Il magistero

 Il magistero  QUO-131
09 giugno 2022

Venerdì 3

L’unità
è dono
armonia
cammino e missione

È bello che la vostra visita avvenga alla vigilia della Solennità di Pentecoste. Vorrei offrirvi quattro spunti che tale festività mi ispira a proposito della piena unità alla quale aneliamo.

Il primo è che l’unità è un dono, un fuoco che viene dall’Alto. Senza stancarci dobbiamo pregare, lavorare, dialogare, prepararci affinché questa straordinaria grazia possa essere accolta.

Tuttavia, il raggiungimento dell’unità non è frutto della terra, ma del Cielo; non il risultato del nostro impegno, dei nostri sforzi e accordi, ma dell’azione dello Spirito, al quale occorre aprire i cuori.

Un secondo insegnamento è che l’unità è armonia. La vostra delegazione, composta da Chiese di tradizioni diverse in comunione di fede e di sacramenti, illustra bene questa realtà.

L’unità non è uniformità e non è nemmeno il frutto di compromessi o di fragili equilibri diplomatici.

L’unità è armonia nella diversità dei carismi suscitati dallo Spirito. L’armonia è la via dello Spirito, perché Egli, come dice san Basilio il Grande, è armonia.

Un terzo insegnamento è che l’unità è un cammino.

Non è un progetto da scrivere, un piano studiato a tavolino; non si fa nell’immobilismo, ma nel movimento, nel dinamismo nuovo che lo Spirito imprime ai discepoli.

Si fa cammin facendo: cresce nella condivisione, passo dopo passo, nella comune disponibilità ad accogliere le gioie e le fatiche del viaggio, nelle sorprese che nascono lungo il percorso.

Come dice sant’Ireneo, che ho recentemente proclamato Dottore dell’Unità, la Chiesa è “una carovana di fratelli”.

E in questa carovana cresce e matura l’unità, che non arriva come un miracolo improvviso ed eclatante, ma nella condivisione paziente e perseverante.

Un ultimo aspetto. L’unità non è semplicemente fine a sé stessa, ma è legata alla fecondità dell’annuncio: l’unità è per la missione.

A Pentecoste la Chiesa nasce missionaria. E oggi ancora il mondo attende, anche inconsapevolmente, di conoscere il Vangelo di carità, libertà e pace che noi siamo chiamati a testimoniare gli uni insieme agli altri, non gli uni contro gli altri o gli uni lontano dagli altri.

Sono grato per la testimonianza comune offerta dalle vostre Chiese, penso in modo speciale a quanti hanno sigillato con il sangue la fede in Cristo.

Grazie per tutti i semi di amore e di speranza sparsi, in nome del Crocifisso Risorto, in varie regioni ancora segnate, purtroppo, dalla violenza e da conflitti troppo spesso dimenticati.

La croce di Cristo sia la bussola che ci orienta nel cammino verso la piena unità. Perché è su quel legno che Cristo, nostra pace, ci ha riconciliati, radunando tutti in un popolo solo.

Allora dispongo idealmente sui bracci della croce, altare dell’unità, le parole che ho voluto condividere quasi come quattro punti cardinali della piena comunione: dono, armonia, cammino, missione.

(A giovani sacerdoti e monaci di Chiese ortodosse orientali)

I tagli
alla sanità
oltraggio
all’umanità

La vostra Confederazione, che riunisce le Aziende Sanitarie Locali, Ospedaliere, e gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, insieme all’Associazione dei Comuni Italiani, ha un forte legame con il territorio.

Contribuite a mantenere il rapporto tra centro e periferia, tra piccolo e grande, tessendo relazioni e promuovendo percorsi di integrazione.

Vorrei proporre tre “antidoti” [per] aiutarvi a camminare nel solco tracciato.

Anzitutto la prossimità, antidoto all’autoreferenzialità. Vedere nel paziente un altro me spezza le catene dell’egoismo, fa cadere il piedistallo sul quale siamo tentati di salire e spinge a riconoscerci fratelli, a prescindere dalla lingua, provenienza geografica, status sociale o condizione di salute.

Se nelle persone che incontriamo nelle corsie degli ospedali, case di cura, ambulatori, riusciamo a scorgere dei fratelli e delle sorelle, cambia tutto.

La “presa in carico” smette di essere una questione burocratica e diventa incontro, accompagnamento, condivisione.

Il nostro è il Dio della prossimità. Lui si è presentato così... La vicinanza. Ha scelto di assumere la nostra carne, non distante, irraggiungibile.

Cammina con noi sulle strade dissestate di questo mondo, come ha fatto coi discepoli di Emmaus, e si mette in ascolto dello smarrimento, delle angosce, del dolore di ciascuno. A noi chiede di fare lo stesso.

E questo è più importante quando ci si trova nella malattia e nella sofferenza.

Farsi prossimi significa abbattere le distanze, fare in modo che non ci siano malati di “serie A” e di “serie B”, mettere in circolo energie e risorse perché nessuno sia escluso dall’assistenza socio-sanitaria.

Quando un Paese perde questa ricchezza che è la sanità pubblica, incomincia a fare distinzioni tra la popolazione, coloro che hanno accesso, che possono avere sanità, a pagamento, e coloro che sono senza servizio sanitario.

È una ricchezza qui in Italia la sanità pubblica: non perderla, per favore!

Secondo antidoto: l’integralità, che si oppone a frammentazione e parzialità.

Dobbiamo ripensare il concetto di salute in un’ottica integrale, che abbracci tutte le dimensioni della persona.

Senza nulla togliere al valore delle competenze specifiche, curare un malato significa considerare non solo una certa sua patologia, ma la sua condizione psicologica, sociale, culturale e spirituale: il tutto.

Quando Gesù guarisce, oltre ad estirpare dal corpo il male fisico, restituisce la dignità, reintroducendo nella società, dando una nuova vita. Questo lo può fare solo Lui, ma l’atteggiamento, l’approccio alla persona è modello per noi.

Una visione olistica della cura contribuisce a contrastare la “cultura dello scarto”, che esclude quanti non rispondono a certi canoni.

È una cultura di oggi. Quello che non serve è fuori. Usa e getta, a tutti i livelli.

In una società che rischia di vedere i malati come un peso, un costo, occorre rimettere al centro ciò che non ha prezzo, non si compra e non si vende, la dignità della persona.

Le patologie possono segnare il corpo, confondere i pensieri, togliere le forze, ma non potranno mai annullare il valore della vita, che va tutelata sempre, dal concepimento alla fine naturale.

Terzo antidoto è il bene comune, come rimedio al perseguire interessi di parte.

Anche in campo sanitario è frequente la tentazione di far prevalere vantaggi economici o politici di qualche gruppo a discapito della maggior parte della popolazione.

La pandemia ci ha insegnato che il “si salvi chi può” si traduce rapidamente nel “tutti contro tutti”, allargando la forbice delle disuguaglianze e aumentando la conflittualità.

Occorre lavorare perché tutti abbiano accesso alle cure, perché il sistema sanitario sia sostenuto e promosso, e continui ad essere gratuito. Tagliare le risorse per la sanità è un oltraggio all’umanità.

Prossimità, integralità e bene comune: vi consegno questi “antidoti”, con l’incoraggiamento a continuare a operare a servizio dei malati e dell’intera società.

San Giuseppe Moscati vi guidi nel vostro lavoro quotidiano e vi doni la sapienza del curare e del custodire.

(Alla confederazione Federsanità italiana)

Sabato 4

Nel mondo
diviso
dai conflitti
lavorare
per la pace

Una sera come quella di oggi, uomini e donne timorosi, rinchiusi in una stanza a Gerusalemme — perché sapevano di essere perseguitati —, sperimentarono la potente presenza dello Spirito Santo, che trasformò le loro vite per sempre.

E le loro vite, trasformate cambiarono la storia.

Questa notte, nel mondo, tutti noi cristiani siamo uniti in preghiera, aspettando la venuta dello Spirito.

La realtà di oggi nel mondo è segnata dalla malattia, la pandemia che si è portata via milioni di persone in tutto il mondo, e con essa il dolore, la sofferenza, l’assenza.

E anche in tante parti del mondo la fame e popoli interi costretti all’esilio.

E la guerra: tra fratelli, tra cristiani, come nel caso della invasione dell’Ucraina.

Sono esempio di questa guerra anche la situazione nello Yemen, il martirio del popolo Rohingya e la situazione del Libano!

Di fronte a questo mondo dilaniato e timoroso del futuro incerto sorge questa notte la presenza luminosa dello Spirito Santo, che ci dà le forze, il coraggio e la determinazione per lavorare instancabilmente per la pace.

La pace inizia nelle famiglie, nei rapporti interpersonali, interrazziali, nei rapporti tra cristiani e con membri di altre religioni. La pace comincia nell’amore per il nemico, per chi non la pensa come me...

Soli non possiamo. Con lo Spirito Santo possiamo.

L’odio sembra essersi impadronito del mondo. Ma c’è una forza più potente, è la forza dell’amore.

Cerchiamo quella persona che ci ha feriti, che non amiamo per diversi motivi, forse dentro la nostra stessa famiglia, e chiediamo perdono, o perdoniamo e abbracciamo. Così inizia la pace. Poco a poco.

I Capi di Stato lavoreranno o meno per la pace e saranno giudicati dalla storia.

A ognuno di noi spetta vincere l’odio con azioni quotidiane. I nostri figli impareranno a viverlo e i nostri nipoti impareranno da loro, così potremo fare qualcosa perché il mondo cambi.

(Videomessaggio ai partecipanti alla veglia ecumenica di Pentecoste organizzata da Charis international)

Domenica 5

La fede è
sempre
giovane

Oggi si celebra la Pentecoste... l’effusione dello Spirito sugli Apostoli. Gesù lo aveva promesso più volte.

Lo Spirito Santo insegna, aiuta a superare un ostacolo nell’esperienza di fede.

Infatti, può sorgere il dubbio che tra il Vangelo e la vita ci sia distanza: Gesù è vissuto duemila anni fa e dunque il Vangelo sembra superato, inadeguato.

Viene anche a noi questo interrogativo: cosa può dire il Vangelo nell’epoca di internet? Lo Spirito è specialista nel colmare le distanze... collega l’insegnamento di Gesù con ogni tempo e ogni persona.

Con Lui le parole di Cristo non sono un ricordo... diventano vive, oggi!

Lo Spirito le rende vive, attraverso la Sacra Scrittura ci orienta nel presente.

Rende i credenti attenti ai problemi e alle vicende del loro tempo. Noi rischiamo di fare della fede una cosa da museo! Lui la mette al passo coi tempi.

Perché non si lega a epoche o mode, ma porta nell’oggi l’attualità di Gesù.

In che modo? Facendoci ricordare. Ri-cordare vuol dire riportare al cuore: lo Spirito riporta il Vangelo nel nostro cuore.

È lo Spirito a far passare dal “sentito dire” alla conoscenza personale di Gesù.

Così ci cambia la vita: fa sì che i pensieri di Gesù diventino i nostri.

Senza lo Spirito, la fede diventa smemorata. E noi siamo cristiani smemorati?

Basta una contrarietà, una fatica, una crisi per dimenticare l’amore di Gesù e cadere nel dubbio e nella paura?

Guai! Stiamo attenti... Il rimedio è invocare lo Spirito Santo.

Facciamolo spesso, specie nei momenti importanti, prima delle decisioni e in situazioni non facili.

Prendiamo in mano il Vangelo e invochiamo lo Spirito così: “Vieni, Santo Spirito, ricordami Gesù, illumina il mio cuore”. Poi, apriamo il Vangelo e leggiamo un piccolo passo, lentamente. E lo Spirito lo farà parlare alla nostra vita.

Due nuovi beati
in Libano

Ieri, a Beirut, sono stati beatificati due Frati Minori Cappuccini, Leonardo Melki e Tommaso Giorgio Saleh, sacerdoti e martiri, uccisi in odio alla fede in Turchia nel 1915 e nel 1917.

Questi due missionari libanesi, in un contesto ostile, diedero prova di incrollabile fiducia in Dio e di abnegazione per il prossimo.

Il loro esempio rafforzi la nostra testimonianza cristiana. Erano giovani.

Assicuro la mia preghiera per le vittime delle frane causate dalle piogge torrenziali nella regione di Recife, in Brasile.

Esprimo vicinanza ai pescatori che, a causa dell’aumento del costo del carburante, rischiano di dover cessare la loro attività; e la estendo a tutte le categorie di lavoratori penalizzati dalle conseguenze del conflitto in Ucraina.

(Regina caeli in piazza San Pietro)

Martedì 7

Audaci
nell’annuncio del Vangelo
in Amazzonia

Questo incontro fa memoria di quello tenutosi 50 anni fa, [il quale] propose linee di evangelizzazione che segnarono l’azione missionaria delle comunità amazzoniche e contribuirono alla formazione di una solida coscienza ecclesiale.

Le intuizioni di quell’incontro sono servite anche a illuminare le riflessioni nel recente Sinodo per la regione Panamazzonica, come ho ricordato nell’Esortazione Apostolica Querida Amazonia.

Mi rallegro per l’impegno delle Chiese particolari dell’Amazzonia brasiliana, attraverso le loro comunità, nel portare avanti le indicazioni dell’ultima Assemblea sinodale, testimoniando al tempo stesso, attraverso la radicata e bella tradizione degli incontri delle Chiese locali, l’esperienza della sinodalità, come espressione di comunione, partecipazione e missione.

Ricordo l’intensa partecipazione di quanti sono venuti dal Brasile a Roma per le sessioni del Sinodo del 2019, portando vitalità, forza e speranza.

Siate coraggiosi e audaci, aprendovi con fiducia all’azione di Dio che ci ha dato Gesù, ci ispira attraverso lo Spirito ad annunciare il Vangelo con nuovo impegno e a contemplare la bellezza del creato, ancor più esuberante in queste terre.

(Lettera ai partecipanti all’Incontro di Santarém - iv encontro da Igreja católica na Amazônia Legal)

Mercoledì 8

Elogio
delle rughe

Tra le figure di anziani nei Vangeli c’è Nicodemo — uno dei capi dei Giudei —, il quale, volendo conoscere Gesù, ma di nascosto andò da lui di notte.

Nel colloquio con Nicodemo emerge il cuore della rivelazione di Gesù e della sua missione, quando dice: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».

Gesù dice a Nicodemo che per “vedere il regno” bisogna “nascere dall’alto”.

Non si tratta di ricominciare a nascere, di ripetere la nostra venuta al mondo, sperando che una nuova reincarnazione riapra la possibilità di una vita migliore.

Questa ripetizione svuoterebbe di ogni significato la vita vissuta, cancellandola come fosse un esperimento fallito, un valore scaduto, un vuoto a perdere.

No. Questa vita è preziosa agli occhi di Dio: ci identifica come creature amate da Lui con tenerezza.

La “nascita dall’alto”, che ci consente di “entrare” nel regno di Dio, è una generazione nello Spirito. Non è un rinascere fisicamente un’altra volta.

Nicodemo fraintende questa nascita, e chiama in causa la vecchiaia come evidenza della sua impossibilità.

L’essere umano invecchia, il sogno di un’eterna giovinezza si allontana, la consumazione è l’approdo di qualsiasi nascita.

La nostra epoca e la nostra cultura, che mostrano una preoccupante tendenza a considerare la nascita di un figlio come una semplice questione di produzione e di riproduzione biologica, coltivano il mito dell’eterna giovinezza come l’ossessione — disperata — di una carne incorruttibile.

La vecchiaia è disprezzata perché porta l’evidenza inconfutabile del congedo di questo mito, che vorrebbe farci ritornare nel grembo della madre, per ritornare sempre giovani nel corpo.

La tecnica si lascia attrarre da questo mito: in attesa di sconfiggere la morte, possiamo tenere in vita il corpo con la medicina e la cosmesi, che rallentano, nascondono, rimuovono la vecchiaia.

Una cosa è il benessere, altra cosa è l’alimentazione del mito dell’eterna giovinezza. Si fa tanto per riavere questa giovinezza: trucchi, interventi chirurgici.

Mi vengono in mente le parole di un’attrice italiana, la Magnani, quando le hanno detto che dovevano toglierle le rughe, e disse: “Non toccarle! Tanti anni ci sono voluti per averle”.

Le rughe sono simbolo dell’esperienza, della vita, della maturità, simbolo di aver fatto un cammino.

Non toccarle per diventare giovani di faccia: quello che interessa è tutta la personalità, è il cuore; e il cuore rimane con quella giovinezza del vino, che più invecchia più è buono.

La vita mortale è una bellissima “incompiuta”: come certe opere d’arte.

Perché la vita quaggiù è “iniziazione”, non compimento.

La fede, che accoglie l’annuncio evangelico del regno di Dio al quale siamo destinati, ha un effetto straordinario: consente di “vedere” il regno di Dio.

La vecchiaia è la condizione, concessa a molti di noi, nella quale il miracolo di questa nascita dall’alto può essere assimilato e reso credibile per la comunità umana: non comunica nostalgia della nascita nel tempo, ma amore per la destinazione finale.

In questa prospettiva la vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno. Nessuno può rientrare nel grembo della madre, e neppure nel suo sostituto tecnologico e consumistico.

Questo è artificiale. Sarebbe triste, seppure fosse possibile.

Il vecchio cammina in avanti verso il cielo di Dio, con la saggezza vissuta durante la vita.

La vecchiaia perciò è un tempo speciale per sciogliere il futuro dall’illusione tecnocratica di una sopravvivenza biologica e robotica, perché apre alla tenerezza del grembo creatore e generatore di Dio.

Vorrei sottolineare la tenerezza dei vecchi. Osservate un nonno o una nonna come guardano e accarezzano i nipoti: quella tenerezza, libera da ogni prova umana, capace di dare gratuitamente amore, vicinanza. Questa tenerezza apre la porta a capire la tenerezza di Dio.

La vecchiaia aiuta a capire questa dimensione... è il tempo speciale per sciogliere il futuro dall’illusione tecnocratica, è il tempo della tenerezza di Dio.

Lo Spirito ci conceda la riapertura di questa missione spirituale — e culturale — della vecchiaia.

Come mai questa cultura decide di scartare i vecchi, considerandoli non utili? I vecchi sono i messaggeri del futuro, della tenerezza, della saggezza.

Ai polacchi:
per la pace
in Europa

Oggi ricordate la regina Santa Edvige, Apostola della Lituania e fondatrice dell'Università Jagellonica. Durante la sua canonizzazione, san Giovanni Paolo ii ricordò che per opera sua la Polonia fu unita alla Lituania e alla Rus’. Affidatevi alla sua intercessione, pregando come lei ai piedi della Croce per la pace in Europa.

(Udienza generale in piazza San Pietro)