La buona Notizia
Il Vangelo della solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo (Lc 9, 11b-17)

Amore spezzato

 Amore spezzato  QUO-135
14 giugno 2022

La fame è desiderio di vita. Incontenibile movimento verso la pienezza. Cinquemila uomini. Dodici apostoli. Un Dio. Un solo corpo. Attraversato dalla stessa fame. Possono bastare cinque pani e due pesci per saziare un corpo soltanto. Sebbene immenso quanto lo scorrere dei secoli. Può bastare la nostra povera umanità per nutrire la fame di Dio. Sebbene infinita quanto il cuore del Padre. Perché la fame che percorre l’universo è la bocca spalancata che apre la porta all’amore. Le fauci insaziabili dell’amore. Quelle che divorano tutto. Perché danno tutto. Divorano deformità e danno bellezza. Divorano inedia e danno gioia piena. Divorano pani e danno corpo e sangue. Divorano morte e danno vita senza fine.

Chi mangia e chi è mangiato mentre il giorno cominciava a declinare? Mentre l’ora che volge il disio attenuava le certezze e intensificava la nostalgia. Uomini divorati dal desiderio divoravano il desiderio di Dio. In cinque pani e due pesci. E ne erano divorati, per essere consumati nella sua divinità.

«Così dunque, divorare sempre e essere divorati, salire e scendere con l’amore, è la nostra vita nell’eternità» (beato Giovanni di Ruysbroeck). Salire e scendere. Come un respiro. Il respiro di Dio. In cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Di cui ci nutriamo, per divenirne parte. Con cinque pani e due pesci.

Estremo realismo della realtà soprannaturale. Che di tutto ciò che è umano rivela il significato più profondo. E lo realizza. Ne richiama il destino ultimo. E lo rende già presente.

Non moltiplica Gesù quella sera per la folla di Tabga. Ma neppure divide. Non sono i verbi del calcolo i verbi del Figlio di Dio. Spezzare è il verbo. L’impercettibile gesto in cui Dio si nasconde. E con Lui dentro, con il suo amore spezzato che infrange ogni limite, la realtà non cambia. Ma si compie. Diventa quello che è. Piena, traboccante. Senza fine.

Non è il miracolo della moltiplicazione. Né il prodigio della condivisione. Ma l’onnipotente bellezza dell’amore spezzato che entra nella storia. E la squarcia. Per fare spazio all’uomo nella vita piena di Dio. È uno squarcio sul mistero, quel prato punteggiato di cuori accesi di desiderio. Un’immagine luminosa della storia attraversata dall’insaziabile fame di bene. Che non si estingue di fronte al male della penuria, del vuoto, dell’assenza. Ma si spezza per dare libero accesso alla pienezza. E pieno significato alla vita.

Betsaida è la terra di Pietro. La terra dei pescatori dalle mani callose, dal volto scavato dal sole. E dalla fatica di trarre dal mare risorse per tutti. Lo sanno quegli occhi abituati a scrutare le profondità del mare. Quello che hanno non basta. L’umanità ha tra le mani cinque pani e due pesci. Non li può moltiplicare. Né dividere. Non bastano. Li può solo dar da mangiare all’amore. Dall’amore lasciarli spezzare. Lasciarsi spezzare. Per superare ogni limite e dare alla realtà il volto infinito di Dio. Dodici ceste. Assoluta pienezza. Non sono altri pani. Non è una realtà diversa, modificata, mutata. Sono i nostri cinque pani e due pesci che dalle mani di Gesù hanno preso il sapore dell’eternità. Del nutrimento che non finisce. Della vita che dura per sempre. Il sapore del Paradiso.

Calava la sera. Eppure molti lo riconobbero nello spezzare il pane. Nel sapore di quel pane, che non era ancora corpo, ma era già l’amore che quel corpo avrebbe donato. Calava la sera. E la loro fame fu saziata. E divenne insieme fame senza fine. Perché «ad hoc ergo cibas, ut esurire facias» (Riccardo di San Vittore), per questo, o Dio, nutri e dai da mangiare, per rendere inestinguibile la fame. E il sapore di quel pane. Il sapore dell’amore che si dona e si fa cibo non si può più dimenticare. Non si può più smettere di desiderare. (enza ricciardi)

di Enza Ricciardi