A Reggio Calabria un cimitero per i migranti morti nel Mediterraneo

Per non dimenticarli

 Per non  dimenticarli   QUO-132
10 giugno 2022

Pioveva, questa mattina, a Reggio Calabria, durante il momento di preghiera ecumenica che si è svolto nel Cimitero di Armo, ristrutturato e consegnato alla città per dare degna sepoltura ai migranti morti nel Mediterraneo nel 2016: 45 persone il cui sogno di un futuro migliore si è infranto contro le onde del mare. Pioveva, ma erano «lacrime di benedizione», ha detto l’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova e presidente della Conferenza episcopale calabrese, monsignor Fortunato Morrone. «Anche le salite più irte, se ci mettiamo insieme, le possiamo affrontare — ha aggiunto —. Questo posto significativo lo rappresenta in pieno: si può raccontare di una Reggio e di una Calabria che si prende cura di tutti i fratelli, perché, indipendentemente dalla confessione religiosa, siamo tutti figli di un unico Dio». Centrale, nelle parole dell’arcivescovo, il richiamo all’impegno della Chiesa in favore degli ultimi: «Ce lo chiede il Vangelo — ha detto —. Ma questo non deve far dormire sugli allori quanti devono avere una visione politica della società. La questione dei migranti non può e non deve più essere gestita come un’emergenza».

Gli ha fatto eco don Marco Pagniello, direttore nazionale di Caritas Italiana, organismo che ha sostenuto la ristrutturazione del cimitero. «Questo luogo — ha detto — deve essere un segnale forte che arriva alle istituzioni nazionali ed europee: tutti hanno diritto di partire, tutti abbiamo il dovere di accogliere». Un luogo, dunque, che diventa emblema di «pace e universalità», come ha ribadito la direttrice della Caritas diocesana, Mariangela Ambrogio.

E in un messaggio inviato in precedenza, il presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Zuppi, sottolinea che «non possiamo abituarci al fatto che il Mediterraneo da mare nostrum diventi mare monstrum, mare di nessuno dove si muore per omissione di soccorso. La morte di queste persone è una grande domanda che impone la ricerca condivisa di soluzioni efficaci e umane, compresa l’apertura di corridoi umanitari a tutela dei richiedenti asilo». Il cimitero di Armo rappresenta «un gesto di tanta umanità — prosegue il presidente della Cei — frutto di solidarietà della quale ringrazio tanto, ma è anche un appello forte alla responsabilità politica, culturale e sociale di tutti verso il cammino dei migranti».

La ristrutturazione del luogo ha permesso la realizzazione di più di 140 tombe. Tra queste, c’è anche quella di due bambini inghiottiti dalle acque e recuperati grazie all’opera di un volontario tedesco, Martin Kolek. Una fotografia del drammatico momento del recupero dei due piccoli è stata posta sulla tomba, affinché tutti possano comprendere la tragedia che si annida tra le pieghe del fenomeno migratorio. Lo stesso Kolek è stato uno dei principali benefattori per la ristrutturazione del cimitero e ha contribuito in modo sostanziale alla costruzione dell’area.

Presenti alla cerimonia di stamani anche alcuni rappresentanti delle comunità islamiche e diversi esponenti delle istituzioni civili di Reggio Calabria. Il prefetto, Massimo Mariani, ha auspicato «ulteriori risorse per i territori coinvolti dai flussi migratori», mentre il sindaco facente funzione del Comune, Paolo Brunetti, ha rievocato con commozione la notte dello sbarco di sei anni fa: «Ricordo bene il rumore meccanico di quelle ore sulla banchina — ha detto — e quell’umanità spezzata. Oggi c’è un luogo dove pregare per queste vittime, ma non dimentichiamo quanti corpi sono andati dispersi nel Mediterraneo. È una tragedia alla quale non possiamo mai abituarci».

Emozione e dolore sono risuonati anche nell’intervento di Bruna Mangiola, in rappresentanza dei volontari del Coordinamento diocesano sbarchi: le 45 vittime del 2016, ha detto, sono «45 chiodi con cui è stata trafitta la croce al porto». «Abbiamo consolato le madri che piangevano per i loro figli, abbiamo abbracciato i figli che avevano perso la loro famiglia — ha concluso —. Abbiamo lasciato tutto per essere lì con loro, così come oggi siamo qui». 

di Isabella Piro