristo e si fa cultura, è un po’ la storia della Chiesa.

Tante culture ma lo stesso Vangelo. Tanti popoli, lo stesso Gesù Cristo. Tante buone volontà, lo stesso Spirito.

A questo siamo chiamati: andare avanti con la forza dello Spirito, portando il Vangelo nel cuore e nelle mani.

Il Vangelo di Gesù Cristo, non il mio..., che si adegua alle diverse culture, ma è lo stesso.

La fede cresce, si incultura, ma è sempre la stessa.

Questo spirito missionario, cioè di lasciarsi inviare, è un’ispirazione per tutti voi.

Vi ringrazio di questo, e vi chiedo docilità allo Spirito che vi invia, e obbedienza a Gesù Cristo nella sua Chiesa.

Tutto nella Chiesa, niente fuori dalla Chiesa. Questa è la spiritualità che deve accompagnarci sempre.

Predicare Gesù Cristo con la forza dello Spirito nella Chiesa e con la Chiesa.

E quello che è il capo delle diverse Chiese è il vescovo: sempre andare avanti con il vescovo. È lui il capo della Chiesa, in questo Paese, in questo Stato…

Andate avanti. Coraggio! Grazie della vostra generosità.

Non dimenticatevi dello sguardo di Gesù, che ha inviato ognuno di voi a predicare e a obbedire alla Chiesa.

(Alle Comunità Neocatecumenali)