Dalla martoriata Siria la testimonianza di una suora

Un cammino di luce nell’oscurità della guerra

 Un cammino di luce  nell’oscurità della guerra  QUO-140
21 giugno 2022

Mi chiamo Deema, sono siriana della città di Homs, che si trova al centro della Siria tragicamente colpita dalla guerra. Appartengo alla comunità monastica di al-Khalil (l’amico di Dio) fondata nel monastero siro-cattolico di Mar Musa al-Habashi (San Mosè l’Abissino) dal padre gesuita Paolo Dall’Oglio, insieme a Jacques Mourad, nel 1991. Non abbiamo notizie di padre Paolo da quando è stato rapito dal sedicente Stato islamico (Is) nel luglio del 2013. Padre Jacques è stato invece rapito l’anno scorso dall’Is e liberato alcuni mesi dopo.

Dovendo descrivere la nostra vita monastica, direi che è basata su tre priorità e un orizzonte. La prima priorità è la preghiera. Così com’è scritto nel testo delle nostre regole, «siamo venuti al monastero soprattutto per pregare e per pregare ininterrottamente, per questo la comunicazione continua, cosciente e profonda con Dio è il nostro obiettivo, il nostro diritto e il nostro dovere». La nostra è anche una vita consacrata al lavoro manuale, visto e vissuto come obbedienza al comandamento dato all’uomo di prendersi cura della terra e così co-partecipare alla creazione. La terza priorità, invece, è l’ospitalità ispirata da Abramo che accoglie Dio nella sua tenda. Vediamo in ogni persona Dio che ci viene a visitare. Tale accoglienza trova il suo significato più profondo quando riusciamo ad accogliere l’altro nella nostra preghiera.

L’orizzonte verso il quale si apre la nostra vita è la vocazione al dialogo islamico-cristiano. Desideriamo consacrarci particolarmente all’amore di Gesù Cristo per i musulmani come persone e per il mondo musulmano come comunità (Umma). In realtà, vogliamo offrire la nostra vita per rendere il lievito evangelico sempre presente nella società di maggioranza musulmana e ciò, come è riportato dalla regola della comunità, «secondo lo spirito di discernimento, di speranza e di carità capace di trasformare le sofferenze di ieri e di oggi per la mutua comprensione e il mutuo amore nella considerazione e nel rispetto reciproci».

In tempo di guerra, la nostra vocazione al dialogo potrebbe sembrare una follia, ma sperimentiamo, giorno dopo giorno, che essa potrebbe essere la via, mi vien da dire l’unica via d’uscita verso un mondo di pace. Il nostro monastero è stato una meta per tanti pellegrini che desiderano non solo soddisfare la loro curiosità culturale, ma anche appagare la loro sete spirituale. La guerra ha avuto il suo effetto su questo movimento e abbiamo sentito la chiamata a scendere in città, per soccorrere i bisognosi.

Nel 2013 la comunità ha celebrato la messa di Natale in uno spazio sotterraneo, dopo la distruzione del quartiere cristiano di Nebek, la città più vicina al monastero. Dopodiché è iniziato un immenso lavoro di restauro delle case grazie all’entusiasmo di tanti collaboratori e alla generosità di tanti amici sparsi in diverse parti del mondo. Nello stesso anno, tante famiglie musulmane hanno trovato rifugio nel monastero di Mar Elian, nella città di Qaryatyan, affidato alla comunità dal 2000. Anche qui, grazie alla solidarietà di tanti siamo riusciti ad aiutare queste famiglie a restaurare le loro case e a ritornarci.

Dopo questo tempo intenso di combattimento è subentrata una fase di relativa calma, un periodo nel quale abbiamo cominciato a pensare al futuro. Abbiamo infatti compreso che è appropriato, ma anche necessario, «pronunciare una parola di speranza in questa notte oscura, di accendere una candela invece di maledire l’oscurità», citando la lettera scritta dalla comunità monastica per la veglia di Natale, di cui vi ho parlato sopra.

Pensare al futuro vuol dire pensare ai bambini e ai giovani. Da quel momento e fino ad oggi, abbiamo sostenuto un asilo nella città di Nebek, abbiamo fondato una scuola di musica per i bambini e i ragazzi delle due parrocchie della città e aiutato diversi giovani nel loro studio universitario o nel lavoro.

Le poche notizie che si sentivano ultimamente sulla situazione siriana nei notiziari italiani hanno ceduto il posto ad altre, purtroppo sempre di guerra. Un immenso dolore penetra i cuori siriani e la crisi continua anche oggi. Se scrivo queste parole è solo perché vorrei testimoniare come, malgrado tutto, la speranza nasce dai gesti quotidiani molto semplici, gesti che i media non sono capaci di trasmettere, o che decidono coscientemente di non trasmettere.

Durante gli anni della guerra abbiamo potuto toccare la misericordia del Signore espressa nella reciproca compassione e solidarietà tra fratelli. Partecipare ad alcune messe nella città, vedere i giovani, cristiani e musulmani, servire chi ha bisogno con entusiasmo e gioia, assistere alle preghiere del rosario nelle case mentre il combattimento era alle porte, sentire un coro di bambini, sapere che tanti amici musulmani si preoccupano per noi e pregano per la pace, denunciando ogni tipo di violenza, sentire le preghiere di tanti amici sparsi in tutto il mondo… tutto ciò ha fatto spuntare una timida luce di speranza. A volte, infatti, bastava vedere come la gente semplice continuasse a vivere, a credere in Dio e a sperare in un futuro migliore, per riprendere il fiato e continuare a intraprendere la via stretta della speranza.

Per quanto mi riguarda — e penso di non rappresentare in questo solo me stessa, ma anche la mia comunità e tanti siriani — in questi anni ho lottato per custodire anche la speranza nell’uomo e nella sua capacità di fare il bene e di scegliere la via della non violenza. Ho fiducia nella sua possibilità di aprirsi alla grazia del Signore. Papa Francesco ci insegna in Evanegelii gaudium, che «giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero». Provare ad essere più umani in tempo della guerra ci permette di entrare nel cerchio dell’Amore, che non conosce limiti ed è capace di cambiare il mondo e di far fiorire i semi del Regno su questa terra, adesso e non in un futuro lontano. Posso gridare con certezza che alcuni siriani sono entrati in questo cerchio! (testimonianza raccolta da giuditta bonsangue)

di Deema Fayyad


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