Il magistero

 Il magistero  QUO-142
23 giugno 2022

Venerdì 17

Superare
l’egoismo
che genera conflitti

Lo scopo della vostra visita è commemorare il cinquantesimo anniversario dello storico incontro del diciassettesimo Patriarca Supremo Buddista della Thailandia, con il Papa San Paolo vi , il 5 giugno 1972.

Abbiamo assistito a una crescita graduale e costante del “dialogo amichevole e della stretta collaborazione” tra le nostre tradizioni religiose.

Ricordo la visita della delegazione thailandese il 16 maggio 2018, con la traduzione di un antico manoscritto buddista.

E serbo gioiosa memoria della mia visita nel vostro amato Paese, dal 20 al 23 novembre 2019.

In un momento in cui la famiglia umana e il Pianeta si trovano ad affrontare molteplici minacce, un dialogo amichevole e una stretta collaborazione sono più necessari.

Sentiamo il grido di un’umanità ferita e di una Terra lacerata.

Il Buddha e Gesù hanno compreso la necessità di superare l’egoismo che genera conflitti e violenza.

È nostro compito oggi guidare i fedeli a un senso più vivo della verità che siamo tutti fratelli e sorelle.

Dovremmo lavorare insieme per coltivare la compassione e l’ospitalità per tutti, specialmente poveri e emarginati.

(Alla delegazione buddista dell’assemblea sangha di Chetuphon, Thailandia)

C’è bisogno
di preti maturi esperti
in umanità

Il 150° anniversario della rivista La Scuola Cattolica, espressione del Seminario Arcivescovile di Milano, invita a interrogarsi sul compito a cui è chiamata oggi una scuola di teologia e sul ruolo di una rivista come la vostra.

Mi piace immaginare questa rivista come la vetrina di una bottega, dove un artigiano espone i suoi lavori e si può ammirare la sua creatività.

Quanto maturato nei laboratori delle aule accademiche, nell’esercizio paziente della ricerca e della riflessione, del confronto e del dialogo, merita di essere condiviso e reso accessibile agli altri.

1. La teologia è servizio alla fede viva della Chiesa. Molti pensano che l’unica utilità delle scienze teologiche riguardi la formazione dei futuri sacerdoti, dei religiosi e delle religiose e, semmai, degli operatori pastorali e degli insegnanti di religione.

Il linguaggio teologico dev’essere sempre vivo, dinamico, non può fare a meno di evolversi e deve preoccuparsi di farsi comprendere.

A volte le prediche o le catechesi sono fatte di moralismi, poco capaci di parlarci di Dio e di rispondere alle domande di senso che accompagnano la vita.

Domandiamoci in che modo sia possibile comunicare le verità di fede, tenendo conto dei mutamenti, utilizzando i mezzi di comunicazione, senza annacquare, indebolire o “virtualizzare” il contenuto.

Quando parliamo o scriviamo, stiamo attenti all’autoreferenzialità.

2. Una teologia capace di formare esperti in umanità e prossimità. Il rinnovamento e il futuro delle vocazioni è possibile solo se ci sono sacerdoti, diaconi, consacrati e laici ben formati.

Ogni persona è un mistero immenso e porta con sé la propria storia familiare, personale, umana, spirituale.

Sessualità, affettività e relazionalità sono dimensioni della persona da considerare e comprendere.

Un atteggiamento aperto e una buona testimonianza permettono all’educatore di “incontrare” tutta la personalità del “chiamato.

Formare sacerdoti e consacrati maturi, esperti in umanità e prossimità, e non funzionari del sacro.

I seminaristi e i giovani in formazione devono poter apprendere più dalla vostra vita che dalle vostre parole.

L’idoneità al ministero è legata alla disponibilità gioiosa e gratuita.

3. La teologia al servizio dell’evangelizzazione. Tutti gli uomini e le donne hanno il diritto di ricevere il Vangelo e i cristiani il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno.

“L’abito” del teologo è quello dell’uomo spirituale, umile di cuore, aperto alle novità dello Spirito e vicino alle ferite dell’umanità scartata e sofferente.

Una teologia priva di compassione e misericordia si riduce a un discorso sterile.

Insegnare e studiare teologia significa vivere sulla frontiera in cui il Vangelo incontra le necessità reali della gente.

Né la Chiesa né il mondo hanno bisogno di una teologia “da tavolino”... che si esaurisce nella disputa accademica o guarda l’umanità da un castello di vetro.

Abbiamo bisogno di una teologia viva, che dà “sapore” oltre che “sapere”.

(Alla rivista «La Scuola Cattolica» del Seminario Arcivescovile di Milano)

Sabato 18

Quel sì che dà senso alla vita

La vita diventa piena di senso e feconda quando diciamo “sì” a Gesù.

Questa esperienza dà senso a tutta la vita e la forza di dire “sì” al servizio e alla responsabilità e “no” alla superficialità e allo scarto.

L’Apostolo Tommaso arrivò sulla costa occidentale dell’India, seminò il Vangelo e germogliarono le prime comunità.

Ricorrono 1950 anni del martirio di Tommaso, che così sigillò la sua amicizia con Gesù.

La Chiesa è “apostolica” perché fondata sulla testimonianza degli Apostoli.

Ogni battezzato partecipa alla sua costruzione nella misura in cui è testimone.

E voi giovani siete chiamati a esserlo tra i vostri coetanei della diaspora siro-malabarese, ma anche quanti non appartengono alla vostra comunità e quelli che nemmeno conoscono Gesù.

C’è un terreno comune in cui tutti i giovani si incontrano, ed è il desiderio di un amore genuino, bello e grande.

Non abbiate paura! È l’amore che Gesù ci rivela.

Non temete di ribellarvi alla tendenza diffusa a ridurre l’amore a qualcosa di banale, senza bellezza, senza comunione, senza fedeltà e responsabilità.

Quando usiamo gli altri per i nostri scopi egoistici, come oggetti, i cuori sono spezzati.

La prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona avrà questo tema: «Maria si alzò e se ne andò in fretta».

Maria non si chiude in casa a pensare al grande privilegio che ha ricevuto e ai grossi problemi che comporta; non si lascia paralizzare dall’orgoglio o dalla paura.

Non è il tipo che ha bisogno di un buon divano dove starsene comoda e al sicuro.

Se serve una mano alla sua anziana parente, non indugia e si mette in viaggio.

E quando arriva, in quell’incontro pieno di Spirito Santo, dal cuore della Vergine sgorga il Magnificat.

Questo fa pensare alla fecondità dell’incontro tra i giovani e gli anziani.

Voi avete ancora i nonni?, Com’è il vostro rapporto con loro?

Mentre aprite le ali al vento, è importante che scopriate le vostre radici e riceviate il testimone da chi vi ha preceduto.

(Ai leader giovanili delle eparchie siro-malabaresi della diaspora)

Domenica 19

Mangiare ed essere saziati

In Italia e in altri Paesi oggi si celebra la solennità del Corpus Domini. Chi riceve con fede il Corpo e il Sangue di Cristo non solo mangia, ma viene saziato.

Il miracolo dei pani e dei pesci non avviene in maniera spettacolare, ma quasi riservatamente, come a Cana: il pane aumenta passando di mano in mano.

Questo è il Signore presente nell’Eucaristia: ci chiama ad essere cittadini del Cielo, ma intanto tiene conto del cammino che dobbiamo affrontare qui in terra.

Se ho poco pane nella borsa, Lui se ne preoccupa.

Talvolta c’è il rischio di confinare l’Eucaristia in una dimensione vaga, magari luminosa e profumata di incenso, ma lontana dalle strettoie del quotidiano.

Il Signore prende a cuore tutti i nostri bisogni, a partire da quelli più elementari.

La nostra adorazione eucaristica trova la sua verifica quando ci prendiamo cura del prossimo, come fa Gesù: attorno a noi c’è fame di cibo, ma anche di compagnia, c’è fame di consolazione, di amicizia, di buonumore, di attenzione.

Questo troviamo nel Pane eucaristico: l’attenzione di Cristo alle nostre necessità, e l’invito a fare altrettanto verso chi ci è accanto. Mangiare e dare da mangiare.

Nel Corpo e nel Sangue di Cristo troviamo la sua presenza, la sua vita donata.

Non ci dà solo l’aiuto per andare avanti, ma dà sé stesso: si fa compagno di viaggio, entra nelle nostre vicende, visita le nostre solitudini, ridando senso ed entusiasmo.

Questo ci sazia, quando il Signore dà senso alla nostra vita, alle nostre oscurità, ai nostri dubbi!

Al calore della sua presenza la nostra vita cambia: senza di Lui sarebbe grigia.

Nuovi beati

Ieri, a Siviglia, sono stati beatificati religiosi della famiglia Domenicana: Angelo Marina Álvarez e diciannove compagni; Giovanni Aguilar Donis e quattro compagni, dell’Ordine dei Frati Predicatori; Isabella Sánchez Romero, anziana monaca dell’Ordine di San Domenico, e Fruttuoso Pérez Marquez, laico terziario domenicano. Tutti uccisi in odio alla fede nella persecuzione religiosa in Spagna nel contesto della guerra civile del secolo scorso.

La loro testimonianza e il perdono per i loro uccisori mostrano la via della santità.

(Angelus in piazza San Pietro)

Martedì 21

L’equilibrio del terrore
ricatto
aberrante

Nel contesto attuale, parlare di disarmo o sostenerlo può apparire paradossale. Ciononostante, dobbiamo restare consapevoli dei pericoli di approcci miopi alla sicurezza nazionale e internazionale e ai rischi di proliferazione.

Se non lo facciamo, il prezzo è pagato da un numero di vite innocenti prese e misurato in termini di carneficina.

Far tacere tutte le armi e eliminare le cause dei conflitti attraverso l’instancabile ricorso ai negoziati.

È ingannevole e controproducente pensare che la sicurezza e la pace di alcuni siano disgiunte dalla sicurezza collettiva e la pace di altri. È anche una delle lezioni che la pandemia di Covid-19 ha dimostrato.

La Santa Sede è certa che un mondo libero dalle armi nucleari è sia necessario sia possibile.

Non c’è posto per le armi nucleari e per altre armi di distruzione di massa. E non possiamo neppure ignorare la precarietà derivante dalla semplice manutenzione: il rischio di incidenti che potrebbero portare a scenari preoccupanti.

Le armi nucleari sono una responsabilità pesante e pericolosa... un “moltiplicatore di rischio” che fornisce solo un’illusione.

L’uso di armi nucleari, come pure il loro mero possesso, è immorale.

Cercare di difendere e di assicurare la stabilità e la pace attraverso un “equilibrio del terrore”, sostenuti da una mentalità di paura e sfiducia, conduce a rapporti avvelenati tra popoli e ostacola ogni dialogo.

Il loro possesso conduce facilmente a minacce del loro uso, diventando una sorta di “ricatto” che dovrebbe essere aberrante per le coscienze dell’umanità.

Come possiamo spingere il bottone per lanciare una bomba nucleare? Come possiamo modernizzare gli arsenali?

Il mio pensiero va agli Hibakusha, i sopravvissuti al bombardamento di Hiroshima e di Nagasaki, e a tutte le vittime dei test delle armi nucleari.

La Chiesa rimane irrevocabilmente impegnata a promuovere la pace tra i popoli e le nazioni e a incentivare l’educazione alla pace.

(Messaggio alla prima Riunione degli Stati Parte al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari)

Mercoledì 22

Imparare a congedarsi
è la saggezza degli anziani

Meditiamo sul dialogo tra Gesù risorto e Pietro al termine del Vangelo di Giovanni. Possiamo chiederci: com’è il nostro rapporto con Gesù? È come quello degli apostoli con Lui?

Non siamo, invece, tentati di chiudere la testimonianza del Vangelo nel bozzolo di una rivelazione “zuccherosa”, alla quale aggiungere la nostra venerazione di circostanza?

Questo atteggiamento, che sembra rispetto, in realtà ci allontana da Gesù, e diventa occasione per un cammino di fede astratto, autoreferenziale, mondano.

Nel corso della discussione di Gesù con Pietro, due passaggi riguardano la vecchiaia e la durata del tempo: il tempo della testimonianza, il tempo della vita.

Il primo passo è l’avvertimento di Gesù a Pietro: quando sarai vecchio non sarai più padrone della tua vita.

Dillo a me che devo andare in carrozzina, eh! Ma la vita è così: con la vecchiaia vengono tutte queste malattie e dobbiamo accettarle.

Non abbiamo la forza dei giovani! E anche la testimonianza si accompagnerà a questa debolezza.

Devi essere testimone di Gesù anche nella debolezza, nella malattia e nella morte. C’è un passo di Sant’Ignazio di Loyola che dice: “Così come nella vita, anche nella morte dobbiamo dare testimonianza di discepoli di Gesù”.

Il fine vita dev’essere un fine vita di discepoli di Gesù, perché il Signore ci parla sempre secondo l’età che abbiamo.

La sequela dovrà imparare a lasciarsi istruire e plasmare dalla fragilità, dalla impotenza, dalla dipendenza da altri, persino nel vestirsi, nel camminare.

Ma la sequela di Gesù va sempre avanti, con buona salute, con non buona salute, con autosufficienza e con non autosufficienza fisica, ma è importante seguire Gesù sempre: a piedi, di corsa, lentamente, in carrozzina... nelle condizioni limitate della debolezza e della vecchiaia.

Con la malattia, con la vecchiaia la dipendenza dagli altri cresce e non siamo più autosufficienti; e anche lì matura la fede, anche lì c’è Gesù con noi, anche lì sgorga quella ricchezza della fede ben vissuta durante la strada della vita.

Disponiamo di una spiritualità realmente capace di interpretare la stagione di questo tempo della nostra debolezza affidata ad altri, più che alla potenza della nostra autonomia?

Come si rimane fedeli alla sequela vissuta, all’amore promesso, alla giustizia cercata nel tempo della nostra capacità di iniziativa, nel tempo della fragilità, nel tempo della dipendenza, del congedo, nel tempo di allontanarsi dal protagonismo della nostra vita?

Questo nuovo tempo è anche un tempo della prova, certamente. Incominciando dalla tentazione di conservare il nostro protagonismo.

E a volte il protagonista deve diminuire, accettare che la vecchiaia ti abbassa.

Ma avrai un altro modo di esprimerti, di partecipare nella famiglia, nella società, nel gruppo degli amici.

È la curiosità che viene a Pietro: “E lui?”, dice vedendo il discepolo amato che li seguiva.

Ficcare il naso nella vita degli altri.

Deve proprio stare nella “mia” sequela? Deve forse occupare il “mio” spazio? Sarà il mio successore?

Sono domande che non servono, non aiutano.

Deve durare più di me e prendersi il mio posto?

La risposta di Gesù è franca, ruvida: «A te che importa? Tu seguimi».

Come a dire: prenditi cura della tua vita, della tua situazione attuale e non ficcare il naso nella vita altrui.

Seguire Gesù nella vita e nella morte, nella salute e nella malattia, nella vita quando è prospera con tanti successi e nella vita anche difficile con tanti momenti brutti di caduta.

Noi anziani non dovremmo essere invidiosi dei giovani che prendono la loro strada, che occupano il nostro posto, che durano più di noi.

L’onore della nostra fedeltà all’amore giurato, la fedeltà alla sequela della fede che abbiamo creduto, anche nelle condizioni che ci avvicinano al congedo della vita, sono il nostro titolo di ammirazione per le generazioni che vengono e di grato riconoscimento da parte del Signore.

Imparare a congedarsi: questa è la saggezza degli anziani.

Ma congedarsi bene, con il sorriso; congedarsi in società, con gli altri.

La vita dell’anziano è un congedo, lento, ma gioioso: ho vissuto la vita, ho conservato la mia fede.

È bello, quando un anziano può dire questo: “Ho vissuto la vita, questa è la mia famiglia; sono stato un peccatore ma anche ho fatto del bene”. E questa pace che viene è il congedo dell’anziano.

Guardiamo gli anziani e aiutiamoli affinché possano vivere ed esprimere la loro saggezza, che possano darci quello che hanno di bello e di buono. Ascoltiamoli.

E noi anziani, guardiamo i giovani sempre con un sorriso: loro seguiranno la strada, porteranno avanti quello che abbiamo seminato, anche quello che noi non abbiamo seminato perché non abbiamo avuto il coraggio o l’opportunità.

Ma sempre questo rapporto di reciprocità: un anziano non può essere felice senza guardare i giovani e i giovani non possono andare avanti nella vita senza guardare gli anziani.

Per i due
gesuiti uccisi in Messico

Esprimo dolore e sgomento per l’uccisione in Messico di due religiosi gesuiti, fratelli miei, e di un laico.

Quante uccisioni in Messico! Sono vicino con l’affetto e la preghiera alla comunità cattolica colpita da questa tragedia.

Ancora una volta, ripeto che la violenza non risolve i problemi, ma accresce le inutili sofferenze.

Quei bimbi ucraini sulla papamobile

I bambini che erano con me nella papamobile erano ucraini: non dimentichiamo l’Ucraina.

Non perdiamo la memoria della sofferenza di quel popolo martoriato.

(Udienza generale in piazza San Pietro)