Rileggendo Pomerants quindici anni dopo

La guerra, il male
e il valore della memoria

 La guerra, il male e il valore  della memoria   QUO-137
17 giugno 2022

Il testo che segue è tratto da un’intervista rilasciata il 17 giugno 2007 al reporter Giorgio Fornoni dal filosofo Grigory Pomerants, uno dei più grandi intellettuali russi, amico personale di Solgenitsin e di Salamov. Pomerants, morto nel 2013, combattè da soldato contro i nazisti e fu poi deportato in un Gulag. L’intervista faceva parte del reportage «La via del gas» trasmesso da Rai 3.

Cosa è per lei la guerra?

Da noi si cerca continuamente di idealizzare la guerra; la si presenta come il campo dell’eroismo. C’è anche questo, è vero. Io stesso ho provato cosa voglia dire vincere la paura; poi mi hanno spiegato che è una questione di adrenalina. (Ride) Può essere vero o no, ma sicuramente è un sentimento molto forte. Ma accanto a questo ricordo le montagne di cadaveri in putrefazione, perché non facevano in tempo a seppellirli. Passavo tutte le sere vicino a un campo da cui si levava un fetore insopportabile; una delle impressioni più orrende della guerra. Nella letteratura questo campo del fetore non appare mai. Forse solo nella letteratura americana, in Miller. E nei lager era pieno di queste cose, di questi incubi.

Perché l’uomo, dopo tante sofferenze, non riesce a capire di smettere le guerre e a preservare innanzitutto il valore della persona?

Penso si spieghi col fatto che gli uomini, noi in fin dei conti, non siamo stati capaci di trasmettere la nostra esperienza, l’esperienza che Salamov ha fatto e che ha raccontato; l’esperienza raccontata da Oleg Volkov nelle sue memorie, e nelle memorie di molti altri. Questa esperienza non è diventata patrimonio della massa. Solgenitsin stesso, nel suo Arcipelago Gulag, ha fornito moltissimo materiale; anche lui pensava che se la gente avesse letto questo libro, il regime sovietico sarebbe caduto. E invece no; la gente legge e poi si stufa, preferisce vivere delle sue occupazioni quotidiane; pensa che ormai sia acqua passata, che  ormai il mondo è diverso. In questo pesa molto l’egoismo superficiale della gente. Ma sì, è roba passata. Adesso non c’è più; oppure: ma sì, Stalin ha fatto molte cose cattive, però ha vinto la guerra. In Russia ancora oggi a uno che abbia vinto in guerra siamo pronti a perdonare anche 100mila morti che abbia fatto strada facendo.

Questo non riguarda solo la Russia, perché le guerre non ci sono solo da voi...

Certo ci sono state in molti altri posti. Ma gli uomini di solito conoscono il male solo su scala limitata. Il male si presenta solo sulla soglia di casa. Un male così diffuso, una conoscenza del male così ampia come nel xx secolo non è comprensibile all’uomo medio. L’uomo medio vive nel suo mondo ordinato, e attribuisce il male a qualche fattore che non lo riguarda.

Bisogna far vedere il vero volto, il volto disgustoso del male perché la gente lo rigetti. E questo è compito della cultura far vedere alla gente quant’è disgustoso il volto del male, com’è orrendo l’odio che giustifica il perpetuarsi del male come vendetta. E così via...

È il compito enorme dell’educazione, della scuola, della stampa, della cultura: mostrare all’uomo il vero volto del male. Non solo, ma mostrare che, con i mezzi di distruzione attuali di cui dispone l’umanità, conservare il ribollire dell’odio che troverà sempre un’occasione di vendetta può portare alla fine dell’umanità intera. Noi ci troviamo alle soglie di pericoli tremendi, perché nello stato attuale della nostra civiltà, le sue forze meccaniche e tecniche sono talmente grandi che rendono indispensabile un uomo diverso, un uomo dal cuore aperto. E tutta l’educazione dev’essere indirizzata a questo.

Cosa pensa del Patriottismo?

Il patriottismo unisce l’orgoglio e la vergogna, non è solo orgoglio. A differenza dallo sciovinismo e del peggior nazionalismo, il patriottismo unisce appunto orgoglio e vergogna. Se un uomo va solo orgoglioso della sua patria e non si vergogna del male che ha compiuto, scivola su una china che porta a un nuovo male.

Cosa è che ci fa dimenticare invece di ricordare?

In Salamov c’è un bellissimo racconto che si intitola, “Il procuratore della Giudea”. Lo scrittore Anatole France racconta che dopo dieci anni chiedono a Ponzio Pilato cosa ne sa di un certo Gesù Cristo che si definiva re dei Giudei. E lui risponde: “Gesù? Non mi ricordo”. In Salamov si racconta che arriva una nave piena di uomini congelati. E bisogna tagliare a tutti mani e piedi perché sopravvivano. E il capo dell’ospedale che ha fatto tutto questo dopo dieci anni se l’è completamente dimenticato. È amnesia completa, perché non ci vuole pensare. E Salamov in questo suo racconto descrive questi uomini che non vogliono pensare, che non vogliono cambiare, trasfigurarsi, che non vogliono assumersi la fatica della trasfigurazione.