In Sierra Leone con padre Boa e i ragazzi amputati dalla guerra

La capacità di “dare”

 La capacità di “dare”   QUO-143
24 giugno 2022
Una messa domenicale celebrata a metà degli anni Novanta al campo profughi di Waterloo, una trentina di chilometri da Freetown, capitale di una Sierra Leone già teatro dal 1991 di una sanguinosa guerra civile, protrattasi fino al 2002, con un bilancio di almeno 50.000 vittime, per alcune fonti addirittura più di 120.000. È quella che ha cambiato la vita di padre Maurizio Boa, missionario dei Giuseppini del Murialdo, dal 1995 nel Paese dell’Africa occidentale. Era arrivato da poco a Freetown, quando fu indirizzato all’ex campo d’aviazione della seconda guerra mondiale, il cui nome richiama la battaglia che sancì la sconfitta di Napoleone. L’Onu nella zona aveva cominciato a costruire delle tende per i profughi e per coloro a cui era stato amputato un arto, vittime delle atroci violenze del Ruf, il ...

Questo contenuto è riservato agli abbonati

paywall-offer
Cara Lettrice, caro Lettore,
la lettura de L'Osservatore Romano in tutte le sue edizioni è riservata agli Abbonati